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“Uno sfregio più grave dei Buddha di Bamiyan”, di Paolo Matthiae – La Repubblica 27.02.15

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Ormai si è superato ogni limite. Un agghiacciante video del-l’Is documenta la distruzione sistematica delle sculture assire e partiche di Ninive e di Hatra conservate nel Museo Archeologico di Mosul in Iraq, e dei monumentali tori androcefali dei grandi palazzi reali della cittadella di Ninive, Parco archeologico allestito fin dagli Anni ‘70 del secolo scorso nella periferia orientale della stessa Mosul. Opere di incalcolabile valore storico ed artistico degli anni della massima fioritura dell’impero d’Assiria del VII secolo a. C. e del maggiore centro del mondo partico dell’Iraq settentrionale sono state abbattute e poi polverizzate a colpi di mazza.
La nuovissima barbarie che infierisce spietatamente contro il patrimonio culturale dell’Iraq e dell’intera umanità sta andando al di là di ogni più tetra previsione. Dopo la distruzione di parti delle splendide mura di Ninive dell’età di Sennacherib (704-680 a. C.), sono oggi le eccezionali testimonianze scultoree di una delle massime espressioni artistiche del mondo preclassico che sono oggi definitivamente perdute. Chi pensava che la distruzione dei Buddha di Bamiyan in Afghanistan fosse un limite insuperabile deve oggi angosciosamente ricredersi: ora è la volta di capolavori dell’arte assira di Sennacherib e di Assurbanipal a essere ridotti in polvere.
Intellettuali iracheni hanno detto giustamente che una simile barbarie non si era mai vista in quella straordinaria terra di civiltà che è la Mesopotamia da quando i Mongoli di Hulagu, conquistando Bagdad capitale dell’impero abbaside nel 1258, come dissero testimoni attoniti, fecero tingere il Tigri di rosso per il sangue di decine di migliaia di abitanti della sventurata città e di nero per l’inchiostro di migliaia di codici distrutti delle biblioteche di una delle più dotte città del Medioevo. La storia tristemente si ripete in ogni senso perché altre notizie riferiscono della distruzione recente di manoscritti antichi di ogni tipo, arabi, siriaci, greci, della Biblioteca di Mosul. Sono eventi spaventosi e irrimediabili che lasciano senza parole. L’Unesco, come in altri casi, si sta prodigando perché il patrimonio culturale di Siria e di Iraq non venga disperso da scavi clandestini forsennati e organizzati per alimentare il voracissimo mercato internazionale di antichità, ma ormai la misura è colma.
Deve essere l’Onu a proclamare solennemente che distruzioni intenzionali di questo genere non sono tollerabili e deve condannare queste azioni orrende come un crimine contro l’umanità, perché è la memoria della civiltà umana universale ad essere umiliata ed annientata.
(L’autore, archeologo del Vicino Oriente antico, ha scoperto Ebla, uno dei più importanti ritrovamenti del secolo scorso)

“Per i ricercatori a tempo indeterminato cambiare università è praticamente un miraggio”, di Marzio Bartoloni – Scuola 24 26.02.15

“Condannati” a vita (quella lavorativa) a restare nel proprio ateneo. È il destino a cui è costretta la stragrande maggioranza dei ricercatori a tempo indeterminato. Una figura “in via di estinzione”, perché sostituita nel 2010 da quella dei ricercatori a tempo determinato (di tipo a e b) della riforma Gelmini, che però conta ancora quasi ventimila persone. Per loro la mobilità da un ateneo all’altro è praticamente un miraggio. La colpa è a da una parte dei vincoli normativi e dall’altra del taglio delle risorse che in passato servivano proprio a questo compito. Nasce da qui unainterrogazione a firma di Manuela Ghizzoni (Pd) e Ilaria Capua (Scelta civica) depositata nei giorni scorsi in cui si chiede una soluzione al ministro Giannini.

