In media ogni nucleo ha da parte 140 mila euro, ma cresce il numero degli indebitati e di chi è in bolletta. Cambia il portafoglio: meno risparmi anche se si torna a comprare Bot e la casa resta tra i beni preferiti. Povere famiglie. La crisi entra nelle case degli italiani e riporta la loro ricchezza agli anni Novanta. Fa aumentare le disuguaglianze tra ricchi e poveri. Fa lievitare il numero di chi si ritrova «in bolletta».
Contraccolpi e trasformazioni in tempi di vacche magre, secondo uno studio periodico della Banca d´Italia. Molti numeri, pochi commenti, com´è nello stile di questi economisti. Ma certe cifre fanno ben capire quanto pesa la recessione. Per esempio: nelle mani del 10% degli italiani si concentra il 45,9% della ricchezza totale. La metà più povera del paese ne detiene solo il 9,4%. O anche: dal 2007, al 2011 la ricchezza delle famiglie è diminuita del 5,8% in termini reali. Significa che si assottiglia il valore delle case, che calano i risparmi di una vita. E, non ultimo, il 2,8% dei nuclei familiari – quasi tre su cento- è totalmente in «rosso». «Ricchezza netta negativa», nel linguaggio asettico degli economisti del governatore, Ignazio Visco. Ovvero, stando alla definizione tecnica di questa grandezza, vuol dire che i cittadini meno fortunati non hanno nè abitazioni né terreni, niente depositi, titoli o azioni al netto delle cosiddette passività, cioè mutui e prestiti personali. Sono in bolletta, appunto. Con la recessione che incombe, le disparità sono ora cosi´ vistose da meritare una nota: «La distribuzione della ricchezza è caratterizzata da un elevato grado di concentrazione», si legge nel testo. «Molte famiglie ne detengono livelli modesti o nulli; all´opposto, poche famiglie dispongono di una ricchezza elevata».
Tempi duri, perciò. E lo si capisce anche da un´altra sventagliata di numeri, quelli che quantificano i colpi della crisi nell´ultimo biennio e dunque calcolano il grado di erosione della ricchezza: meno 3,4% solo nel periodo 2010-2011. Nel primo semestre di quest´anno, il calo (in termini nominali) è dello 0,5%. Altro dato, stesso lasso di tempo: la ricchezza pro capite diminuisce dell´1% a prezzi correnti e del 3,7% a prezzi costanti, un livello «simile a quello della fine degli anni Novanta». Oppure: la ricchezza netta complessiva a prezzi correnti scende nel biennio di 63 miliardi di euro. E per finire: la ricchezza netta per famiglia – dati 2011- è di 350 mila euro. Quella totale è pari nella stessa data a 8.619 miliardi. Pro-capite, si tratta di circa 140 mila euro. Le passività finanziarie, ovvero i debiti, sono pari a 900 miliardi di euro, il 9,5% delle attività complessive.
Qua e là il rapporto riserva alcune sorprese. Una è questa: premesso che tra le cosiddette attività reali, regna la casa, la novità è che gli italiani ricominciano a comprare Bot e Btp. Ben 30 miliardi in più, solo l´anno scorso, lo stesso livello del 2009. Un´altra sorpresa: nel confronto internazionale – dati 2010- la ricchezza netta delle famiglie è pari a 8 volte il reddito disponibile, contro l´8,2 del Regno Unito, l´8,1 della Francia, il 7,8 del Giappone, il 5,5 del Canada e il 5,3 degli Usa. Di fronte a questo spaccato, i consumatori del Codacons chiedono al governo di pensare ad un «contributo straordinario di solidarietà» per quel 10% di ricchi.
