Mario Monti contro Silvio Berlusconi? Ancora una volta, quel che accade in Italia si decide a Milano: nelle sue istituzioni politiche, nelle sue università, nelle sue aziende, nelle personalità che di qui partono, a intervalli regolari, per conquistare Roma. «Milano è la chiave d’Italia», la clef d’Italie, diceva Margherita d’Austria, zia di Carlo V, quando la caduta del Ducato di Milano mise fine alle libertà dell’Italia nel Cinquecento.
Fu chiave e resta tale non tanto per la geografia, quanto per le virtù e i vizi che la città ha mostrato di possedere, prima dell’Unità e fino ai giorni nostri: virtù d’impegno civile, vizi di estraneità allo Stato. Sia Berlusconi che Monti di questa città sono figli, di qui son salpati per Roma: il primo poggiando sulle sue aziende e su Milano 2, il secondo sul vivaio di economisti della Bocconi. Monti si ritiene alternativo all’inventore di Forza Italia, e certo non ha ingombranti interessi privati da anteporre a quelli pubblici. Ha una levatura e un respiro europeo del tutto assenti nel Cavaliere. Ma è alternativo per davvero, ne ha la volontà, oppure è l’altra faccia d’una medaglia che non muta?
Per rispondere a questi interrogativi, e tentare un distinguo fra le due figure milanesi oggi dominanti l’Italia, è assai utile leggere il libro-pamphlet appena pubblicato da Franco Continolo, che per anni ha operato nel mercato finanziario e che la città la vede da vicino se non da dentro, come il dottor Tulp nella Lezione di anatomia di Rembrandt. Il titolo ( Milano «clef d’Italie», edito da Lampi di Stampa) rimanda subito all’essenza: cioè al rapporto della città con lo Stato, la politica, l’Italia. Ed è un libro doppiamente prezioso, perché i punti di vista dell’autore s’intrecciano a quelli di storici e scrittori che lungo i secoli hanno analizzato proprio questo rapporto, e che meticolosamente vengono trascritti e inanellati come in una collana: da Pietro Verri a Manzoni, Croce, Chabod; da Rosario Romeo a Giorgio Rumi.
La tesi del libro è avvincente: pur nell’alternarsi di fasi di rinascita a più lunghe fasi di decadenza,
«Milano bifronte» appare incapace di diventare pòlis, cittàstato, formatrice di classe dirigente. Nell’800, dopo un periodo che Continolo chiama dell’incivilimento, la città, con l’insurrezione antiaustriaca delle Cinque Giornate (18-22 marzo 1848) diventa chiave del Risorgimento, e nei decenni successivi all’Unità può fregiarsi del titolo di capitale morale.
La laicità dello Stato è centrale per gli innovatori («Val più il dubbio d’un filosofo – così Cattaneo – che tutta la morta dottrina d’un mandarino e d’un frate »). Notiamo tuttavia che l’incivilimento, rappresentato da illuministi come Pietro Verri, Cesare Beccaria, Giandomenico Romagnosi, Alessandro Manzoni, Carlo Cattaneo, era stato avviato proprio dalla potenza occupante, l’Austria di Carlo VI, Maria Teresa, Giuseppe II. Fondamentale, per le implicazioni politiche e civili oltre che economiche, fu la riforma del catasto.
Con Bava Beccaris, il generale che guida la repressione violenta, sproporzionata, della sommossa del 6-9 maggio 1898, il fuoco dell’incivilimento risorgimentale si spegne, e la città cessa di essere capitale morale per ridivenire capitale della restaurazione e, non di rado, dell’eversione. Il suo essere capitale morale durò poco: fu un’eccezione alla regola. La sua storia è fatta essenzialmente di quest’eccezione. Dall’incivilimento si passa dunque all’imbarbarimento, al prevalere dell’interesse privato sul pubblico (è il modello ricchezza privata-miseria pubblica), al venir meno della passione che aveva animato la scelta cavouriana e unitaria del vecchio ceto patrizio, al riproporsi dell’alleanza fra potere politico e gerarchie ecclesiastiche.
Su questa fase di decadenza, durata per gran parte del ’900, si sofferma Tommaso Padoa-Schioppa in una lettera del settembre 2009, pubblicata in apertura del libro, quasi un’epigrafe. Scrive Padoa-Schioppa: «Non è un’esagerazione affermare che dei 150 anni trascorsi dal 1861, forse la metà sono stati consacrati alla costruzione dello Stato italiano; altrettanti a una vera opera di distruzione che si è fatta più intensa negli ultimi decenni e ancor più negli anni più recenti». Le responsabilità milanesi non si limitano all’aver suscitato le «tre marce su Roma» – Mussolini, Craxi, Berlusconi – per «mettere un leader politico “decisionista” alla guida del Paese». Un’intera classe imprenditoriale «ha lasciato che nel suo corpo prosperassero le cellule malate dei rapporti impropri con la politica e con le amministrazioni pubbliche, dei capitali sottratti all’impresa e portati fuori dall’Italia, dell’evasione e della corruzione fiscale, della manipolazione dell’informazione economica».
L’imbarbarimento, Continolo lo riassume nel concetto, caro allo storico Rumi, di società senza Stato.
Lo Stato è vissuto come nemico invadente, estraneo ai pragmatici bisogni della borghesia imprenditoriale milanese. E di conseguenza sono nemici la politica, l’impegno civile, il Meridione. Le pagine più terribili del libro evocano l’ostilità dei socialisti di Turati e dei repubblicani milanesi alle celebrazioni del XX Settembre.
Basti citare un articolo de La Critica sociale, diretto da Turati, nel 25° anniversario della breccia di Porta Pia: «Il 20 settembre, simbolo del compimento dell’unità che ci ha disuniti, che ha sovrapposto un minuscolo sciame d’arpie all’immenso popolo degli squallidi lavoratori italiani, non può essere per questi che giorno di raccoglimento e di protesta». Lo sciame d’arpie impersonava il Sud. Lo spirito antimeridionale delle sinistre milanesi fu feroce, e favorì la connivenza con il conservatorismo cattolico.
Così veniamo all’oggi: alla quarta apparizione, nell’orizzonte della politica nazionale e romana, di un milanese di primo rango. Monti non viene da un’impresa
come Berlusconi, ma da un’università, la Bocconi, che non è mai riuscita veramente a selezionare classe dirigente. È giunta l’ora in cui l’Ateneo si riscatta, in cui rivive la tradizione dell’incivilimento? È fondata, la fede di Umberto Ambrosoli nel senso di responsabilità rinato in Lombardia? In apparenza sì, ma molti dubbi restano da chiarire. La continuazione del governo Monti è reclamata a viva voce dai vertici ecclesiastici (Bagnasco, Ruini). Riceve il sostegno di Comunione e Liberazione, che furbamente s’è congedata da Berlusconi. È difficile che con lui tali vertici siano disturbati da leggi sulle questioni dette etiche, cruciali per l’incivilimento e la laicità dell’Italia:
nuove regole sul fine vita, rispetto della legge sull’aborto, unione matrimoniale o semimatrimoniale fra omosessuali. È difficile che Monti difenda la neutralità laica dello Stato, attaccata aspramente dall’arcivescovo di Milano Angelo Scola il 6 dicembre a Sant’Ambrogio. Tanto decisivo è l’imprimatur del Vaticano, e della Dc europea: un imprimatur ingombrante, troppo, ma di buon grado accolto dal Premier.