La mobilità è un miraggio
Nella loro interrogazione le due deputate ricordano come i ricercatori universitari a tempo indeterminato rappresentino ancora oggi «nonostante che il ruolo sia stato posto sostanzialmente ad esaurimento» dalla riforma Gelmini una «quota notevole» del personale docente universitario. E tra di loro ci sono anche persone «relativamente giovani assunte dal 2008 al 2010» con le risorse della finanziaria del 2007, ma
«a causa delle vigenti normative è divenuto quasi impossibile per questa categoria di ricercatori trasferirsi da un ateneo all’altro». L’interrogazione spiega infatti come da un lato non possono partecipare a concorsi a posti di ricercatore a tempo indeterminato «in quanto questi non possono essere più banditi» come prevede la riforma Gelmini e dall’altro non possono usufruire facilmente delle procedure di trasferimento previste dalla stessa riforma per due motivi. Innanzitutto «il costo, in denaro e in punti organico, di una chiamata per trasferimento – ricordano le due deputate – sarebbe interamente a carico dell’ateneo» , questo significa che è «meno appetibile» rispetto ad una promozione interna a professore associato o ordinario, o a un’assunzione di un ricercatore a tempo determinato. E poi, prosegue l’interrogazione «queste procedure non possono essere né conteggiate ai fini della condizione di reclutamento esterno di docenti prevista dall’articolo 18, comma 4, della legge n. 240 del 2010, né sono incentivate da specifici finanziamenti ministeriali». E qui c’è l’altro nodo

Niente più incentivi nel Ffo
Come ricordano le due parlamentari in passato il ministero metteva da parte delle risorse ad hoc per facilitare la mobilità: «Per molti anni e fino all’anno 2010, il decreto ministeriale di ripartizione del fondo di finanziamento ordinario (Ffo) prevedeva una quota destinata ad un intervento per favorire la mobilità del personale docente e ricercatore tramite l’assegnazione, a determinate condizioni, di un cofinanziamento dello stipendio della persona chiamata posto a carico della quota prestabilita del Ffo». Ma questa quota a partire dall’anno 2011, è stata «dapprima ridotta e resa applicabile solo ai trasferimenti dei professori di I e II fascia, poi definitivamente eliminata dal decreto di ripartizione del Ffo». A certificarlo sarebbe l’ultimo Ffo, quello relativo al 2014, che non prevede risorse in questo senso. «Eppure la mobilità tra gli atenei del personale docente e ricercatore è unanimemente ritenuta essere un elemento fondamentale per la qualità del sistema universitario, in quanto – spiega in conclusione l’interrgoazione – favorisce il ricambio e una continua innovazione di temi e metodologie sia nella ricerca che nella didattica di un ateneo, anche aprendo spazi culturali e fornendo stimoli importanti per nuove collaborazioni interdisciplinari e interuniversitarie».

 

 

 

Torino – Convegno “Il Ruolo Unico: una rivoluzione necessaria?”

Il 2 marzo, al Politecnico di Torino, parteciperò come relatore al convegno nazionale dal titolo “Il Ruolo Unico: una rivoluzione necessaria?” Discussione nazionale nella prospettiva di una riforma dello stato giuridico della docenza universitaria”.  Il convegno, organizzato dalla Rete 29Aprile dei ricercatori italiani, si pone come obiettivo di promuovere il confronto tra vari attori della società civile e della politica per alimentare la discussione a livello nazionale su un tema veicola aspetti di certo interessanti, anche in vista di identificare nuove prospettive per la valorizzazione del personale docente universitario.

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Roma – YOUniversity.Lab

Giovedì 26 Febbraio, dalle 10 alle 18, presso la sede nazionale di Roma, in via sant’Andrea delle Fratte 16, il Pd promuove YOUniversity.Lab la giornata dedicata all’ascolto e al confronto del mondo universitario e della ricerca.