La Repubblica 14.12.12
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“Tobin tax all’italiana parte a marzo 2013”, di Bianca Di Giovanni
La Tobin Tax scatterà da marzo per la compravendita di tutti i titoli azionari, tranne che per i derivati, che subiranno il prelievo da luglio 2013. È quanto prevede l’emendamento alla legge di Stabilità presentato ieri dal governo. L’iter della legge di bilancio procede a rilento, nonostante l’urgenza del varo entro Natale. Ieri la commissione ha iniziato i lavori solo nel pomeriggio, dopo un’intera mattinata di riunioni tra i relatori e i rappresentanti del governo. Motivo del contendere la grande quantità di norme che l’esecutivo vorrebbe far confluire nel provvedimento, che sta diventando di fatto un decreto omnibus, nonostante la riforma della legge di bilancio prevede che il testo contenga soltanto norme di carattere finanziario. Non a caso in serata il relatore Pdl Paolo Tancredi ha escluso la possibilità che entri nel provvedimento anche il cosiddetto salva-infrazioni Ue, che a questo punto dovrà trovare un binario proprio.
Oltre alle modifiche alla tassa sulle transazioni finanziarie, sono arrivate ieri anche altre proposte sul credito d’imposta per le assicurazioni, che prevede un «tetto» allo sconto fiscale commisurato alle riserve tecniche in bilancio. Un’altra proposta prevede l’aumento dell’imposta di bollo per le società fino a 4.500 euro. L’incremento, dalla soglia precedente di 1.200 euro, scatterà dal 2013 e vale solo «per i soggetti diversi dalle persone fisiche». Resta aperta la «questione» ammortizzatori, che per la Cgil restano insufficienti, mentre altri contestano la sottrazione di fondi alla formazione. Ancora non è previsto alcun emendamento sulla proroga degli sfratti, solitamente inserita nella legge di bilancio di fine anno.
IL PRELIEVO
La Tobin tax «italiana», prevista però anche su contratti effettuati all’estero, prevede due aliquote distinte e due diversi timing. L’imposta scatterà da marzo 2013 per i mercati regolamentati con aliquote allo 0,12% per le transazioni «semplici» e allo 0,02 per quelle più speculative. Si tratta di «negoziazioni ad alta frequenza», ovvero le attività «generate da un algoritmo informatico che determina in maniera automatica le decisioni relative all’invio, alla modifica o alla cancellazione degli ordini». La nuova norma, spiega il governo, «riguarda le operazioni effettuate elettronicamente in periodi di tempo molto ristretti e stabilisce che l’imposta venga applicata sugli ordini cancellati o modificati, laddove la proporzione rispetto a quelli eseguiti ecceda una determinata soglia numerica». Per i derivati il prelievo scatta da luglio ed è fissato a quota e allo 0,22% per il 2013. Dal 2014, poi, le aliquote scenderanno allo 0,1% per i mercati regolamentati e allo 0,2% per quelli non regolamentati (i cosiddetti «Otc», over the counter). La maggiorazione nel 2013 è dovuta all’esigenza di compensare il rinvio di qualche mese per l’imposta (che sarebbe dovuta scattare a gennaio), senza ridurre il gettito fiscale a fine anno previsto in circa un miliardo. Sono esentati dal prelievo i cosiddetti «market maker», ovvero gli intermediari finanziari che pubblicano i prezzi di acquisto e di vendita dei titoli quotati in borsa e in loro possesso, permettendo agli altri investitori di comprare o vendere a quei prezzi. Il provvedimento tiene infatti in considerazione il fatto che l’attività di supporto agli scambi effettuata dai «market maker» svolge un ruolo fondamentale nel fornire liquidità ai mercati, in particolare nei segmenti delle «small cap» (le aziende a bassa capitalizzazione), e che quindi l’applicazione dell’imposta potrebbe rappresen- tare un freno di tale funzione.
La presentazione dell’emendamento arriva nel giorno in cui il Parlamento europeo dà il via libera a larghissima maggioranza (533 sì, 91 no, 32 astenuti), al consenso alla Tobin Tax per la cooperazione rafforzata 11 paesi, tra i quali l’Italia, che hanno manifestato l’intenzione di adottarla.
