Latest Posts

Un’italiana tra i premiati Gianotti “Ai giovani voglio dire Imparate a sognare”, di Valentina Arcovio

Laureata in fisica sub-nucleare all’Università di Milano, Fabiola Gianotti ha 50 anni e dal 1987 è parte del grande team del Cern a Ginevra: è tra i cervelli che hanno ideato e condotto «Atlas», uno dei mega-esperimenti lungo l’anello sotterraneo del Large Hadron Collider, l’acceleratore di particelle più grande del mondo. E proprio come portavoce del gruppo che lavora su «Atlas» il 4 luglio di quest’anno ha avuto il privilegio di annunciare la prima osservazione di una particella che è compatibile con il celebre bosone di Higgs, vale a dire il «mattone» che dovrebbe dare la massa a tutti gli elementi dell’Universo. (Gabriele Beccaria)
Sono molto soddisfatta, ma anche tanto sorpresa di essere stata inclusa tra i finalisti del Time. Non me lo aspettavo davvero e sono molto orgogliosa di questo riconoscimento». Di Fabiola Gianotti, la scienziata italiana a capo di uno degli esperimenti che hanno portato alla scoperta del bosone di Higgs, non si può certo dire che si sia montata la testa. Tutti i riconoscimenti che la ricercatrice di origini torinesi ha collezionato in quest’anno d’oro non hanno per nulla scalfito la sua corazza di umiltà e modestia, qualità che per la scienziata 51enne sono d’obbligo per un ricercatore.
Cosa si prova ad esser quasi stata riconosciuta come Persona dell’anno 2012 dalla prestigiosa rivista Time?
«Sicuramente ne sono molto felice e onorata. Ma credo che sia più giusto condividere questo successo con tutti gli scienziati con cui lavoro che, come me, hanno messo tanta dedizione e passione nel raggiungere gli obiettivi di quest’anno molto intenso».
C’è però il suo nome sulla rivista americana, che effetto le fa?
«Sono una scienziata e, in quanto tale, sono davvero convinta che la modestia e l’umiltà siano caratteristiche fondamentali per chi fa un lavoro come il nostro. Anche se straordinari, tutti i passi in avanti che facciamo ci ricordano sempre che conosciamo ancora così poco della fisica delle particelle. Ci rimane ancora tanto da studiare che non posso far altro che rimanere ben salda con i piedi per terra, e continuare con umiltà il mio percorso di ricerca. Credo che tutti i riconoscimenti, invece, indichino che la società si interessa alla scienza, alla fisica delle particelle e questo non può che farmi felice».
La sua famiglia ha accolto con la stessa modestia la sua inclusione tra i finalisti del Time?
«Sicuramente è molto fiera di me».
Il fatto di essere donna non aggiunge un valore in più ai suoi successi?
«Credo che non si tratti tanto di essere donna o uomo. Il nostro Paese eccelle nella fisica delle particelle e questo lo si deve a tantissime scienziate e non solo a una. La presenza di donne nei laboratori italiani è molto elevata e non è seconda a nessun altro Paese. Basta pensare che il 25% dei ricercatori che lavorano al Large Hadron Collider (LHC) del Cern di Ginevra sono donne per rendersi conto che è già da molto tempo il ruolo delle ricercatrici nella fisica è ampiamente riconosciuto».
Qual è il segreto per diventare una scienziata di successo?
«Non credo di essere la custode di questo segreto. So solo che per fare il mio lavoro ci vuole davvero tanta passione e molta determinazione. Non è facile, ma per i ricercatori che non si fermano davanti agli ostacoli il futuro può riservare tantissime soddisfazioni».
Cosa consiglia ai giovani che si trovano ad affrontare un momento così difficile nel mondo del lavoro?
«Sono convinta che per farcela bisogna avere il coraggio di seguire le proprie ambizioni e i propri sogni. Non bisogna farsi scoraggiare dalle difficoltà, ma continuare a lottare tutti i giorni per realizzare i propri desideri».
La Stampa 20.12.12

“Parto indolore garantito a tutte, così l’Italia si allinea all’Europa” di Adriana Bazzi