La laicità è forse la prova nodale per Monti, in un paese dove la Chiesa s’intromette nella politica pesantemente. Dove l’egemonia ecclesiastica non è esercitata dagli eredi del Concilio ma – lo spiega il teologo Massimo Faggioli commentando l’omelia di Scola – dai creazionisti anti Obama del cattolicesimo americano (Huffington Post, 7 dicembre). Sembra enorme, il divario fra Berlusconi e Monti. Ma ancora non sappiamo bene la visione che Monti ha del mondo: se auspichi la riscoperta del senso dello Stato, o se sia un fautore della società senza Stato, senza politica, senza contrapposizione fra partiti. Di una società che tramite i suoi manager, o banchieri, o economisti, «educhi il Parlamento» e la politica, e li sorpassi, come lui stesso ha auspicato il 5 agosto nell’intervista a Spiegel, infastidito dalle tante, lente procedure della democrazia.
La Repubbica 19.12.12
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“Istat: matrimonio, storico sorpasso. Al Nord rito civile supera quello religioso”, da repubblica.it
Il matrimonio religioso resta la scelta più diffusa (60,2%) ma nelle regioni del Nord quello civile nel 2011 ha operato il sorpasso e prevale con il 51,7% rispetto al 48,3% di quello celebrato in chiesa. Nelle regioni meridionali prevale il rito religioso (76,3%), in leggero vantaggio anche al Centro (50,1%). E’ quanto certifica l’annuario statistico dell’Istat, secondo cui la tendenza è per una sempre maggiore diffusione del rito civile: le coppie che decidono di sposarsi davanti all’ufficiale di stato civile sono passate da 79 mila nel 2010 a circa 83 mila nel 2011. Ma in Italia ci si sposa sempre meno: nel 2011 sono stati celebrati 208.702 matrimoni, quasi novemila in meno dell’anno precedente, tasso di nuzialità che passa da 3,6 a 3,4 per mille.
Calano divorzi, aumentano separazioni. Nel 2010 in Italia sono aumentate le separazioni (+2,6%), mentre sono leggermente diminuiti i divorzi (-0,5%). In crescita anche il numero di minori per i quali è stato stabilito l’affido congiunto, che si conferma la soluzione più diffusa sia in caso di separazione (89,9%) sia di divorzio (73,8%). Diminuisce di conseguenza il ricorso alla custodia esclusiva alla madre, che fino al 2006 è stata la più frequente. Nell’anno preso in esame, le separazioni sono state 88.191, rispetto alle 85.945 del precedente, mentre i divorzi sono stati 54.160, a fronte dei 54.456 del 2009. I figli minori coinvolti sono stati 65.427 nel caso delle separazioni e 23.545 per i divorzi.
Mamme sempre più tardi. Altra importante fotografia è quella che l’Istat scatta alla fecondità della popolazione femminile italiana: in lieve aumento, ma si diventa mamme sempre più tardi. Nel 2011 il numero medio di figli per donna si attesta a 1,42 a livello nazionale, contro l’1,41 dell’anno precedente. Il valore raggiunge 1,48 al Nord, che si conferma l’area della Penisola con la fecondità più alta. All’interno dell’Unione europea a 27 i paesi con un minor numero medio di figli per donna sono la Lettonia (1,17), l’Ungheria (1,25) e la Romania (1,33 ); l’Italia si posiziona al decimo posto. In ogni caso le donne diventano madri sempre più tardi: 31,3 anni è l’età media al parto in Italia, il valore più alto fra i paesi europei, lo stesso di Liechtenstein e Svizzera, seguono Irlanda e Regno Unito (31,2).
Meno aborti, più interruzioni spontanee. Diminuiscono le interruzioni volontarie di gravidanza tra le donne italiane, ma al contempo si registra una impennata degli aborti spontanei soprattutto tra le over-35, complici le maggiori difficoltà nell’affrontare una gravidanza in età avanzata. Il tasso di abortività (calcolato per mille donne di età 15-49 anni) per il 2010 (dato parziale) è risultato essere pari a 7,9, dopo un decennio di assestamento intorno al 9 per mille. Nel 2010, l’area con il più elevato ricorso all’aborto risulta essere l’Italia centrale con 9,1 casi ogni mille donne, mentre una situazione opposta si rileva nel Mezzogiorno con un valore pari a 7,9. Cresce il numero di interruzioni volontarie tra le donne immigrate, arrivando a quota 33,4% nel 2010 e facendo registrare un picco di aborti tra le donne straniere pari al 43% in regioni come Veneto, Emilia Romagna e Umbria. Aumentano invece gli aborti spontanei: il numero assoluto di casi registrati è passato da 56.157 (nel 1982) a 73.722 (nel 2010), con un aumento del 31%. L’età avanzata della donna, rileva l’Istat, “risulta essere un fattore cui si associa un rischio di abortività più elevato”.
Sud, sei donne su 10 fuori del mercato del lavoro. Il tasso d’inattività per la componente femminile è ancora particolarmente elevato, nonostante il calo registrato nel corso del 2011 (48,5% nel 2011 rispetto a 48,9% di un anno prima), specie nel Mezzogiorno, dove poco più di sei donne ogni dieci in età lavorativa non partecipano al mercato del lavoro. Per inattivi si intende coloro che né sono occupati né cercano lavoro.
Occupazione: cresce, ma sempre meno tra i giovani. Crescono gli occupati in Italia, ma non tra i giovani. Nel 2011 – sottolinea l’Istat – sono 22.967.000 gli occupati, in aumento, dopo due anni di discesa, di 95.000 unità rispetto all’anno precedente. Risultato della sintesi tra una riduzione della componente italiana, controbilanciata dall’aumento di quella straniera (+170.000 unità). La quota di lavoratori stranieri sul totale degli occupati raggiunge il 9,8% (9,1% nel 2010)”. Il tasso di occupazione è al 56,9%, valore ampiamente al di sotto della media Ue (64,3%), quello maschile si attesta al 67,5%, mentre il tasso riferito alle donne si posiziona al 46,5%. Secondo l’Istat, “rimangono ampi i divari territoriali, con il tasso di occupazione che al Nord è oltre venti punti più elevato di quello dell’area meridionale”.
Nel 2011, nella fascia tra i 15 e i 34 anni, l’occupazione registra un calo tendenziale del 3,2% (-200mila unità). Nel 2011 si contano 1 milione 128 mila persone in cerca di lavoro tra i 15 e i 34 anni, con un picco del 40,4% nel Mezzogiorno. Da sottolineare, poi, come tra i giovani fino a 29 anni il tasso di disoccupazione dei laureati sia più elevato rispetto a quello dei diplomati. Conseguenza del più recente ingresso nel mercato del lavoro di chi prolunga gli studi, ma anche dalle crescenti difficoltà occupazionali dei giovani, pur con titolo di studio elevato.
Gli occupati crescono sia nella classe di età centrale, fra i 35 e i 54 anni (+143.000), sia soprattutto fra gli over 55(+151.000) tendenza da ricondurre, secondo l’Istat “ai requisiti sempre più stringenti per accedere alla pensione” e alla posizione professionale: “La crescita degli occupati riguarda esclusivamente i lavoratori dipendenti (+130.000 unità), mentre gli indipendenti tornano a ridursi (-0,6%, pari a -36.000 unità) dopo il leggero incremento osservato nel 2010”.
A livello di settore, l’occupazione nell’agricoltura registra una nuova flessione (-1,9%, pari a 16.000 unità in meno), mentre l’industria in senso stretto segna, dopo tre anni di calo, un moderato recupero (+1,4% pari a +63.000 unità). Prosegue a ritmi più sostenuti il calo nelle costruzioni (-5,3% pari a -102.000 unità) mentre nei servizi l’occupazione torna a crescere (+1%, pari a 151.000 unità in più), dopo la sostanziale stabilità del 2010.