Nel frattempo la Camera dà il sì definitivo al decreto legge in materia di sviluppo. I voti a favore sono stati 261, 55 i contrari, 131 gli astenuti. Il Pdl si è astenuto; Lega e Idv hanno votato contro. Nel testo misure per le start up e l’agenda digitale, credito di imposta per le infrastrutture. Tra le misure, però, an- che lo «scivolo» per i manager e la pro- roga delle concessioni delle spiagge. Per alcuni osservatori resta aperta la questione dell’obbligo di pneumatici da neve, nonostante le rassicurazioni del ministero.
l’Unità 14.12.12
“Sì alle agevolazioni per i danni indiretti”, di Natascia Ronchetti
«Un provvedimento dovuto, non abbiamo mai voluto pensare nemmeno per un attimo che non si arrivasse a questo risultato». Pietro Ferrari, presidente degli industriali modenesi, incassa soddisfatto l’emendamento alla legge di stabilità che estende le agevolazioni fiscali alle imprese che hanno subito danni indiretti a causa dal terremoto. Il provvedimento, dopo l’accordo tra Governo e Regione, è infatti pronto ad approdare in Parlamento con un impianto normativo che accoglie, di fatto, le richieste delle aziende. Avranno diritto a beneficiare delle stesse agevolazioni previste per chi ha subito danni materiali (accesso al finanziamento bancario con successivo rimborso rateizzato, solo a partire dal 30 giugno del 2013, con interessi a carico dello Stato) tutte le imprese, comprese quelle agricole e commerciali, così come i lavoratori autonomi. La concessione delle agevolazioni, previa autodichiarazione all’Agenzia delle entrate, è subordinata alla presenza di alcune condizioni. C’è il parametro di un crollo del fatturato superiore al 20%, tra giugno e novembre, rispetto alla variazione negativa registrata dall’Istat per il settore di appartenenza. Oppure viene richiesta una contrazione superiore al 20% dei costi variabili. Sono infine poste altre condizioni come l’utilizzo di strumenti di sostegno al reddito oppure la riduzione di personale rispetto agli addetti occupati al 30 aprile del 2012. «Abbiamo fatto un altro passo in avanti», dice l’assessore alle Attività produttive dell’Emilia Romagna, Gian Carlo Muzzarelli. Se resta comunque l’incognita del responso della Ue (Bruxelles deve pronunciarsi sulla compatibilità del provvedimento) anche gli artigiani si mostrano soddisfatti. «Un risultato importante», dicono dalla Cna della provincia di Modena. Gli spazi per ottenere l’estensione dei benefici fiscali, del resto, c’erano, dato che fino ad ora nella sola Emilia le domande di accesso alle agevolazioni hanno raggiunto un importo inferiore alle attese (750 milioni). Resta aperto il problema dei contributi previdenziali. La mancata proroga della sospensione delle trattenute, denuncia la Cgil dell’Emilia Romagna, in alcuni casi ha portato a buste paga ridotte a 300 euro.
Il Sole 24 Ore 14.12.12
“Scuola, se cala la capacità di comprendere la lettura”, di Benedetto Vertecchi
Ancora una volta, la pubblicazione dei dati di un’importante ricerca comparative sui risultati conseguiti in vari sistemi scolastici è stata l’occasione per esprimere giudizi da bar dello sport. In questo caso, si tratta di una rilevazione promossa dall’International Association for the Evaluation of Educational Assessment (Iea), volta ad accertare il livello di capacità di comprensione della lettura raggiunto dagli allievi che frequentano il quarto anno del ciclo dell’istruzione primaria (Pirls, acronimo di Programme for International Reading Literacy Study). In Italia, tale definizione individua i bambini di nove anni. Rilevazioni precedenti avevano consentito di esprimere un giudizio ampiamente positivo sulla capacità di comprensione raggiunta nelle scuole elementari italiane. L’Italia si collocava, infatti, nelle prime posizioni della graduatoria. Ora è emersa una situazione diversa: le nostre scuole, pur continuando a collocarsi al di sopra della media dei Paesi partecipanti, sono scivolate di molte posizioni nella classifica internazionale. Sono subito emerse due linee interpretative. Da un lato si è sostenuto che la perdita è stata modesta, e comunque ci si trova di fronte ad un quadro che è ancora fondamentalmente positivo. Ma, dal lato opposto, si è fatto osservare che i risultati meno positivi sono stati ottenuti in un periodo di tempo in cui le scuole elementari hanno subito gli effetti devastanti delle modifiche degli ordinamenti (mi rifiuto di chiamarle riforme) introdotte quando responsabili del ministero dell’Istruzione erano prima Letizia Moratti e, dopo un paio d’anni di intervallo, Mariastella Gelmini. Anche se questa seconda posizione ha molto di vero, considerato il basso profilo degli interventi menzionati, credo che in un caso e nell’altro ci si limiti a rilevare sintomi marginali di un male molto maggiore, che non ha origine nel sistema scolastico, anche se per molti versi è proprio l’attività educativa quella che deve subirne le conseguenze più gravi.