L’epidurale per il parto indolore sarà garantita in Italia a tutte le donne. Senza più differenze fra ospedale e ospedale o tra Regione e Regione. La rivoluzione dei Lea, i livelli minimi di assistenza per i cittadini, ora in fase di revisione, prevede l’inserimento di questa metodica, diffusissima in molti Paesi europei, ma che da noi non ha mai avuto vita facile.
Primo, per questioni legate alla nostra cultura: il biblico «partorirai con dolore» ha condizionato molte donne, limitando in qualche modo l’accesso alla tecnica. Secondo, perché anche una certa concezione «naturalistica» del parto ha contribuito ad allontanare le partorienti da quella che è considerata, da alcuni, un’eccessiva medicalizzazione della nascita.
Ognuno può pensarla come vuole: adesso, però, la sanità italiana offre a tutte questa opportunità.
Attualmente in Italia esiste una situazione molto variegata: ci sono ospedali dove l’epidurale è offerta gratuitamente 24 ore su 24, altri in cui è gratis di giorno e a pagamento di notte, altri che la finanziano solo per una certa quota di pazienti oppure la offrono dietro pagamento di un ticket. E comunque poco più del 15 per cento delle donne attualmente la utilizza. Da ora in avanti la situazione cambierà.
L’analgesia nel parto toglie il dolore, ma la donna continua ad avvertire le contrazioni uterine, può addirittura camminare (non per niente da noi si parla di walking anestesia) e può vivere pienamente l’esperienza del travaglio e del parto.
La tecnica è sicura e gli effetti collaterali sono pochi. A un patto però: che sia eseguita da mani esperte.
La sua futura diffusione richiederà un aumento degli operatori che la praticano e implica fin da ora la necessità che il personale sia adeguatamente formato. E che i protocolli di intervento, oggi diversi da ospedale a ospedale, siano resi omogenei.
******
“Il parto indolore diventa gratuito E la Ue dichiara guerra al fumo”, Margherita De Bac
Da cinque anni ci stanno lavorando. E l’elenco non è ancora finito. Oggetto di modifiche, innesti, cancellazioni. Sono i Lea, i livelli essenziali di assistenza, le prestazioni che devono essere assicurate ai cittadini in tutta Italia gratuitamente, a prescindere dalle scelte di ogni singola Regione. Circa 6.000 voci su cui si sono avvicendati i tecnici di tre governi. Ora entro il 31 dicembre l’atteso albo vedrà la luce, ultima sfida del ministro della Salute Renato Balduzzi. E tra le nuove arrivate c’è l’epidurale, il parto indolore, oggi offerto da una minoranza di ospedali.
Nella lista anche 109 malattie rare. Tradotto: cure rimborsate automaticamente a circa 20 mila persone colpite da patologie genetiche a bassissima incidenza. Lo stesso vale per i dipendenti del gioco d’azzardo, i ludopatici, le vittime dei giochi d’azzardo, circa 800 mila secondo le stime. Un successo quest’ultimo ridimensionato dallo smacco del subemendamento al decreto sulla stabilità approvato martedì notte in Senato. Prevista l’apertura di 1.000 sale poker e il rinvio delle norme che introducono restrizioni sulla pubblicità. Se ne riparla a giugno 2013. Una «vergogna» come titola il quotidiano Avvenire in un editoriale del direttore Marco Tarquinio. Balduzzi è molto contrariato: «Iniziativa corsara. Sono sconcertato, il fenomeno ha un impatto sanitario enorme. Il governo difende il senso complessivo del decreto dall’assalto delle lobby». Massimo Passamonti, presidente Confindustria Sistema Gioco respinge le accuse: «La responsabilità non è nostra. Siamo già pronti con i cartelli che avvertono sui rischi per la salute».
Il lavoro sui Lea non è finito. Altre prestazioni ne usciranno o verranno ridimensionati i criteri per diventarne beneficiari. Più cure per la celiachia che viene «promossa» da malattia rara a cronica.
L’epidurale (termine corretto perimidollare) era già entrata nell’olimpo delle prestazioni gratuite durante il governo Prodi, ministro della sanità Livia Turco. È mancata la copertura finanziaria e la rivoluzione è rimasta sulla carta tanto che adesso appena 2 strutture pubbliche su 10 offrono questo tipo di anestesia che silenzia il dolore del parto.
Una svolta, secondo Danilo Celleno, coordinatore nazionale degli anestesisti ostetrici: «I centri pubblici dovranno organizzare delle squadre ben preparate. Al Fatebenefratelli di Roma il 97% delle pazienti fanno il parto indolore gratis». «Non si poteva più aspettare. Una scelta di civiltà», commenta Francesca Merzagora, presidente dell’associazione Onda.
A Bruxelles l’attenzione è concentrata alla lotta contro il fumo. La Commissione europea ha proposto l’obbligo di pacchetti con scritte ancora più esplicite sulla dannosità delle sigarette che dovrebbero coprire il 75% dello spazio. Vietate inoltre le sigarette sottili, quelle con aggiunta di aromi come mentolo o vaniglia, i pacchetti da dieci. Le norme potrebbero trovare applicazione nel 2015-16.
Il corriere della Sera 20.12.12