Imprese, il 95% è micro. La struttura produttiva italiana continua ad essere caratterizzata da una larga presenza di micro-imprese (con meno di 10 addetti), rappresentative del 94,8% delle imprese attive. Con riferimento al 2009, l’Istituto sottolinea come la dimensione media delle imprese si mantenga stazionaria negli ultimi anni, intorno a un livello, molto basso, di 3,9 addetti per azienda.
Imprese, il 37,5% commercia online. Nel 2012 il 95,7% delle imprese con almeno 10 addetti dispone di una connessione a Internet e il 37,5% si avvale del commercio elettronico. Il 93,6% delle aziende è connesso a Internet in banda larga fissa o mobile, ma solo il 26% circa delle imprese connesse a Internet dichiara di disporre di velocità nominali pari o superiori a 10 Mbps. Il 64,5% delle imprese dispone di un sito web, ma solo il 10,6% dichiara di offrire sul sito servizi per ricevere ordinazioni o prenotazioni online.
Ricerca, spesa italiana in coda Ue. L’Italia è il fanalino di coda nell’Unione Europea per le spese in ricerca, con un investimento pari all’1,26% del Prodotto Interno Lordo contro la media Ue del 2.01% del Pil. Complessivamente, nel 2009 l’Italia ha investito in ricerca 19.209 milioni, considerando i finanziamenti da parte di imprese, istituzioni pubbliche, istituzioni no profit, università. Dopo l’Italia si collocano Ungheria, Lituania, Polonia, Malta, Bulgaria, Cipro, Slovacchia, Romania e Lettonia. A guidare la classifica dell’Unione Europea ci sono Finlandia, Svezia e Danimarca: tutti e tre questi Paesi si pongono ben al di sopra della media Ue, con investimenti superiori al 3%. Intorno al 3% si attestano Germania e Austria, seguite da Francia, Belgio e Slovenia.
Diminuiscono iscrizioni a Università e istituti superiori. Ci si iscrive meno, non solo all’università ma pure alle superiori. Per il terzo anno consecutivo, a scendere sono soprattutto gli iscritti alle secondarie di secondo grado (-24.145 unità). Se il tasso di scolarità si attesta ormai da qualche anno intorno al 100% per elementari e medie, subisce un’ulteriore flessione, dal 92,3% del 2009-2010 al 90%, quello riferito alle superiori. In generale l’aumento della scolarizzazione ha prodotto, nel corso degli anni, un costante innalzamento del livello di istruzione della popolazione: la quota di persone con qualifica o diploma di scuola superiore raggiunge il 34,5% (33,9% nel 2009-2010), mentre sale all’11,2% la quota dei laureati. A proposito di università, le matricole nell’anno accademico 2010-2011 sono circa 288.000, circa 6.400 in meno rispetto all’anno precedente (-2,2%). Si conferma, quindi, il trend negativo delle immatricolazioni iniziato nel 2004-2005, che ha riportato il numero di nuove iscrizioni a un livello inferiore a quello rilevato alla fine degli anni Novanta.
Alla previdenza due terzi della spesa pubblica. Più di due terzi della spesa per prestazioni delle amministrazioni pubbliche si concentra nella previdenza (67,2%), alla sanità è destinato il 24,9% e all’assistenza il restante 7,9%. L’incidenza sul prodotto interno lordo è pari al 17,8% per la previdenza, al 6,6% per la sanità, al 2,1% per l’assistenza.
Peggiorato quadro economico delle famiglie. Nel 2012 la situazione economica delle famiglie è sensibilmente peggiorata rispetto al 2011. Il dato negativo coinvolge tutti gli ambiti territoriali: il Nord passa dal 41,2% al 53,6, il Centro dal 43,4% al 56,2 e il Mezzogiorno dal 47,6% al 58,8. Nell’anno che sta per chiudersi, la percentuale di famiglie che affermano di disporre di ‘risorse ottime o adeguate’ è diminuito dal 56,8% al 52,5, mentre le famiglie che le ritengono scarse passano dal 37% al 40,3 e insufficienti dal 5,7% al 6,8. I giudizi migliori sulle risorse economiche, sottolinea l’Istat, sono state registrate al Nord (il 58,5% le ritiene ottime o adeguate), mentre nel Mezzogiorno questa quota scende.
Longevità, cresce l’assistenza domiciliare. L’Italia è un paese di anziani, nel quale cresce dunque l’assistenza domiciliare. Secondo le stime relative al 2011, afferma l’Istat, la speranza di vita alla nascita migliora sia per gli uomini (79,4) che per le donne (84,5). Nel contesto internazionale l’Italia si conferma uno dei paesi più longevi: nel 2010, all’interno dell’Unione europea, soltanto la Svezia continua a mantenere migliori condizioni di sopravvivenza maschile (79,6 anni), mentre in Francia e in Spagna le femmine fanno registrare la vita media più elevata (85,3 anni). Il progressivo invecchiamento della popolazione spiega la crescita progressiva, da 475 mila nel 2007 a 533 mila nel 2009, dei pazienti assistiti al proprio domicilio, l’84% dei quali è ultrasessantacinquenne.
Salute, il 71% si dichiara in buono stato. La percezione personale rappresenta un indicatore globale dello stato di salute della popolazione, molto utilizzato in ambito internazionale. Nel 2012, il 71,1% della popolazione ha fornito un giudizio positivo, la percentuale è più alta fra gli uomini (75,3%) che fra le donne (67,1%). Quanto alle patologie croniche, il 38,6% delle persone dichiara di esserne affetto, ma la percentuale sale notevolmente, raggiungendo l’86,1%, fra gli ultrasettantacinquenni. Le malattie croniche più diffuse sono l’artrosi/artrite (16,7%), l’ipertensione (16,4%), le malattie allergiche (10,6%), l’osteoporosi (7,7%), la bronchite cronica e l’asma bronchiale (6,1%) e il diabete (5,5%).
Giustizia, primo grado per il 40% al giudice di pace. Nel 2010 diminuiscono, rispetto all’anno precedente, sia i procedimenti civili sopravvenuti in primo grado (-1,5% sul 2010) che i pendenti (-1%), mentre aumentano quelli esauriti (+1,4%). Presso l’ufficio del giudice di pace viene trattato il 40% dei procedimenti di primo grado; spetta ai tribunali il restante 59,8%.
Carceri, diminuiscono i detenuti ma è sempre sovraffollamento. Diminuisce lievemente il numero dei
detenuti (nel 2011 sono stati 66.897, l’1,6% in meno dell’anno precedente), ma il problema del sovraffollamento continua ad essere grave, per quanto il rapporto tra detenuti presenti e posti letto previsti sia sceso a livello nazionale, passando da 151 del 2010 a 146,4 del 2011. La situazione è mediamente più critica nel Nord (157,5 detenuti per 100 posti letto), ma anche nel Mezzogiorno e al Centro i valori sono ben lontani da quelli ottimali. La capienza massima delle carceri viene superata in tutte le regioni italiane con l’eccezione del Trentino-Alto Adige (72,3 detenuti presenti per 100 posti letto) e tocca il picco massimo di 182 detenuti per 100 posti letto in Puglia. Nel 4,2% dei casi si tratta di donne, mentre gli stranieri sono il 36,1%. Un detenuto su cinque lavora, in massima parte (83,8%) alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria.
Detenuti: un suicidio ogni sei giorni. Nel 2011 nelle carceri italiane sono stati registrati 63 casi di suicidio, praticamente uno ogni sei giorni. Sono stati invece 1.003 i tentativi di suicidio, 5.639 gli atti di autolesionismo. Il tasso di suicidio è stato calcolato allo 0,9 per mille detenuti, il tasso di tentato suicidio al 14,9 per mille e quello di autolesionismo all’83,8 per mille.