“Il Presidente Matteo Renzi all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università degli studi di Bologna ha detto che il 2015 sarà un anno ‘costituente per l’Università’. I dati segnalano l’urgenza di un rilancio delle politiche per l’istruzione terziaria. E’ per questo che il Partito Democratico giovedì promuove YOUniversity.Lab, una prima giornata di ascolto e di confronto dedicata all’Università e alla ricerca”.
Così Francesca Puglisi, senatrice, responsabile Scuola, Università e ricerca del Pd “Rilanciare il sistema di diritto allo studio, ringiovanire il corpo docente attraverso nuove politiche di reclutamento, rinvigorire il rapporto tra Università e lavoro, smantellare rigidità burocratiche che bloccano gli Atenei italiani e ne mortificano l’autonomia sono i primi obiettivi al centro della nostra riflessione”.

Ert, Ghizzoni “E’ il riconoscimento dell’importante lavoro svolto” – comunicato stampa – 25.02.15

Ert, Emilia-Romagna Teatro, è stato inserito dalla Commissione consultiva per il Teatro del Ministero dei Beni culturali nell’elenco dei sette Teatri nazionali per il triennio 2015-2017. “Si tratta del riconoscimento di un importante lavoro svolto, in particolare a favore dei giovani e del teatro di ricerca”: commenta la deputata modenese del Pd Manuela Ghizzoni, componente della Commissione Cultura della Camera. Ecco la sua dichiarazione:

 

“L’inserimento di Ert nell’elenco dei Teatri nazionali è il giusto riconoscimento dell’importante lavoro svolto, in particolare a favore dei giovani e del teatro di ricerca. La valutazione fatta dalla Commissione consultiva per il Teatro del Ministero dei Beni culturali è stata particolarmente attenta e si basa sui risultati raggiunti nei diversi parametri misurati, tutti riconducili al teatro di qualità, dalla capacità di innovare l’offerta a quella di intercettare nuovi pubblici, dalla capacità di incentivare reti artistiche (Ert gestisce ben dodici teatri) alla strategia produttiva e all’attenzione ai nuovi linguaggi. In questo modo l’Italia si mette in sintonia con quanto stanno già facendo i più attenti Paesi europei che premiano la rete dei teatri nazionali. La presenza di Ert, per noi, è un sicuro motivo di orgoglio e un ringraziamento va a tutti coloro che hanno lavorato in questi anni per ottenere questo risultato, dal mondo manageriale e artistico legato a Ert fino a quello degli Enti locali che, ai diversi livelli, dalla Regione al Comune, ha sempre creduto in questo settore. Non a caso, uno dei grandi progetti che il Comune di Modena ha in cantiere punta proprio a garantire nuovi e più adeguati spazi per le produzioni teatrali. L’inserimento di Ert in questo elenco ci consegna, nel contempo, anche una grande responsabilità, quella di saper proseguire sulla strada intrapresa, mantenendo inalterato il livello di qualità raggiunto. Saremo, infatti, sottoposti a costante valutazione, ma questo non potrà che essere un ulteriore stimolo a fare sempre meglio”.