Il manifesto di Bersani “Se vinciamo le elezioni subito il conflitto d’interessi”, di Giovanna Casadio

«Per prima cosa bisognerà fare una legge sull’antitrust, cioè contro le concentrazioni, e una legge severa sulle incompatibilità: sono i due punti di quelle che chiamiamo norme sul conflitto di interessi». Alle 6,30 del mattino, sull’aereo che lo porta a Bruxelles per incontrare, oltre a Barroso, i presidenti del Consiglio europeo Herman Van Rompuy e dell’eurogruppo, Jean Claude Juncker – tutti leader del Ppe e fan di Monti – Bersani mostra lo sconcerto per «la manovra abbastanza miserevole della destra», utile solo «a guadagnare qualche giorno di campagna elettorale» e all’invasione televisiva di Berlusconi. Chiede che la data delle elezioni resti il 17 febbraio. Parla di Monti. Consulta gli appunti chiusi in una cartelletta blu: sono i compiti sull’Europa, e le parole più usate sono «continuità» e «affidabilità ». Dice che «se il centrosinistra vincerà, è normale che sia io il premier», tornando da Bruxelles a Roma, si sfoga. E lancia qualche stilettata contro Mario Monti.
Segretario Bersani, se Monti si candida, come pensate di potere collaborare poi con lui e con i centristi, essendovi contesi Palazzo Chigi?
«È un problema loro, io ho detto che voglio essere amichevole. I progressisti sono aperti a posizioni moderate, dicano loro cosa vogliono fare. Io ho i Progressisti, abbiamo fatto le primarie, ho la proposta di programma, aspettiamo di capire come pensano di rivolgersi al Pd. Non chiedetelo a me. Cosa faranno in campagna elettorale, mi daranno del comunista, ci metteranno le dita negli occhi? Mica può essere sempre un problema mio».
Immaginava di ritrovarsi Monti come competitor?
«Non ho mai dato niente per scontato, né escluso nulla. Sul piano politico ho detto ai Progressisti che dovevamo aprirci verso forze europeiste anche di Centro, vedevo che si arrivava lì. Non farò campagna elettorale contro Monti, ma quando il paesaggio cambia, cambiano le dinamiche. In campagna elettorale le dinamiche che scattano sono altre. Se dovessi essere io il premier – ipotesi possibile ma da molti negata – parlerei subito con Monti».
È venuto a convincere gli amici di Monti che è affidabile anche lei e non solo il Professore?
«Si apre una fase di transizione ed era giusto andare a dare elementi di continuità. Sanno benissimo che ho lavorato
con Ciampi, con Prodi, con Padoa Schioppa. Nessuno può dubitare della nostra volontà riformatrice e di tenere i conti sotto controllo. Gli impegni italiani saranno rispettati. Siamo per un vincolo reciproco in termini fiscali, ma occorre praticare politiche di crescita. Questo avvitamento tra austerità e recessione non può persistere. Penso a una road map ragionevole. Sono per l’autorizzazione preventiva al bilancio, ma non affidata a un commissario, bensì a una procedura certa che dia garanzia di partecipazione. Noi comunque non smonteremo le riforme di Monti, le implementeremo. Manterremo gli impegni, arricchendoli».
Ha offerto garanzie anche per Vendola?
«Vendola è un grande europeista, vuole gli Stati Uniti d’Europa. L’argomento Vendola è diventato un pretesto polemico».
Cosa farà un governo di centrosinistra sull’Imu, cavallo di campagna elettorale di Berlusconi?
«La alleggeriremo sulla prima casa e per i redditi più deboli, mettendo un’imposta individuale sui grandi patrimoni: se il demagogo dice che la abolisce, ci spieghi dove prende i soldi e non racconti favole».
Ha rassicurato i vertici Ue sull’approvazione della legge si stabilità?
«La legge di stabilità arriverà in porto in modo da garantire gli obiettivi. Questi traccheggi del Pdl sono indecorosi, inaccettabili, incommentabili. Usano la tattica parlamentare a fini dilatori, per interessi di partito».
Quale vorrebbe fosse la data delle elezioni?
«L’intenzione nostra resta di chiudere in settimana la legge di stabilità. Il 17 è la prima data utile, resta quella lì. Comunque decide Napolitano. ».
Junker l’ha lodata («Bersani è intelligente e onesto, ha le migliori intenzioni per l’Europa»). Ma chi preferisce alla fine tra lei e Monti, gliel’ha detto?
«Juncker è una persona concreta e competente, peccato che tra due mesi lasci l’incarico all’eurogruppo. Ha una grande conoscenza del nostro paese, mi ha chiesto di Grillo».
E di Berlusconi?
«No, però mi sembra che lo conosca bene».
Soddisfatto di come sono andati gli incontri?
«Qualcuno mi ha domandato: quanto prenderà il centrosinistra. Io ho risposto: arriveremo primi».
Anche in Senato?
« Dappertutto».
La Repubblica 20.12.12