Detenuti: un quarto è tossicodipendente. Quasi un quarto (il 24,5 per cento) dei detenuti è tossicodipendente: tale fenomeno risulta avere un’incidenza minore tra gli stranieri (20,2 per cento); se si considerano le sole donne, la diversità cresce (sono tossicodipendenti il 17,6 per cento delle detenute italiane, contro il 7,4 per cento di quelle straniere).
Diminuiscono reati, cresce sfruttamento della prostituzione. Anche nel 2010 sono diminuiti i reati
denunciati all’autorità giudiziaria dalle forze di polizia: 2.621.019, lo 0,3% in meno dell’anno precedente. Tra tipologie di delitto l’unica a crescere è lo sfruttamento e il favoreggiamento della prostituzione, +21%, mentre calano del 19,4% le denunce per usura, del 10,2% gli omicidi volontari, del 23,3% quelli imputabili a organizzazioni di tipo mafioso e del 5,8% le rapine.
Traffico problema numero uno delle famiglie. Nel 2012 il traffico è sempre uno dei problemi che le famiglie dichiarano di affrontare quotidianamente relativamente alla zona in cui vivono (38,4% delle famiglie della stessa zona). L’annuario Istat sottolinea anche la difficoltà di parcheggio (35,8%), l’inquinamento dell’aria (35,7 %) e il rumore (32%). Seguono poi, con percentuali inferiori, il non fidarsi a bere acqua dal rubinetto (30,2%), la difficoltà di collegamento con i mezzi pubblici (28,8%), la sporcizia nelle strade (27,6%) e il rischio di criminalità (26,4%). In ultima posizione si colloca l’irregolarità dell’acqua, che costituisce un problema per l’8,9% delle famiglie.
Rifiuti, Nord in testa nella differenziata. Nel 2010 la quantità di rifiuti urbani raccolti si attesta a 32,4 milioni di tonnellate (ovvero 537 chilogrammi per abitante), quella differenziata arriva al 35,3%, dal 33,6% del 2009. A livello territoriale i valori più alti di raccolta differenziata si registrano al Nord (49,1%), seguono a grande distanza le regioni del Centro (27,1%) e quelle del Sud (21,2%).
Crisi, si rinuncia a spettacoli e cultura. Nel 2012 il 35% degli italiani non ha mai partecipato a uno spettacolo o a un evento culturale o di intrattenimento fuori casa. Si tratta del valore più elevato degli ultimi sei anni. Per contro, nel 2012, il 63,8% della popolazione di sei anni e oltre ha fruito di almeno uno spettacolo o un intrattenimento fuori casa, una quota inferiore al 67,1% del 2010. Nel calo generale, è il cinema a raccogliere il maggior pubblico: una persona su 2 è andata a vedere almeno una volta un film. Seguono con il 28% mostre e musei, con il 25,4% gli spettacoli sportivi, con il 21,1% le visite a siti archeologici e monumenti, con il 20,6% la frequentazione di balere e discoteche, con il 20,1% il teatro, con il 19% i concerti di musica al 7,8% il concerto di musica classica. Anche se in calo, la televisione è abitudine consolidata per il 92,4% delle persone di tre anni e più (94% nel 2011), meno diffuso l’ascolto della radio che interessa il 58,3% della popolazione ma in aumento al 59% la quota di ‘fedelissimi’ che la ascoltano tutti i giorni. Aumenta invece la produzione di libri. Nel 2010 ne sono stati pubblicati 63.800, rispetto ai 57.558 dell’anno precedente, per una tiratura complessiva di oltre 213 milioni di copie. Quasi quattro volumi per ogni abitante. La produzione editoriale registra una ripresa sia per i titoli (+10,8% in un anno) che per la tiratura (+2,5%).
Sette su 10 al lavoro in auto. Nel 2012 sette occupati su 10 (69,3%) usano l’auto per recarsi al lavoro e poco più di un terzo degli studenti (34,7%) ne risultano passeggeri per andare a scuola. L’annuario Istat registra che “nel 2012 poco meno di un quarto della popolazione di 14 anni e oltre usa i mezzi pubblici urbani, il 16,3% quelli extra-urbani mentre il 28,5% ha preso almeno una volta il treno”. Rispetto alla qualità del servizio erogato, “in particolare per quel che riguarda la frequenza delle corse, la puntualità e il posto a sedere, gli utenti dei pullman extra-urbani sono più soddisfatti di coloro che utilizzano autobus e treno”. Rimangono “sostanzialmente stabili rispetto al 2011 le quote di utenti soddisfatti per la puntualità dei treni (50,1%) e la possibilità d trovare posto a sedere (64,6%)”.
Pranzo a casa batte snack veloce. Gli italiani sembrano resistere alle ultime tendenze e mode, almeno a tavola. Nel nostro Paese fatica a prendere piede l’abitudine a consumare un pasto veloce fuori casa: il 74,% delle persone pranza generalmente a casa e la percentuale è in crescita (+1,2%) rispetto all’anno scorso, soprattutto tra i giovani di 25-34 anni (+4,%). Fortemente diffusa è anche la consuetudine a fare una colazione ‘adeguata’ al mattino: circa otto persone su 10 abbinano al caffè o al tè alimenti nutrienti come latte, biscotti, pane.
Incendi in calo. Nel 2010 si sono verificati 4.884 incendi, che hanno interessato circa 46 mila ettari di superficie forestale. Il numero di incendi è inferiore a quello dell’anno precedente (5.422), così come la porzione di territorio interessata, che scende a 9,5 ettari di superficie media percorsa dal fuoco, dai 13,5 del 2009.
“Un concorso per pochi eletti”, di Alessandra Ricciardi e Mario D’Adamo
Da concorso di massa a concorso per pochi. Ieri alla prima tornata dei test preselettivi, oggi si terrà la seconda, si sono presentati in 136.289 candidati, si erano prenotati in 172.248. A superare il muro delle 50 domande in 50 minuti, tutto on line, sono stati in 45.787, ovvero il 33,6%. Se anche la seconda giornata confermerà l’andamento, le prove preselettive avranno fatto veramente selezione. Domande difficili? Oppure scarsa dimestichezza con i test on line? Al momento non è possibile neanche quantificare quanti siano stati i candidati che «ci hanno solo provato» ad agguantare uno degli 11 mila posti fissi da insegnante nella scuola, avendo magari un’abilitazione all’insegnamento che però negli anni è stata messa da parte per fare altro. Nessun disordine, nessun assalto alle sedi, che pure a viale Trastevere temevano, tanto da allertare le forze di sicurezza. Le prove si sono tenute in 2520 aule informatiche senza intralci, tutto è andato liscio. Tanto che in serata il ministro dell’istruzione, Francesco Profumo, commentava soddisfatto: «La pubblica amministrazione ha data una grande prova. L’Italia è pronta, ha bisogno soltanto di una leadership in grado di prendere con coraggio le decisioni capaci di rimettere il paese al passo con le nazioni più moderne. Torneremo un paese normale».