“Turchia. Nei panni delle donne”, di Marco Ansaldo – La Repubblica 24.02.15

«Nessuna pietà per gli assassini. Indossa anche tu una gonna per Ozgecan ». Chi percorre in questi giorni Istiklal Caddesi, la via del tramvai rosso, cuore di Istanbul e polso della Turchia, si imbatte in variopinti manipoli di maschi vestiti da donna. Abiti plissettati e calze di seta nera spuntano da gambe con polpacci da terzino e teste barbute. Ma i volti sono seri. Nessuna moina o presa in giro. Solo una domanda che gira intorno: «E tu la gonna l’hai messa?».
Ci sono uomini con i cerchietti fra i capelli e padri con i figli nel marsupio. Chi canta. Chi applaude. Chi leva i pugni al cielo. Chi innalza cartelli rosa. Chi urla slogan. Tutti per Ozgecan Aslan, la ragazza di 20 anni stuprata, uccisa, amputata, bruciata, gettata nel fiume la settimana scorsa a Tarso, la città di San Paolo, nel sud, perché si opponeva a una violenza sessuale sull’autobus verso casa.
Da dieci giorni la Turchia si interroga. E l’immagine della studentessa è riflessa ovunque. In molte città sono state organizzate manifestazioni. A Mersin le donne si sono incatenate davanti al tribunale. E al funerale, all’imam che intimava alle amiche di restare indietro per lasciare da tradizione il posto agli uomini, si sono tutte piazzate in prima fila davanti al feretro, caricandosi poi loro la bara sulle spalle. Un milione di tweet ha finora risposto all’invito #sendeanlat (anche tu racconta la tua storia).
È stata però la reazione dei maschi a sorprendere. I turchi sono gente molto creativa. Due anni fa si erano inventati, durante la rivolta di Gezi Park, “l’uomo in piedi” davanti alla gigantografia del fondatore laico Atatürk, gesto diventato una protesta cumulativa in piazza di gente muta e severa, dritta in un silenzio contundente contro il governo islamico. Poi “l’uomo che legge un libro” per manifestare a migliaia contro lo stesso obiettivo. Ora, sotto il nuovo hashtag “Indossa una gonna per Ozgecan”, signori di ogni età hanno finito per postare le loro foto su Twitter, Facebook e Instagram, ritraendosi per solidarietà in indumenti femminili. Domenica, alle tre del pomeriggio si sono anche dati appuntamento a Piazza Taksim. E ad Ankara, Smirne, e nelle province, continuano ancora a scendere per strada. Uniti indossando la gonna.
Ozgecan studiava psicologia. Lo scorso 13 febbraio, rientrando da Mersin, era l’ultimo passeggero del minibus. Il conducente aveva cercato di violentarla. Lei si era divincolata, resistendo, spruzzando del liquido al peperoncino e graffiandolo in faccia. L’uomo l’ha però sopraffatta, picchiata, accoltellata. Da morta le ha tagliato le mani. Facendosi infine aiutare da due complici ha bruciato il corpo, buttandolo nel fiume. Due giorni dopo l’hanno scoperto e lui ha confessato. Al processo rischia ora 36 anni di carcere. Un crimine che ricorda la vicenda di Pippa Bacca, l’artista milanese nipote di Piero Manzoni, uccisa nel 2008 in Turchia, mentre vestita da sposa faceva la sua performance itinerante in autostop come già in tante altre strade del mondo. Il suo corpo gettato in un fosso.
Dice l’economista Guven Sak: «Lo slogan “Avete sentito il grido di Ozgecan?” echeggia adesso in proteste massicce. Non è facile essere donna in Turchia. Su questo siamo un po’ come in India, dove una fisioterapista di 23 anni è stata violentata e uccisa da una gang in un autobus a sud di Delhi. Qui uguale. Devo confessare che non abbiamo sentito in tempo il grido di Ozgecan».
Il Paese è sotto shock. L’omicidio della studentessa ha scoperchiato una sequela di orrori che pare non fermarsi. Ad Antalya, località balneare rinomata, il 19 febbraio una ragazza di 23 anni è stata uccisa dal fidanzato di 29 dopo un litigio in macchina. L’uomo ha cominciato a guidare aprendo la portiera per cacciarla giù, fino a quando la testa della fidanzata non è rimasta sotto le ruote. Lo stesso giorno, nella provincia meridionale dell’Hatay, vicino al confine siriano, un giovane di 19 anni ha cercato di violentare una ragazzina di 12. L’ha avvicinata su un minibus, picchiata e minacciata col coltello. La polizia è arrivata sulla scena trovando le finestre della vettura bloccate mentre il ragazzo stava stuprando la bambina. Poche settimane fa un altro caso è arrivato in prima pagina: quello di una donna accoltellata e segata dal marito in 52 pezzi nei sobborghi di Istanbul. I giornali di ieri dicono che i vicini avevano sì sentito dei rumori, ma non avevano preso alcuna iniziativa a favore della donna.