“Bersani convince i vertici dell’Europa”, di Marco Mongiello

Berlusconi non vincerà. Dopo le elezioni l’Italia «resterà saldamente nella prospettiva europea», non tornerà indietro sulle riforme avviate dal Governo Monti e il Partito Democratico farà da argine all’ondata di populismo anti-Ue.
È questo il messaggio che il segretario del Pd Pier Luigi Bersani è venuto a portare di persona ai vertici europei a Bruxelles. Un tour iniziato ieri mattina con l’incontro con il presidente del Consiglio Ue Herman Van Rompuy e continuato in giornata con il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso e con il presidente dell’Eurogruppo e premier lussemburghese Jean-Claude Juncker.
In un’Europa a maggioranza conservatrice Mario Monti era considerato di fatto l’unica garanzia contro la deriva economica del Paese che rischiava di travolgere l’eurozona. Con le sue dimissioni, e con il ritorno in campo di Berlusconi, a Bruxelles sono tornati i timori per il caso Italia. La settimana scorsa è stata questa paura, oltre ai pregiudizi e alle poche conoscenze anche personali a sinistra, che ha spinto i leader conservatori del Partito popolare europeo (Ppe) a fare pressioni su Monti affinché si candidi alle elezioni.
«Chi ha preoccupazioni per l’Italia si rivolga a noi», ha detto Bersani. Il Partito Democratico, ha spiegato, è sopra al 30% dei consensi ed è di gran lunga il primo partito del Paese e basta «uno sguardo sul paesaggio italiano per vedere chi può avere più credibilità in Europa».
Bersani ha spiegato a Van Rompuy di «non voler smantellare l’agenda Monti», ma sull’europeismo del Pd non c’è stato bisogno di rassicurazioni, ha riferito ai giornalisti: «La gente ci conosce. Noi abbiamo portato l’Italia nell’euro, siamo quelli lì» e “sulla volontà riformatrice e di tenere i conti sotto controllo non si può dubitare”.
Sulle riforme del Governo Monti nessuna marcia indietro quindi anche se, ha precisato il leader del Pd, «qualche verifica dell’implementazione e qualche correzione degli effetti ci vorrà». L’Imu, ad esempio, il Pd l’aveva proposta in modo un po’ diverso, con «un alleggerimento e con l’affiancamento di un’imposta personale sui grandi patrimoni». Oggi però chi come Berlusconi va in giro a dire di eliminarla «racconta favole e le favole ci hanno rovinato», ha detto Bersani.
A Bruxelles, dove questa primavera molti si erano spaventati per la campagna elettorale del presidente socialista francese Francois Hollande, che chiedeva di modificare il nuovo Patto di Bilancio, Bersani ha spiegato la sua impostazione. «Ho garantito a Barroso l’assoluto impegno a mantenere i patti sottoscritti», ha riferito, aggiungendo però che «c’è l’esigenza di dedicare particolare attenzione ai temi del lavoro e della crescita».
Insomma non si tratta di togliere qualcosa alle politiche europee portate avanti fino ad ora, ma di aggiungere quello che è mancato. Un concetto ripetuto anche al presidente dell’Eurogruppo Juncker: dall’Europa sono arrivate «risposte parziali» sulla stabilità, ora «dobbiamo dare segnali inequivocabili sulla crescita».
Con il premier lussemburghese, che in passato si è opposto più volte alla politica di solo rigore imposta dalla Cancelliera tedesca Angela Merkel, il feeling è stato totale. «Visto che con Juncker si possono fare battute ho detto: dì al mondo che Berlusconi non vincerà», ha raccontato Bersani. Un invito a nozze per il buontempone lussemburghese. Nel 2004 il video della sua mano che dava irriverenti pacche sulla pelata di Berlusconi durante un Consiglio europeo aveva spopolato su internet.
«Credo che Bersani sia un uomo intelligente e onesto, con le migliori intenzioni per l’Italia e per l’Europa», ha detto il presidente dell’Eurogruppo al termine del faccia a faccia, «sono rimasto favorevolmente colpito dal nostro incontro».
NESSUNO CHIEDE DI MONTI
Nessuno dei tre politici dell’Ue ha sollevato la questione dell’eventuale partecipazione di Monti in un esecutivo guidato dal Pd. «I leader europei sanno come ci si comporta: ognuno decide a casa propria», ha spiegato Bersani, che comunque ha ribadito di essere interessato «ad avere un rapporto interlocutorio» con Monti «qualsiasi decisione prenda».
Sull’ eventuale candidatura del Professore alle elezioni, il leader democratico ha ricordato che il Pd ha sempre sostenuto «molte lealmente» il premier e «i pensionati li ho sempre incontrati io, non li ho mai mandati da Monti».
Nell’ipotesi che il premier scenda in campo quindi il segretario del Pd ha assicurato: «In ragione di quella lealtà noi non faremo campagna elettorale contro nessuno» ma, ha ammonito, così «si mettono in moto delle dinamiche che non sono tutte nelle nostre mani».
L’Unità 20.12.12