Infatti, sullo sviluppo della comprensione della lettura influiscono sia le decisioni didattiche assunte all’interno della scuola, sia le esperienze che gli allievi compiono al suo esterno. Da troppo tempo le scelte politiche hanno lasciato che si affermasse a livello sociale una cultura che contrasta sostanzialmente con quella che fa da supporto all’educazione scolastica. Bambini e ragazzi sono sottoposti a condizionamenti il cui intento principale è di accrescerne la propen- sione al consumo e, per ottenere che questo intento si realizzi, si ricorre a messaggi di facile acquisizione, che non richiedono un particolare impegno per essere compresi, che comportano un numero limitato di parole e sono privi di asperità grammaticali e sintattiche. Sul piano della motivazione, i messaggi sono resi accattivanti per le prospettive di successo che evocano o a cui alludono. I messaggi sono proposti da personaggi sorridenti, nei quali tutto mostra che abbiano raggiunto i risultati che fanno intravedere e che si traducono, nell’immediato, nell’acquisizione di oggetti del desiderio e, in prospettiva, di quantità indefinite di denaro.
Tutti sono felici, ma nessuno spiega perché lo siano. È possibile che non ci si ponga mai il problema delle conseguenze che può avere sulla popolazione l’assenza di una politica per l’educazione e la cultura sottratta alle rozze logiche speculative che ormai sembrano padrone incontrastate del campo? Eppure, si tratta di un problema non solo italiano, per il quale altrove sono già state elaborate soluzioni, che consistono nell’accrescere il tempo di funzionamento delle scuole per contrastare l’effetto dei condizionamenti esterni. Bambini e ragazzi trascorrono a scuola gran parte del loro tempo, svolgendo attività il cui scopo è di bilanciare l’incidenza negativa delle esperienze che si compiono nella vita quotidiana.
Negli anni passati si sono avute continue riprove di quanto poco le rilevazioni a fini valutativi siano considerate il punto di partenza per riflettere sui mutamenti in atto nella cultura e nella società, e per assumere le decisioni capaci di contribuire e orientare i cambiamenti attraverso l’educazione. C’è bisogno di affermare interpretazioni meno anguste della valutazione del sistema scolastico: non basta rilevare che i dati non soddisfano, ma si devono cercare le ragioni delle difficoltà che le scuole incontrano nello svolgimento del loro compito. La ricerca valutativa non può esaurirsi in rilevazioni impegnative (come sono quelle che coinvolgono tutti gli allievi), dalle quali provengono solo modeste indicazioni su ciò che non funziona e nessuna indicazione sul perché. Occorre esaminare l’evoluzione del linguaggio, delle strutture argomentative, dei repertori sapienziali, degli apprendimenti impliciti e via elencando. E non ci si può limita- re ad un esame dall’interno delle scuole, ma si deve considerare in che modo sulla loro attività si esercitino i condizionamenti dall’esterno.