I candidati più bravi sono stati i toscani, con un tasso di ammessi del 44%, secondi i lombardi, a quota 41%, seguiti a stretto giro dai toscani e da friulani. I piazzamenti peggiori sono dei candidati molisani, al 20,7% di promossi, distanziati di poco dai calabresi, al 20,8%, e dai lucani (21,6%). Sardi e campani al 26%. Insomma, proporzionalmente alla crescita della disoccupazione sul territorio, è cresciuto il tasso di non ammessi, segnale forse di una maggiore presenza di candidati «per necessità». Le domande erano a carattere generale. Era necessario sapere, per esempio, cosa significano parole come «godet» e «martingala» «carter» e «home banking». I quesiti sono estratti da una banca dati, che è stata pubblicata sul sito del Miur il 23 novembre e sulla quale gli ammessi alla prova hanno avuto la possibilità di esercitarsi. I candidati hanno scaricato otto milioni e mezzo di moduli, cinquanta domande per modulo. Ma è altrettanto vero che in media ciascun candidato si è esercitato solo su ventotto moduli, meno della metà dei settanta che ciascuno avrebbe potuto teoricamente scaricare. Inoltre, quasi ventunomila candidati non hanno scaricato nemmeno uno dei settanta moduli. Le ragioni sono numerose: il poco tempo a disposizione dalla data di pubblicazione dei tremilacinquecento quesiti, il 23 novembre scorso; la ripetitività dei quesiti, spesso molto simili tra loro (appreso il meccanismo, diventa poi facile rispondere a quesiti nei quali varia solo il contenuto); la possibilità di accedere al simulatore senza digitare il proprio codice fiscale e senza quindi essere identificato come concorrente; il fatto che molti candidati hanno preferito utilizzare batterie di esercizi con le tutte risposte esatte, messe a disposizione spesso a pagamento da alcuni gestori di siti internet, come denunciano le organizzazioni sindacali.
Chi ieri ha superato la preselezione l’ha saputo immediatamente dopo la conclusione del tempo assegnato, cinquanta minuti, altrettanto accadrà oggi.
Entro stasera, quindi, si saprà quanti concorrenti sono stati ammessi a sostenere le prove scritte vere e proprie ma solo il 15 gennaio, leggendo la Gazzetta Ufficiale di quel giorno, si conosceranno le date di svolgimento. Non saranno prove tradizionali ma quesiti a risposta aperta che dovranno permettere alle commissioni di accertare e valutare la padronanza delle competenze professionali e delle discipline oggetto di insegnamento.
La Repubblica 18.12.12
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“Io, candidato al concorsone dei prof tra precari e quiz da settimana enigmistica”, di Michele Smargiassi
“TROVA l’intruso” (tra sacrosanto espressivo teledipendente e agrodolce), “Bersaglio di parole” (quale sostantivo porta da denaro a attenzione?), ma guarda, c’è finita anche una partita di Mastermind, con quella storia del numero giusto e ben piazzato e del giusto e mal piazzato che mi faceva sempre uscire dai gangheri.
Ma qui non si tratta di far venire l’ora del bagno, qui la posta è la vita, il mestiere della vita, il mestiere di insegnante che quelli, o meglio quelle (maschi, siamo solo tre) sedute sui banchi intorno a me forse stanno già facendo da anni, e magari bene, ma che adesso è appeso al filo di un puzzle logico. Se la vasca sta fra il lavabo e il bidè, e il bidè fra la doccia e la vasca, a cosa sta più vicina la doccia? La vasca separata dalla doccia, dev’essere un bagno bello grande… E l’insieme “proprietari di auto” può incrociare l’insieme “veneziani” o è una domanda trabocchetto? “Tutte le babysitter sono giovani, e tutti i giovani amano ballare, allora…”: alt, ma chi l’ha detto che tutte le babysitter sono giovani? La mia aveva sessant’anni. Si può svolgere una prova di logica partendo da una premessa illogica? Anzi, si possono contestare le domande? Sarebbe indice di capacità critica, una grande dote per un insegnante. Ma il tempo passa, sul monitor la barra grigia dei 50 minuti per 50 domande scende inesorabile verso la zona rossa, bisogna risolver tacendo. Che la prima dote richiesta al prof sia accettare per buono quel che passa il Ministero?
Mi sono presentato alle 17 al liceo Tassoni di Modena, ligio all’appuntamento elettronico. Sono uno dei 320 mila che offrono il petto alla decimazione. Solo uno su trenta alla fine ce la farà, è forse la più grande strage di menti della storia della scuola italiana. Dovrei essere tranquillo: non ne va del mio futuro, sono qui da ficcanaso, e invece ho l’ansia da prestazione. Imbarazzato, anche,
con i miei 55 anni suonati, nel corridoio dove aspettiamo l’inizio della prova. Quella ragazza, direi fresca di laurea, col pollice incollato allo smartphone, mi lancia occhiate ostili, vedo cosa pensa: che cavolo ci fa qui questo quasipensionabile che cerca di soffiarmi il posto? Poi però mi guardo attorno e mi rincuoro: sono forse il più anziano, ma non di molto, nell’attesa si chiacchiera di figli
grandi, una signora ce li ha addirittura all’università. Saranno tutte lungo-precarie della scuola? Sorpresa, no. «Sono maestra d’asilo e vorrei prendere qualcosa di più», «sono precaria sì ma all’ospedale, fra tre mesi il contratto scade», «la mia azienda di informatica va malino, cerco un ripiego, nel caso». C’è anche l’impiegata di Mirandola che ha perso il posto col terremoto. Sono storie
d’Italia precaria, non di scuola precaria; storie un po’ di qua un po’ di là dal burrone della crisi, ma tutte in cerca di un paracadute. E qui, o la va o la spacca. Niente graduatorie, niente nuovi precariati. O in cattedra o niente. E questo non è un difetto, anzi. «Non mi sono preparata tanto, ma se mi va bene…». Non è un concorso. È un gratta e vinci per laureati.
Documento. Codice fiscale. Non serve altro. Tutto è online, dev’essere la prima volta nella buro-storia della scuola italiana. «No la borsa non la lascio fuori!», «Signora è obbligatorio…». Posti liberi nella candida aula informatica del liceo scientifico: una decina marcano visita. Sembra un compito in classe, addio scene da passaggio del Mar Rosso di certi concorsoni nei palasport. Monitor,
mouse, niente tastiera, un foglio timbrato e una penna. «La penna per favore non portatevela a casa, la scuola non è ricca…». Bidelli e insegnanti ora sono tutor, molto professionali. «Cliccate, si inizia».
E dunque eccoci al dunque, parte il conto alla rovescia, ora la cosa più importante del mondo è sapere dopo quanti giri il ciclista B raggiungerà il ciclista A. Santo Bartezzaghi patrono dei rompicapi aiutami tu. Visto che Nicoletta deve trovar casa prima di andare a Milano, se è a Milano vuol dire che ha trovato casa? EPOFALA-BELEFE è un’alternanza corretta di consonanti e vocali? Io teoricamente corro per professore di italiano storia e geografia alle medie, davvero è così importante per me quando quella maledetta lumaca uscirà dal pozzo, se la mattina avanza cinque metri e la sera scivola quattro metri? Logica, pura logica: tutti i professori devono saper ragionare, questo dev’essere stato il pensiero dei signori del Miur. Non c’è una sola domanda di storia o di letteratura, solo quiz da test attitudinale generico, ma allora è sufficiente avere un certo QI per insegnare? Non confondere un solo carattere nell’indirizzo di «Resmini Nicola, v. Manzoni 3 Bergamo» è un requisito professionale del postino, o del prof di lettere? Non dovrebbero piuttosto verificare se so spiegare l’Infinito e la transizione dai comuni alle signorie? Piano, su quello ti interrogheremo al prossimo esame, li sento rispondere, gli invisibili selezionatori, questa è solo la scrematura. Ma se finissero scremati anche eccellenti prof di storia un po’ arrugginiti sulle equazioni con le incognite? Sarebbe un bene per la scuola?