Università in rivolta. «È la mazzata definitiva», di Luciana Cimino

La malattia endemica dell’Università italiana comincia a mostrare sintomi dolorosi. A parlarne, presentandone la drammaticità in tutta la loro evidenza, è il Ministro dell’istruzione Francesco Profumo. Aveva chiesto al Governo 400 milioni per gli Atenei. Ma nel ddl Stabilità, licenziato ieri dalla commissione bilancio del Senato, alla voce «Fondo per il finanziamento ordinario delle università», si legge nel testo che per il 2013 lo stesso fondo «è incrementato di 100 milioni di euro». Pochissimo, per la già gravosa situazione economica delle università italiane. Una «prospettiva inaccettabile» per il ministro. Dice Profumo che «100 milioni sono assolutamente insufficienti e finiranno con il mandare in default più della metà degli atenei, che non potranno così fare fronte alle spese per il funzionamento». SITUAZIONE DRAMMATICA «Questa è la mazzata definitiva», tuona il presidente della Crui (Conferenza dei rettori) e rettore dell’Università di Viterbo, Marco Mancini, che spiega: «I 300 milioni che mancano servirebbero solo a riallineare i conti, non sono soldi in più. Tenendo presente che quest’anno abbiamo già avuto un taglio, inserito in una catena di tagli progressivi». «Ma questo non è più un taglio, è il colpo finale per il sistema universitario – continua il presidente della Crui è tragicamente semplice: tutte le risorse trasferite dallo Stato non saranno sufficienti per pagare gli stipendi, gli atenei improvvisamente avranno problemi a chiudere i bilanci con conseguenze devastanti sui servizi, sulla ricerca, sulle infrastrutture, si impedirà all’università di adempiere alla sua missione istituzionale». Mancini si augura che «il governo dei professori si renda conto che questa è l’uccisione del sistema universitario di questo Paese». Le stesse parole per Andrea Lenzi, Presidente Consiglio Universitario Nazionale, che con Crui e Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari ha fatto una nota congiunta per «lanciare l’allarme sul collasso che colpirà gli Atenei italianise il Senato della Repubblica non provvederà a ripristinare i 400 milioni». L’Adi, Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani, si rivolge al prossimo governo, «a qualunque forza politica appartenga: non vogliamo più sentir parlare di tagli». E inquieto è anche il Pd. «Avevo proposto emendamento per restituire i fondi ma è stato accantonato dice il senatore democratico Antonio Rusconi, capogruppo in Commissione Istruzione a Palazzo Madama – il Governo non risponde alla crisi del settore». Durissima Manuela Ghizzoni, Pd, presidente della Commissione Istruzione della Camera dei Deputati, «la scelta ragionieristica di tagliare 300 milioni all’ università non solo denuncia una mancanza di visione sulla formazione superiore e sulla ricerca, ma è in netta controtendenza con il tentativo di uscire dalla crisi che i cittadini stanno pagando a caro prezzo». «Dopo anni di politiche ottuse e di tagli lineari l’università non ha più nulla da tagliare, pena il collasso dell’ intero sistema», continua Ghizzoni; il Governo secondo la deputata Pd «non può infliggere, con un colpo di coda a fine mandato, un taglio drammatico, si torni al rispetto del dettato Costituzionale». Per il leader di Sel Vendola deve essere il Parlamento a raccogliere «l’appello di assoluto buon senso che viene dal ministro Profumo: non si continui con l’opera di sfascio perpetrato negli anni della Gelmini, si rifinanzi il Fondo, basta ad esempio annullare l’acquisto di tre F35 per coprire una cifra simile». Mentre la FlcCgil, con il suo segretario generale Mimmo Pantaleo chiede «alle forze politiche che si candidano a governare il Paese proporre un progetto alternativo di università rispetto ai disastri dei Governi Berlusconi e Monti». Intanto dagli studenti arriva forte la richiesta di «intervento straordinario immediato». «Le dichiarazioni del ministro Profumo fanno cadere la maschera, l`università è un`emergenza nazionale», avverte l’Unione degli universitari (Udu), «dopo la certificazione dell`Istat anche il Governo è costretto ad ammettere che il sistema universitario è in crisi – commenta Michele Orezzi, portavoce nazionale – noi da anni denunciamo questi problemi e veniamo additati come facinorosi o restiamo inascoltati». «Stupiti» si dicono gli studenti del coordinamento universitario Link, «dal 2008 denunciamo con le nostre mobilitazioni la situazione che si sarebbe venuta a creare quest’anno»
L’Unità 20.12.12