Le polemiche si abbattono sul governo, molto osservante sui temi religiosi, meno sulla protezione femminile. I media riportano dati allarmanti. Le violenze contro le donne sarebbero aumentate del 1400% da quando, nel 2002, il partito islamico è al potere. Sotto accusa le tradizioni conservatrici, tutt’altro che egalitarie, imperanti soprattutto nelle zone più interne e orientali del Paese, dove la minore considerazione delle donne trova radici consistenti. La responsabile della Famiglia e delle Politiche sociali, Aysenur Islam, la sola ministra nel governo, risponde che la legge vigente sulla violenza alle donne basta: «Il problema — spiega — è piuttosto il procedimento. Che è a discrezione del giudice. E visto che i magistrati sono indipendenti, noi non possiamo dire: “Deve andare così o deve andare cosà”. Ma penso che i giudici non debbano mai usare il loro potere discrezionale contro i responsabili».
La giornalista di Hürriyet, Melis Alphan, ha messo in fila, una dietro all’altra, le violenze più recenti. Un elenco da brivido. «Tre uomini hanno trascinato una donna per 230 metri, uccidendola: la sentenza a 36 anni è stata ridotta a 30 per “buona condotta” in tribunale. Un uomo che ha assalito sessualmente una turista giapponese in auto è stato punito con 1 anno e 8 mesi di reclusione: per il suo comportamento rispettoso all’udienza la sentenza è stata posposta. All’amministratore scolastico che aveva abusato sessualmente di 4 ragazzine è stata comminata una sentenza leggera solo su due di esse, perché la loro salute fisica e psicologica non ne aveva risentito; e la solita “buona condotta” gli è poi valsa la riduzione di un sesto della pena. Il 25enne che ha abusato due bambini di 4 e 6 anni ha ottenuto 5 anni di punizione, ma poiché la psicologia dei bambini non risultava danneggiata è stato rilasciato. Un uomo che ha buttato dal balcone la moglie e il suo amante si è visto ridurre la pena dall’ergastolo a 25 anni perché il rossetto trovato sul collo del rivale è stato considerato una provocazione». Si potrebbe continuare.
L’altra settimana nel quartiere sulla sponda asiatica di Istanbul un commerciante ha ucciso a colpi di coltello un giornalista che giocava a palle di neve con gli amici perché gli avevano rotto un vetro del negozio. «Questo Paese ha bisogno di una terapia — commenta Guven Sak — le nostre menti sono stressate oltre il limite, incapaci di ascoltare il grido di aiuto che arriva».
La storia di Ozgecan ha scoperto un nervo a lungo nascosto. E la Turchia, che vive a fior di pelle, si conferma un Paese pieno di contraddizioni: a volte meraviglioso, a volte tremendo. Impossibile da classificare. Dove metà donne indossano il velo, e le altre trucco e tacco sotto abiti non castigati. Con i maschi anch’essi divisi. Uomini che odiano le donne. E uomini che portano le gonne.

Parlamentari Pd “Solidarietà a Garavini, vittima attacchi fascisti” – comunicato stampa – 21.02.15

 

I parlamentari modenesi del Pd Davide Baruffi, Carlo Galli, Manuela Ghizzoni, Maria Cecilia Guerra, Edoardo Patriarca, Giuditta Pini, Matteo Richetti e Stefano Vaccari esprimono solidarietà alla collega Laura Garavini, deputata modenese Pd eletta nel Collegio Europa, per i vili attacchi di chiara matrice fascista di cui è vittima. Ecco la loro dichiarazione:

“Attacchi vigliacchi frutto di una ideologia condannata dalla storia. La collega modenese del Pd Laura Garavini è stata oggetto di violenti insulti sul web per aver stigmatizzato la presenza, sempre più straripante, sul web di siti e pagine di chiara matrice fascista e nazista. A Laura va tutta la nostra solidarietà. Siamo al suo fianco nel condannare ogni rigurgito di una ideologia anti-democratica, razzista e intollerante. La democrazia è una conquista che va continuamente difesa, questo ci ha insegnato la Resistenza, questo pratichiamo ogni giorno con il nostro impegno politico”.