Tutti gli articoli relativi a: partito democratico

"L'innovazione e il minuetto", di Franco Cordero

Quanto l’ipnosi influisca in politica italiana, consta dal lungo dominio fascista: 20 anni, 8 mesi, 26 giorni; cade d’un colpo domenica 25 luglio 1943, vergognosamente, ma continuerebbe fino all’estrema vecchiaia del Dux se non sprofondasse in guerra; ai sudditi piaceva e molti lo rimpiangono. Conta vent’anni anche l’epoca berlusconiana, dove l’irrazionale pesa altrettanto: emblematica la presenza d’una mussolinide; e il consenso ha due radici. L’insofferente della legalità vota B. perché gli conviene: vedi evasori fiscali, corruttori, corrotti, parassiti, malaffaristi vari, nel cui calcolo il pirata al potere significa lassismo, criminofilia, impunità; chi poi abbia profitto diretto voterebbe anche diavoli con le corna. Ma sono tanti a vederlo eroe positivo, buono, giusto, benefico, persino bello, defensor fidei, alle prese con potenze malvagie: la novità, rispetto alla vecchia filibusta, sta nell’essere anche stregone; se li acquisiva mediante lanterne magiche, corrompendo pensiero, sentimenti, gusto. In teoria aveva l’antagonista a sinistra ma lì tengono banco oligarchi inamovibili. Specie nella falda postcomunista, hanno aspetti del clero ateo: forti d’un potere, lo conservano pragmaticamente; cantano formule vacue; ragionano abbastanza per capire …

"Bolle e rimpasto: psicosomatica del potere", di Filippo Ceccarelli

Tra bolle e malpancismi quando la politica scopre la psicosomatica. Dal Cavaliere a Renzi, le parole del potere Immerso e in qualche modo impantanato come tutti gli altri protagonisti della politica in uno stagno di metafore ad alto impatto, Matteo Renzi ha detto ieri che al solo sentire parlare di rimpasto gli «vengono tutte le bolle» e allora scappa a Firenze, «in mezzo alla gente. Il valore terapeutico e anzi salvifico della “gente” ha messo in secondo piano entità, tipologia e conseguenze pratiche di dette bolle. Ma è chiaro che l’immagine era intesa a proclamare nel modo più netto la sua totale e persino patologica incompatibilità con quell’antica formula politichese. Curioso e paradossale, semmai, è che più gli odierni leader si sforzano di tenersi lontani da rimpasti, vertici, verifiche, staffette, appoggi esterni e altri vetusti attrezzi da Prima Repubblica e meno questo squalificante armamentario sembra disposto ad abbandonare il campo, anzi. Come mai? Una possibile risposta è che la politica resta pur sempre “l’arte di far credere” (Hannah Arendt). Ma poiché il discorso pubblico della …

"Prodi: «Letta rischi di più. La mia staffetta non si ripeta»", di Alessandro Barbano

Professore Romano Prodi, la Consulta tedesca ha rinunciato a decidere sulla legittimità dello scudo della Bce, cioè sull`acquisto dei titoli di Stato dei paesi indebitati, e ha rinviato gli atti alla Corte di giustizia europea. È una svolta? «Una svolta non so, ma una decisione inaspettatamente positiva sì. E mi ha fatto piacere che sia venuta da una Corte tanto influente quanto venerata in Germania. La quale, rinunciando a deliberare su una controversia sovranazionale, riconosce che c`è un giudice in Lussemburgo, cioè in Europa, e non solo a Berlino. Di questi tempi, non è poco». E una tregua concessa dalla tecnocrazia alla politica? «Lo vedremo più in là, ma certo il rinvio a una giurisdizione superiore è indirettamente una manifestazione di riconoscimento politico dell`entità che la sostiene, cioè l`Europa». Nel merito è anche un modo di riconoscere l`autonomia della Bce? «Nel merito deciderà la Corte europea, ma il messaggio politico di questo rinvio è chiaro e positivo». Che vuol dire? Che, dopo gli appelli di Giorgio Napolitano al Parlamento di Strasburgo e di intellettuali come …