“No al welfare minimo che penalizza le donne”, di Rosanna Rosi*

Politiche pubbliche inclusive e un welfare di qualità sono la condizione necessaria per sostenere il lavoro e quindi la libertà e l’autonomia delle donne nel nostro paese. La realtà ci pone tre evidenze: la prima è che siamo di fronte ad una riduzione progressiva del perimetro del welfare italiano. L’equazione non dimostrata tra welfare uguale costo ha comportato tagli progressivi alla spesa pubblica senza riqualificarla, con la riduzione al minimo delle prestazioni sociali, definendo un catalogo sempre più ridotto di prestazioni erogate dal pubblico e ampliando il catalogo di quelle da affidare al mercato privato. La svalorizzazione del lavoro pubblico, con l’aggressione ossessiva nei confronti delle lavoratrici e dei lavoratori ed in particolare del sociale e della scuola, è nello stesso tempo conseguenza e segno della scelta di ridurre il peso e il perimetro della rete di protezione sociale. Ormai ci è chiaro: siamo avviati verso un welfare minimo, costruito secondo una logica assicurativa, individuale e non solidale, che esclude sempre di più le persone, ed in particolare donne, giovani, immigrati, anziani. La seconda evidenza è che l’assenza o la scarsità di servizi vengono scaricati sulle donne che si caricano sempre di più di lavori di cura il cui valore non viene riconosciuto né socialmente, né economicamente, né dal punto di vista previdenziale. Gli stanziamenti del fondo per le politiche sociali sono passati da 1 miliardo di euro nel 2005 a 178 milioni nel 2012. La disponibilità di asili nido è di importanza strategica per promuovere l’occupazione femminile ed importante per lo sviluppo cognitivo dei bambini, per questo motivo tra gli obiettivi della strategia di Lisbona per il 2010 era previsto anche l’aumento dell’offerta di nidi fino a coprire il 33% della popolazione nella fascia di età sotto i tre anni; un incremento del numero dei nidi del 10% farebbe aumentare la probabilità di lavorare del 7% per le donne più istruite e addirittura del 14 % per le donne meno istruite. Ma nel nostro Paese si arriva ad una copertura che va oltre il 20% (Emilia Romagna) mentre siamo fermi al 5% nelle regioni del sud. A queste carenze si somma un altro fenomeno: nelle famiglie in media il 76% del tempo dedicato al lavoro familiare è sulle spalle delle donne. Oggi ancora il 40% dei padri dedica zero ore alla cura dei figli e il 27% non contribuisce al lavoro domestico. Quindi meno servizi e minor condivisione dei lavori di cura corrisponde ad un maggiore impegno delle donne nella cura di bambini e anziani e comporta minori opportunità di lavoro o comunque più difficoltà a rimanere al lavoro. E qui arriviamo alla terza evidenza. L’occupazione delle donne nel nostro Paese è bloccata. Sempre più donne lasciano il lavoro per l’assenza e il costo dei servizi pubblici. Eppure tutti gli indicatori disponibili ci dicono che: il lavoro delle donne crea sviluppo, mette in moto l’economia perché determina domanda di beni e servizi e produce a sua volta altro lavoro. Un aumento della partecipazione femminile fino a raggiungere la soglia del 