L’Unità 14.12.12
“Due italiani tra i sette fisici migliori, un premio sottolinea il genio nazionale” di Giovanni Caprara
È il primo premio assegnato alla scoperta del bosone di Higgs, la famosa «particella di Dio» annunciata nel luglio scorso al Cern di Ginevra. Il Fundamental Physics Prize ha riconosciuto il merito dei sette ricercatori che hanno conquistato il risultato inseguito da mezzo secolo, dopo che il fisico britannico Peter Higgs aveva teorizzato l’esistenza della particella subatomica in grado di dare la massa a tutte le altre particelle. L’averla identificata con il superacceleratore Large Hadron Collider del Cern ha chiuso un capitolo della fisica aprendone un altro tutto ancora da scrivere.
Ma la notizia che ci rallegra è che ben due dei sette scienziati sono italiani: Fabiola Gianotti e Guido Tonelli; Fabiola ancora alla guida dell’esperimento Atlas e Guido che è stato fino a ieri a capo dell’esperimento CMS entrambi destinati a trovare per vie diverse lo stesso risultato così da avere conferma della sua validità. Ed è quello che sono riusciti a conquistare. Il Premio è stato annunciato con legittimo orgoglio al Cern dove verrà assegnato nel marzo prossimo. Ma con altrettanta legittima soddisfazione il riconoscimento è vissuto nella nostra comunità scientifica perché entrambi i ricercatori sono cresciuti sotto l’ombrello dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn).
Se la scoperta del bosone è ormai un risultato ufficiale e accettato dai fisici, il Premio sottolinea il valore di una scuola della cultura scientifica italiana da mantenere viva date le capacità dimostrate. Tra l’altro il Fundamental Physics Prize segnala anche nella categoria aggiunta dei «Nuovi orizzonti» il giovane Davide Gaiotto per i suoi studi di geometria e fisica teorica. Una promessa per il domani. Il Premio di tre milioni di dollari, più elevato dello stesso Nobel, è assegnato da una fondazione creata dal magnate russo Yuri Milner, ex fisico passato al business con successo. La fondazione ogni anno crea un giuria internazionale per stabilire i premi. «Il denaro — ha ricordato Fabiola Gianotti — sarà utilizzato per aiutare i giovani fisici provenienti dai Paesi economicamente disagiati». Ora si aspetta il Nobel.
Il Corriere della Sera 13.12.12
“Pd, sì alle primarie anche per i big. Si voterà il 29-30 dicembre”, di Carlo Bertini
Il segretario «Sappiamo di chiedere uno sforzo eccezionale ai nostri militanti e ai nostri elettori, ai limiti dell’impossibile, ma vogliamo cambiare davvero la politica», ha spiegato ieri Bersani. «Noi siamo un’altra cosa rispetto a tutti gli altri, si vince mettendoci in gioco, con queste primarie dimostriamo che non molliamo sull’impegno al rinnovamento. E poi, io mi sono fatto contare, ora è il momento che tutti si mettano in gioco». Il Bersani-pensiero che si raccoglie al Nazareno, dove in serata si conclude una riunione fiume con i segretari regionali e vari big, è quello di un leader che dopo aver rischiato l’osso del collo ed aver vinto la sua sfida con Renzi, spinge il partito ad accettare una sfida con molte incognite, facendo imbufalire tutti i peones. Se con quel voler essere diversi dagli «altri» si intende non solo Berlusconi e Grillo, ma anche quel rimestio tra i moderati che coinvolge Monti e Casini, si capisce che il Pd voglia usare questa mossa per riguadagnare il centro della scena, dopo giorni in cui l’agenda della politica è dominata dal Cavaliere. Se poi queste primarie costringeranno big e peones a contarsi, si capisce che così Bersani si smarca dal pressing dei maggiorenti sulle liste. Evitando pure di dover garantire una quota a Renzi: il quale apprezza, «io alle primarie dico sempre di sì», malgrado il suo braccio destro Reggi sollevi una polemica sui tempi stretti e le regole di ingaggio. Certo è che, oltre a lui, renziani doc come Marcucci, Della Seta, Vassallo, Sarubbi, Giachetti, Realacci, Ceccanti, Scalfarotto e Ichino saranno in lizza, così come la coordinatrice della campagna Simona Bonafè, mentre non si sa cosa farà Giorgio Gori.