Meno tre, due, uno. La porta verso il futuro si chiude. Ci sei passato? Questa volta almeno lo sai subito. Il tecnico gira fra i banchi, la sua chiavetta Usb succhia la tua prova e risputa l’esito. Su otto monitor appare una scritta in rosso. Una bionda si prende la testa fra le mani. Una ride, «ci ho provato ». La mia scritta è verde. Risposte esatte 46, errate 3, tralasciata una, punti 44,5. Non so se sarei un buon prof per i miei figli. Ma se uno mi chiederà se esiste il sottoinsieme dei nuotatori buongustai sloveni, saprò rispondere.
La Repubblica 18.12.12
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I candidati al concorso: “Domande banali, non adatti a selezionare insegnanti”
“Domande a tratti banali, certamente poco adatte per selezionare futuri insegnanti”. Altri candidati all’uscita delle preselezioni per il concorso manifestano la loro delusione e stroncano i test
“Ho preso 46 su 50 al test. Sono passata, ma sono delusa dalla preselezione. Non permette di selezionare chi ha una reale aspirazione, di differenziarlo da chi ci prova e basta. Le mie domande di italiano erano banali, matematica e lingue più complesse. In tanti sono venuti a tentare. Li capisco, oggi c’è fame di lavoro. Ma che docenti saranno?”.
E un’altra aspirante, promossa anche lei con 35 su 50, e anche mamma, dice: “E una mamma solo se ha un contratto statale può badare ai figli, fare orari umani. Per questo ho partecipato. Credo comunque anche nel valore sociale di questa professione. I test non sono davvero indicativi della preparazione. Sfoltiscono e basta. Almeno si poteva mettere qualche domanda sull’area di insegnamento scelta”.
Una disoccupate, in cerca di lavoro, si giustifica: “Mi sono iscritta al concorso perchè in cerca di un lavoro. Mi piacerebbe insegnare alle elementari. Possibilmente italiano, ho fatto il classico. I test? Non sono molto utili per scegliere buoni insegnanti. Oggi io festeggio. Ma mi domando se dovessi passare anche le prove successive se ci sarà un training per me prima di entrare in cattedra. Chi mi dirà cosa devo insegnare?”.
“Se vincerò”, dice un trentenne, “penso che sarò in grado di insegnare. Con i miei titoli posso fare storia dell’arte o disegno. Immagino che nelle fasi successive del concorso si entrerà nel vivo della materia. Anche per quanto riguarda i programmi”.
Disincantato qualche bocciato: “E’ andata e vabbene così! Almeno resto in graduatoria”.
da Le Tecnica della Scuola 18.12.12
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I dati per regione: al sud la più bassa percentuale di ammessi
Agli ultimi posti Sardegna: 26,8%; Sicilia: 26,8%; Campania: 26,4%; Basilicata: 21,1%; Calabria: 21,1%; e Molise:19,9%.
In compenso però la Campania ha avuto il maggior numero di aspiranti prof con 14.574 domande presentate, seguita dalla Sicilia con 11.840. In termini però di non partecipazione al concorso, di percentuale di candidati cioè che non hanno dato forfait, preferendo consumare il concorso fino all’ultimo test, la Sicilia è al terzo posto, con l’82,8%, superata dal Piemonte, con l’83,8%, che si attesta al primo posto, e dalle Marche con l’83,0%.
Sicuramente questi dati, che si riferiscono solo alla prima giornata, lasciano perplessi e da una prima lettura potrebbero indurre a pensare che ci possa essere una minore preparazione dei docenti meridionali, se le percentuali si leggono in modo asettico o con intenti volutamente polemici. Se invece si tiene conto del contesto socio economico, il discorso cambia, considerando la grande massa di disoccupati e di giovani in cerca di lavoro, compresi di questi tempi i moltissimi laureati. Tutti potenziali concorrenti che per un motivo o per l’altro possono avere deciso di partecipare a queste preselezioni, spinti più dal bisogno di qualche certezza lavorativa che da un effettivo predisposizione ad insegnare e quindi senza una spinta forte per preparasi al concorso medesimo.
Sarebbe interessante (e forse qualcuno dalle pareti del ministero e dai suoi uffici statistici se ne dovrebbe occupare) esaminare nel dettaglio la percentuale dei concorrenti distribuiti per età e per ogni singola Regione al fine di rendersi conto a che livello di fame di lavoro sia giunto il Sud d’Italia.
da La Tecnica della Scuola 18.12.12
Beni culturali: Ghizzoni, approvata norma su restauratori
“Con l’approvazione in via definitiva del disegno di legge per il conseguimento delle qualifiche professionali di restauratore il Parlamento ha finalmente dato risposta ai professionisti di un settore strategico per il nostro Paese, qual è il restauro dei Beni Culturali – lo dichiara Manuela Ghizzoni, presidente della Commissione Cultura della Camera, dopo l’approvazione della norma, di cui è relatrice, in sede legislativa – Seppur con i tempi ristretti, dettati dallo scadere prematuro della legislatura, la Commissione Cultura si è assunta la responsabilità di compiere un passo necessario per riconoscere la professionalità e la dignità del lavoro di più di 20 mila esperti che operano per la tutela del nostro patrimonio culturale. Purtroppo – osserva la presidente Ghizzoni – non ci sono i tempi tecnici per varare un testo normativo che preveda un sistema di garanzie della qualificazione professionale anche per gli altri operatori dei Beni Culturali. Il Partito democratico – conclude Ghizzoni – si impegna, a partire dalla prossima legislatura, a colmare il vuoto normativo per garantire qualità e competenze per tutti i professionisti del settore.”
“Contrordine, torna l’accordo fra Lega e Pdl. Che però perde il pezzo più nero”, di Fabrizia Bagozzi
Fra uno show del Cavaliere – chez Barbara D’Urso nella rete ammiraglia di casa – e una concomitante convention dei montiani del Pdl su cui opportunamente – via Angelino Alfano – il medesimo non ha mancato di far sentire la sua presa, vanno avanti movimenti e sommovimenti in zona centrodestra. Con un gran via vai di pezzi da Novanta leghisti e pidiellini (di marca ex An) dalle parti di Arcore.
Ieri a villa san Martino, oltre al fedelissimo avvocato e deputato Nicolò Ghedini, si sono infatti visti prima il leader del Carroccio Roberto Maroni (per un faccia a faccia con Berlusconi saltato ben due volte) e poi Daniela Santanchè e Ignazio La Russa, oltre al segretario del Pdl Angelino Alfano.
In attesa che Monti sciolga ufficialmente la riserva, un Cavaliere che la pervasiva presenza televisiva segnala ormai in piena campagna elettorale, comincia a tessere la tela. Con l’idea che il premier dirà di no alle sue profferte e temendone una discesa in campo diretta, Silvio affronta Maroni e Calderoli sul tema delle possibili alleanze in Lombardia e sul versante delle politiche nazionali. Questioni cruciali per il Popolo delle libertà che senza quella che un tempo era la “sua” regione” rischia di non avere i numeri al senato ma anche per la Lega che vuole arrivare a governarla, anche se di Berlusconi candidato premier di una coalizione non montiana non vuol sentire parlare.
Dall’incontro di ieri non è arrivato un accordo ufficiale ma si è ragionato su un’intesa di massima lungo due direttrici: il Pdl sosterrebbe l’ex ministro dell’interno nella corsa al Pirellone, mentre al Cavaliere spetterebbe alle politiche il ruolo di leader del centrodestra, ma non quello di candidato premier.