"L’errore che D’Alema ha pagato per sempre", di Fabrizio Rondolino

Il 21 ottobre 1998 il segretario dei Ds arrivò a palazzo Chigi senza passare dalle elezioni. Come potrebbe capitare oggi a Renzi. Sicuri sia una buona idea? Il 21 ottobre 1998 Massimo D’Alema, segretario del maggior partito della coalizione di centrosinistra che due anni prima aveva vinto le elezioni, giurò nelle mani del presidente della repubblica. Due giorni dopo la camera votò la fiducia al suo governo – il primo (e con ogni probabilità l’ultimo) guidato da un ex comunista. L’ipotesi che Matteo Renzi sostituisca Enrico Letta a palazzo Chigi nelle prossime settimane – un’ipotesi sciagurata, è bene dirlo subito – ha riportato alle mente di molti osservatori e di qualche protagonista gli eventi di sedici anni fa. Eventi che, a giudizio dello stesso D’Alema, costituiscono il suo unico, vero, riconosciuto errore politico. Le differenze, va sottolineato, sono anche più numerose delle somiglianze, a cominciare dal fatto che Letta non è stato scelto dagli elettori per guidare un governo di centrosinistra, ma è stato scelto dal presidente della Repubblica per dar vita ad una “grande …

"I fantasmi del ’98 e del 2008", di Claudio Sardo

Matteo Renzi ci sta seriamente pensando. La strada per Palazzo Chigi è aperta davanti a lui, solo che decida di percorrerla. Ma pesa il ricordo, anzi il fantasma, del ’98 quando cadde Romano Prodi e fu sostituito alla guida del governo da Massimo D’Alema. Un trauma ancora vivo nella memoria del centrosinistra. Fosse per Renzi andrebbe subito a nuove elezioni: ieri l’ha persino confessato. Gli importerebbe di meno risvegliare l’altro fantasma dei democratici, quello del 2008, quando la vittoria di Walter Veltroni alle primarie del Pd accelerò l’agonia del governo dell’Unione e la fine della legislatura. Il problema è che, senza una riforma elettorale, le urne produrrebbero ingovernabilità e frammentazione. Il segretario del Pd non può permetterselo. Ieri, per rafforzare il proprio impegno sulla legge elettorale, ha detto che essa è indissolubilmente legata alla riforma del Senato: ma tutto ciò allunga i tempi della legislatura e richiede un quadro solido di governo. Per Renzi il nodo è intricato. E la spinta a bruciare i tempi del governo è forte. In realtà, rispetto al ’98 e …

"Tutti giù dal carro di Letta", di Stefano Menichini

Poco credito nei Palazzi alla sopravvivenza del governo. Ma da cosa dipenderà se poi toccherà Renzi, e per quanto tempo? Non è bello quando tutti salgono sul carro del vincitore, figurarsi quando tutti scendono dal carro del perdente. Che è ciò che sta succedendo col governo Letta, in misura eccessiva rispetto ai demeriti di un esecutivo che solo quattro mesi fa (rottura Berlusconi-Alfano) veniva dato per fortissimo e destinato a lunga vita. I Palazzi della politica e dell’economia sono impietosi. Il cambio di linea decretato da Matteo Renzi giovedì li ha solo confermati in una convinzione maturata nell’ultimo mese: questo governo Letta è al capolinea. E siccome il Pd non pare disposto a maquillage tipo rimpasto, e lo stesso presidente del consiglio considera inaccettabile il mero galleggiamento, molti scommettono sulla caduta o sulle dimissioni. Dunque si avvera la profezia agitata contro il sindaco durante le primarie? La convivenza di Renzi segretario e di Letta premier si rivela impossibile? Questa è l’immagine che Renzi vuole smentire e allontanare da sé. Per lui sono oltremodo fastidiosi e …

"Il senato super-light", di Francesco Maesano

Durante la direzione Pd di ieri Matteo Renzi ha tracciato i contorni della “sua” camera alta. Vi siederanno in 150 tra sindaci, presidenti e società civile Non solo risparmi. Durante la direzione Pd di ieri Matteo Renzi ha tenuto a chiarire che la sua proposta di riforma del senato della repubblica, che pure a regime promette di arrivare a quel famoso miliardo di risparmi, non ha solo il senso di una spending review istituzionale. Il faro è l’Italia dei comuni, perché «la centralità del rapporto tra cittadino ed eletto non ce l’ha il consigliere regionale». E allora i 150 posti della nuova camera alta che il segretario Pd ha in mente saranno divisi tra i 108 sindaci dei comuni capoluogo di provincia, i 21 presidenti di regione più altri 21 esponenti della società civile «temporaneamente cooptati dal presidente della repubblica per un mandato». Secondo lo schema di Renzi l’assemblea di palazzo Madama, che perderebbe così la sua natura elettiva, non avrebbe parola sulla fiducia al governo o sulla legge di bilancio. Addio al bicameralismo perfetto. …