Ma nel Pd si scatena un uragano, perché, anche i più in vista come Letta, Franceschini e i futuri capilista difficilmente potranno sottrarsi. Tutti saranno costretti a misurarsi: dalla segreteria al completo, compresi i «giovani turchi» come Orfini o Fassina, fino alla portavoce delle primarie Alessandra Moretti. Non dovrebbero esserci insomma troppi posti al sole garantiti, ma la polemica sul «listino bloccato», la quota del 10% decisa nella capitale, è già accesa. «Io e Fassina – racconta Orfini – in segreteria abbiamo detto che tutto il gruppo dirigente, membri della segreteria e parlamentari uscenti, deve candidarsi. Ma ci spiace dover dire che la nostra posizione è rimasta abbastanza isolata». Comunque sia, dopo il passo indietro di Veltroni, D’Alema, ieri anche della Finocchiaro, gli altri big come Bindi, Fioroni, Marini, dovranno farsi votare a scrutinio segreto una deroga ai tre mandati lunedì in Direzione, con tutto quel che può comportare un passaggio di questo tipo.
«Sappiamo di chiedere uno sforzo ai limiti dell’impossibile ai nostri militanti ed elettori, ma noi vogliamo cambiarla davvero la politica», dice il segretario. Strumento di campagna elettorale o modo per riparare alle storture del porcellum: comunque le si voglia definire, le primarie per la scelta dei parlamentari sono una novità assoluta che terrà impegnate il 29 e 30 dicembre, sotto le feste natalizie, tutte le truppe di ogni ordine e grado.
Lunedì la Direzione voterà le regole che dovrebbero essere queste: potranno votare gli iscritti al Pd e tutti quelli, tra i 3 milioni delle primarie per la premiership, che vorranno iscriversi al partito. In gara circa 600 nomi, il doppio dei deputati e senatori eletti nel 2008: potranno correre anche i non iscritti al Pd che abbiano l’ok delle assemblee provinciali; almeno il 30 o il 50% delle liste sarà composto da donne e si voterà su base provinciale con listini piccoli. Sindaci, governatori, presidenti di provincia, consiglieri regionali e assessori, per potersi candidare dovranno farsi votare una deroga a maggioranza dalle rispettive assemblee regionali del Pd. Ma sulle incompatibilità c’è un braccio di ferro. Perché il terrore che a prevalere siano i cosiddetti «pacchettisti», quelli con i pacchetti di voti locali, è grande tra i nominati del porcellum.
E subito dopo il via libera della segreteria del Pd, arriva l’annuncio che anche Sel farà le sue primarie per le candidature nelle stesse date. Con Vendola sempre più determinato a far valere il suo peso nell’alleanza, come dimostrano le bordate quotidiane all’indirizzo di Casini. E ieri anche di Monti, che «se si candiderà svelerà la sua vera natura». “Nessuna eccezione Pronti alla sfida i renziani doc che però polemizzano sulla data Previsto comunque un listino bloccato per il 10% dei seggi riservato ai «tecnici»”.
L’Unità 13.12.12
“Beppe tra isteria e narcisismo ora sulla Rete spopola la diagnosi dello psichiatra”, di Filippo Ceccarelli
Respiro pesante e sciarpa al collo, chioma ribelle e sguardo di fuoco, Grillo si scagliava sui dissidenti evocando una guerra «all’ultimo sangue» e in nome di questa intimava loro di non «rompere le palle», perché lui si sta «arrabbiando sul serio», beh, anche rispetto agli elevati standard emotivi del leader M5S quel volto, quel tono, quelle parole e quei gesti restano impressi come un documento di esaltazione piuttosto particolare.