Maroni ha poi riferito al consiglio federale del suo partito dove si è tornato a discutere a lungo sulla questione – a puntare i piedi per andare da soli è in particolare l’ala non lombarda del Carroccio – che gli ha dato mandato pieno a trattare sulle alleanze. Ma una parola definitiva arriverà soltanto dopo un nuovo vertice fra Maroni e Berlusconi, che avrà luogo venerdì, in attesa di ulteriori sviluppi del quadro politico e di eventuali indicazioni del premier sul suo futuro. Prima di allora nulla di deciso o di annunciabile ufficialmente, tant’è che la conferenza stampa convocata dopo il consiglio federale non ha avuto luogo.
Intanto, però, ha sciolto la riserva un altro degli interlocutori dell’intensa mattinata di Arcore. Ieri aPorta a Porta Ignazio La Russa ha reso ufficiale l’addio al Popolo delle libertà per dar vita a una formazione politica a un movimento di centrodestra che sarà coalizzato con il Pdl. Saranno della partita anche Meloni e Crosetto, con l’ex ministro della gioventù in un ruolo di prima fila. Che si chiami “Centrodestra nazionale” o in un altro modo, La Russa fa sapere che non ne faranno parte solo esponenti ex An ma anche ex Forza Italia. Non ci sarà invece Maurizio Gasparri. Il capogruppo del Pdl al senato rimane al suo posto. Per ora.
da Europa Quotidiano 18.12.12
“Pd, primarie per il 90% dei candidati”, di Maria Zegarelli
La direzione Pd fissa al 10% la quota protetta a disposizione di Bersani e assegna dieci deroghe per le ricandidature. A varcare la soglia di Camera e Senato dovrà essere un minimo del 33% di donne, grazie alla doppia preferenza di genere. Si andrà alle urne il 29 e il 30 dicembre. Potranno votare gli elettori del 25 novembre e gli iscritti al Pd del 2011 che rinnovino la tessera. «Dal Paese c’è un’aspettativa enorme verso di noi. La società ci tende la mano in questo passaggio difficile. Oggi iniziamo un percorso totalmente inedito». Inizia così la sua relazione Pier Luigi Bersani, aprendo i lavori della direzione nazionale che dovrà votare regole e deroghe ai parlamentari in vista delle primarie del 29 e 30 dicembre.
Ci sono tutti i dirigenti, da Massimo D’Alema a Dario Franceschini, Piero Fassino, Matteo Renzi, Franco Marini, Beppe Fioroni, Rosy Bindi, Enrico Letta. Facce serene, forse perché dopo una lunga giornata di incontri e girandole di telefonate si è arrivati a un accordo. Che sia un percorso inedito è sicuro: stavolta per andare in Parlamento si dovrà passare per i gazebo dando la parola agli elettori e con la speranza (di molti big) che non siano i dirigenti locali a fare la parte del leone. Perché stavolta, a parte una quota a disposizione del segretario in accordo con le segreterie regionali, toccherà a tutti, dai big fino agli sconosciuti, giocarsi la partita senza sapere prima quale sarà il risultato.
Dieci le richieste di deroga votate in blocco, senza cioè una discussione sui singoli nomi: Rosy Bindi, Anna Finocchiaro (a cui sarebbe stato lo stesso segretario a chiedere di non fare un passo indietro), Mauro Agostini, Maria Pia Garavaglia, Giorgio Merlo, Franco Marini, Cesare Marini, GianClaudio Bressa, Beppe Lumia e Beppe Fioroni. Di questi finiranno nel listino nazionale quasi sicuramente la presidente del Pd, Bindi, l’ex presidente del Senato, Franco Marini e la capogruppo a Palazzo Madama Anna Finocchiaro (nel listino anche Franceschini, capogruppo alla Camera). Fissata al 10% la quota protetta (più i capolista) a disposizione di Bersani, in accordo con le segreterie regionali, per garantire la rappresentanza della società civile, di competenze ed esperienza sul campo (soprattutto nelle commissioni parlamentari e in Aula), ma anche di rapporti di forza interni. Alla fine saranno all’incirca un centinaio tra deputati e senatori ad avere il pass assicurato per il Parlamento, mentre a varcare la soglia di Camera e Senato dovranno essere minimo il 33% di donne, grazie alla doppia preferenza di genere. Obbligatorio per tutti, per evitare ricorsi e proteste post-primarie, accettare per iscritto le regole.
Dopo una lunga discussione sciolto anche un altro nodo: potranno votare tutti gli elettori iscritti all’Albo delle primarie del 25 novembre, gli iscritti al Pd del 2011 che rinnovano la tessera anche il giorno del voto, più i nuovi iscritti 2012 alla data del 30 novembre. Polemico su questo fronte Arturo Parisi, che pur apprezzando la decisione di Bersani di indire le primarie per i parlamentari avrebbe preferito una maggiore apertura alla platea degli elettori. «Dobbiamo esprimere una direzione politica con personalità e responsabilità dice Bersani ai dirigenti democratici dobbiamo condurre questo percorso in maniera rigorosa. Potrà essere il più forte lancio possibile della nostra campagna elettorale». Escluso lo slittamento a gennaio, che anche ieri ha chiesto Pippo Civati, perché, come ha spiegato Maurizio Migliavacca, si andrebbe troppo a ridosso delle elezioni politiche. Saranno invece le singole Regioni a scegliere se votare il 29 o il 30 dicembre.
La direzione ha approvato il regolamento messo a punto ieri mattina dalla segreteria nazionale in accordo con i segretari regionali per dare il via a quella che lo stesso segretario ha definito una «mission quasi impossibile».
Non è stato facile arrivare ad un accordo ed è stato necessario un lungo incontro anche tra i big per arrivare in direzione con una posizione condivisa, compreso il delicato capitolo delle deroghe: sì alla richiesta, a patto che tutti siano disposti a correre alle primarie, eccezion fatta per chi, in nome del ruolo che ricopre, può avere accesso al listino nazionale. Direzione alla quale ha preso parte anche il sindaco di Firenze che ieri per la prima volta ha incontrato i dirigenti del suo partito dopo la sconfitta delle primarie. «Anche con questa legge elettorale sbagliata, allucinante, il Pd fa le primarie per eleggere i parlamentari. Mi sembra un fatto molto, molto positivo dice Renzi lasciando i lavori alle 8 di sera per prendere l’ultimo treno utile per Firenze ho ritenuto doveroso da parte mia esserci e verificare che ci sia una consultazione con i cittadini. Spero che questa cosa aiuti il Pd a tenere in vita l’esperienza del 25 novembre». Dal fronte dei renziani Pietro Ichino fa sapere che non intende rientrare nel listino nazionale e che si sottoporrà alle primarie, come Salvatore Vassallo e Benedetto Zacchiroli. Ieri hanno annunciato la loro candidatura anche Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei parenti delle vittime della strage alla stazione di Bologna; l’ex segretario provinciale del Pd di Bologna, Andrea De Maria, il sindaco del Comune terremotato di Crevalcore, Claudio Broglia, e la senatrice uscente Vittoria Franco.
L’Unità 18.12.12
“La carta del desiderio”, di Concita De Gregorio
Provateci voi, che siete così bravi a criticare, a stare da soli per due ore e rotti a tenere milioni di persone incollate davanti alla tv a parlare di Costituzione e di Italia una e indivisibile. Scrivi Umberto, sì si chiamava Umberto anche Terracini, buonasera cardinali, se per caso vi metteste in ascolto adesso ci sarebbe l’articolo 7, lo Stato e la Chiesa sono indipendenti e sovrani, non vorrei dire niente di rivoluzionario, ci sarebbe il principio di laicità, anche Dante era laico,
era cristiano ma laico, diceva al Papa non mischiare la politica coi precetti religiosi,
dividi, se no sarebbe come usare Dio e metterlo al servizio della Chiesa, e invece è la Chiesa al servizio di Dio. Provateci voi a dire che il bisogno si placa ma il desiderio mai, che la Costituzione è la legge del desiderio, le leggi fanno paura ma la Costituzione invece ti protegge, è come una mamma che ti dice vieni qui che t’è successo?, ti lega all’albero della nave come Ulisse che non voleva sentire le sirene — l’antipolitica, chi semina paura, i giullari e i padroni — e a parlare a braccio, per ore, senza leggere mai, appassionato e potente, ironico e commovente come ha fatto ieri sera Roberto Benigni che parlava di Manzoni, Leopardi, Dante e Omero, di Woodstok e della Bibbia, di Darwin e dell’Onu per raccontare la Costituzione italiana, la più bella del mondo.