Sennonché proprio il giorno che precedeva lo sfogo di Grillo sulla rete, per l’esattezza sul sito «Doppiozero» (www.doppiozero. com), era comparsa una complessa e acuta psico-diagnosi intitolata: «Isteria e narcisismo a cinque stelle». E se pure il nome e soprattutto il cognome del suo autore potrebbero offrire diversi spunti al comico, che coltiva il vezzo un po’ selvaggio di storcerli e ridicolizzarli, è certo che dell’isteria il professor Pietro Barbetta, università di Bergamo, per titoli e pubblicazioni si può decisamente ritenere uno specialista.
Per farla breve e molto più semplice di come è svolto il suo ragionamento, lo psichiatra interpreta certi aspetti della leadership e della vita interna del M5S alla luce e alla stregua di un «incantesimo totalitario» indotto da una reattività sopra le righe che Grillo propaga mosso dalla coscienza o meglio, forse, dalla maschera della propria sana, integra e incorruttibile purezza. Senza il mio consenso, in altre parole, non solo ci si salva, ma ci si perde.
Questo farebbe di lui un tiranno: «figura classica di una forma di narcisismo». Un tiranno narcisista e carismatico che come tale per natura, vocazione e statuto non ha rispetto per le norme e le istituzioni e che della democrazia coltiva e applica, come del resto un po’ si è capito proprio da quel video, una concezione molto, ma molto personale. Di recente, al grado zero della politica, Federica Salsi ha detto che Grillo «è cattivo». Ma forse la questione è più complicata della cattiveria. Così come sarebbe semplicistico definirlo uno spostato perché richiama nei suoi comizi la Bastiglia, Stalingrado e Norimberga; perché attraversa a nuoto lo stretto di Messina o fa il discorso della Montagna sull’Etna.
Già più interessante sarebbe concentrarsi su una frase che gli è uscita durante la campagna siciliana: «Signori — ha detto — ho perso la mia identità. Non so più se sono un comico, un capopopolo o Gesù». Ma Grillo, si sa, parla, parla, parla e come pochi altri sa come conquistare l’attenzione. Quanto a Gesù, che peraltro fu il suo primo personaggio cinematografico («Cercasi Gesù», 1982), altri politici, prima di tutti il Cavaliere, hanno fatto uso di un linguaggio «cristico», come lo definiscono gli studiosi, a base amari calici, apostoli, miracoli, croci e via mischiando sacro e profano.
Barbetta non fa esempi, né tantomeno rileva che tipi del genere, leader narcisi e aspiranti carismatici, nella Seconda Repubblica ce ne sono stati a iosa, da Berlusconi a Bossi, da Di Pietro allo stesso Mastella, a parte l’insostituibilità di Casini e le oligarchie del Pd — con il bel risultato che la democrazia, quella vera, non è che goda di buona salute, né dispone di affidabili difensori.
Però nel caso di Grillo, che è anche un attore — anche se forse non esattamente il genere di attore che voleva diventare — sostiene il professor Barbetta su Doppiozero che «il gran potere del narcisista consiste nell’ipnotizzare le masse. La macchina narcisista crea un campo magnetico che lascia un segno nella mente di chi ascolta» e «produce una suggestione onirica nello stato di veglia, una dissociazione che si protrae nel tempo». Ancora: questa corda di isteria a tratti simulata e comunque autocompiaciuta «suscita la risata del pubblico assoggettato, attraverso la battuta, attraverso la barzelletta. Tutti ridono, cinicamente», ma «se reiterata, l’induzione può diventare permanente».
Non tutti i lettori, com’è giusto e ovvio, si sono detti d’accordo con questa analisi psichica e di marketing, in fondo. Ma la politica, orfana di ideologie e così legata agli individua, sembra quasi richiedere contributi che un tempo sarebbe stato molto più facile respingere. Nel frattempo, caso abbastanza inedito, l’attore s’è fatto leader e ora la sua recitazione combacia esattamente con la sua azione. Solo che Grillo non calca più il palcoscenico di questa o quella piazza, è l’Italia intera che s’è fatta teatro — e vai a sapere a che punto cala il sipario e chi uscirà per prendersi gli applausi.
La Repubblica 13.12.12