Quando entrerà in vigore questa Costituzione sarà un mondo meraviglioso, dice Benigni. Quando entrerà, futuro. Applausi. È ancora tutta da mettere in pratica, state a sentire cosa dice, ascoltate. È come
Imagine di John Lennon trent’anni prima, è come se l’avessero scritta non Togliatti e De Gasperi, Calamandrei Lussu Croce e Dossetti, Nilde Iotti ma dei figli dei fiori fricchettoni che si facevano una canna.
Lo studio 5 di Cinecittà — quello di Fellini, quello bruciato a luglio, quello più grande del mondo — ospita per RaiUno Roberto Benigni che salta, magro come un chiodo, e si illumina e si infiamma a raccontare come se fosse una favola quale sia la legge suprema dello Stato, e la spiega come un canto della Commedia e parla di ieri e di oggi, di Medioevo e di presente, di donne, di carceri, di immigrati, di speranza, di libertà. Di lavoro, di dignità. Di nessuna differenza di razza lingua e religione e di cosa vuol dire, ed è per questo che sono orgoglioso di essere italiano, noi non abbiamo la pena di morte, ricordatevelo, noi non ce l’abbiamo e solo gli assassini ammazzano. La grandezza di ogni nazione si misura dallo stato sociale delle donne, dice di passaggio, delitto d’onore sono due parole che non posso stare vicine. L’Italia ripudia la guerra, ripudia, è una poesia.
Una serata specialissima, annuncia. Lo sarà. La televisione pubblica, dopo i pacchi, manda in onda il monologo dell’irriverente burattino che comincia dall’attualità, mezz’ora di satira sul presente, prima di entrare nel vivo della lettura della Carta.
Si toglie lo sfizio di chiedere pietà a Silvio, col problema delle pensioni che abbiamo c’è uno che ci potrebbe andare e non ci va, non c’è verso di mandarcelo. S’è ripresentato. La sesta volta. Ha detto che la settima si riposa. La mummia, Godzilla contro Bersani. Dice siete fissati ce l’avete con lui. A questo punto è chiaro che è lui che ce l’ha con noi. Ha diviso l’Italia in due: metà sono contrari e metà disperati. Lui che guarda i sondaggi come fa a non vedere. Angelino Alfano è passato dalle primarie al primario, poveretto. Ieri su Canale 5 ho visto una vecchia intervista del ‘94. Parlava della magistratura e dei comunisti, che per lui sono come Satisfaction per i Rolling Stones. Poi Monti, poi Bersani, poi Renzi, poi le primarie che «hanno avuto molto successo. Le farà anche Di Pietro, dopo se passa farà le superiori».
È un prologo, la prima mezz’ora. Prima di affrontare la Costituzione racconta dei due nemici che ha l’Italia oggi. Primo. L’indifferenza alla politica. «Benigni, ci dici di rispettare la politica? No, vi dico di amarla. È la cosa più alta. Non avere interesse per la politica è come non avere interesse per la vita. Quando si dice sono tutti uguali è un favore ai cattivi ai disonesti e agli stupidi, è come se non li avessimo riconosciuti». Secondo: votare. È l’unico strumento che abbiamo, un potere tremendo. Una cosa pubblica, la repubblica. Nostra, vostra, di ciascuno. Di seguito, lo spettacolo comincia. Due ore e rotti di incantamento, e se siete capaci di meglio fatelo subito, alzate la mano e fatevi avanti, fatelo ora. Solo un papa o un buffone possono dire questo: domattina dite ai vostri figli che vadano a testa alta. Ci vuole amore per avere coraggio. Fatevi avanti.
La Repubblica 18.12.12
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Benigni show in tv: “Torna Silvio, Signore pietà”, di SIlvia Fumarola
«S’è ripresentato, Signore pietà. È la sesta volta, la settima ha detto che si riposa, anche lui»: Roberto Benigni riparte da Silvio Berlusconi per aprire “La più bella del mondo”, serata evento di RaiUno dedicata alla Costituzione. Parte da una catena di ringraziamenti, dai vertici Rai, seduti nel teatro 5 di Cinecittà, un’arena di legno chiaro, il presidente Anna Maria Tarantola e il direttore generale Luigi Gubitosi. Ma tutti, il presidente Napolitano, il Papa, il Signore gli dicono di ringraziare una persona che conta più di loro. Benigni non ha dubbi: Silvio, grazie. «Bersani ha detto: quando Silvio si presenta rende il mio lavoro più facile…
Sapesse il mio!». E fa una battuta anche sul Pd: «Dante fondò un partito Per Dante, Pd. Non vinse mai».
La Berlusconeide è irresistibile. «Volevo parlare di cose belle, ma questo dicembre ci sono state due notizie catastrofiche», ironizza Benigni. «Una la sapete, il 21 c’è la fine del mondo, ma non è la più brutta. Un’altra, terrificante, ci ha spappolati: con tanti italiani che desiderano andare in pensione e non possono, c’è uno che ci potrebbe andare e non c’è verso di mandarcelo. E s’è ripresentato». Benigni paragona il ritorno di Berlusconi «ai sequel dei film dell’orrore:
Lo Squalo 6, La mummia, Godzilla contro Bersani…
Qualcuno può dire che ce l’ho con lui. No: è lui che ce l’ha con noi». E ancora:
«Non si sa cos’abbia in testa, quel povero Alfano l’ha mandato al manicomio… Ha detto che vuole fare l’alleanza con Maroni: ma Maroni, dopo l’incontro, si è detto disorientato. Per disorientare uno abituato a parlare con Bossi ce ne vuole…. Berlusconi ha detto che se Monti si candida fa un passo indietro. Mario, facci questo favore: dì che ti candidi, così si ferma. Poi dopo due giorni smentisci, come fa lui».
Ironizza sul monologo dell’ex premier a Domenica live.
«Ma l’avete visto su Canale 5? È andata in onda una sua vecchia intervista del ‘94, di un’ora e mezza. Prima di lui c’erano una pornostar e lo zio di Avetrana. Ho pensato: cerca di mettere insieme i moderati. Berlusconi ha parlato di comunisti, lotta alla magistratura… Mi sono detto: guarda nel ‘94 la gente come ci cascava, se lo facesse adesso». Poi l’affondo: «Ha un sogno nella testa: vorrebbe fare il presidente della Repubblica. Sarebbe l’unica maniera di vedere la sua immagine dappertutto, di vederlo in una caserma dei carabinieri». E prima dei dodici articoli della Costituzione («Mentre la legge vieta, fa paura, la Costituzione spinge, ti protegge. I dieci comandamenti sono tutti un no, la Costituzione è tutto un sì: è la legge del desiderio»), fa un appello a favore della politica, contro l’indifferenza. «È la cosa più alta per organizzare la pace, la serenità e il lavoro. Non avere interesse per la politica è come non avere interesse per la vita».
La Repubblica 18.12.12