60% di donne occupate(obiettivo di Lisbona ), produrrebbe in Italia un incremento del Pil del 7%, secondo la Banca d’Italia; un aumento dell’occupazione femminile che raggiunga quella maschile potrebbe generare incrementi del Pil del 22% in Italia, più alto che altrove. Per tutto questo possiamo affermare che il welfare minimo, cioè la riduzione di investimenti pubblici in servizi, il taglio lineare della spesa dedicata ,dei trasferimenti agli enti locali e l’azzeramento dei Fondi sociali nazionali, per esempio quello sulla non autosufficienza, sono l’ostacolo principale all’incremento dell’occupazione delle donne e che dalla crisi si può uscire anche con investimenti pubblici di rilancio del welfare, generatore potente di domanda pubblica di qualità, di coesione sociale. Nostro compito è oggi passare da questa convinzione ad azioni concrete per cambiare questa situazione, perché le donne cambiano… il welfare. Non è un’impresa impossibile, la storia recente ci dice che le donne hanno già cambiato molto portando benefici per tutti
*Responsabile Ufficio Politiche di genere CGIL
L’Unità 20.12.12

“L’obiettivo del Cavaliere”, di Claudio Sardo

«Una cosa è certa: passerò le feste di Natale facendo campagna elettorale». L’altra sera, lasciando gli studi di Porta a Porta, Silvio Berlusconi ha salutato così. È più confuso, appannato, invecchiato di come lo abbiamo conosciuto in questi vent’anni: ma è un professionista della politica e la decisione di correre di nuovo è a questo punto per lui irrevocabile. Per lui fare campagna elettorale vuol dire stare in televisione. Dove possibile occuparla. Non si farà scrupoli. Ha la faccia tosta per invadere gli spazi festivi dei telespettatori italiani. E non ha vergogna nel ripetere: «Sono stato tanto tempo in silenzio. Ho un credito di tredici mesi da recuperare».
Del resto, il Berlusconi 76enne della campagna 2013, sa di avere macroscopiche contraddizioni stampate sul volto. Ha decretato la fine del governo Monti e offre pubblicamente a Monti di guidare il centrodestra. Ma è chiaro a tutti che si tratta di un’offerta falsa: Monti è un suo nemico, gli alleati del premier sono «orrendissimi», in fondo il Cavaliere ha deciso di ricandidarsi – smentendo pubbliche promesse – proprio per impedire che la «sua» destra venga superata nei consensi e marginalizzata da un nuovo fronte moderato.
L’elenco delle contraddizioni del vecchio Berlusconi è ancora molto lungo. Ho partecipato a un Porta a porta che ha fornito solo un parziale campionario. È stato il presidente del Consiglio più longevo della storia repubblicana e spiega che non c’entra nulla con il disastro italiano, anzi che sono stati degli spiriti maligni a bloccarlo. Le prestazioni economiche e sociali dell’Italia nell’ultimo decennio sono le peggiori al mondo, ma anche in questo caso lui parla come se fosse un passante, una vittima, una specie di governante all’opposizione. L’altra sera è arrivato al paradosso di descrivere i leader europei come dei bifolchi incompetenti, mentre lui è il solo a capire di economia e di finanza. Peccato che esponeva le sue teorie come se fosse una Vanna Marchi catapultata in una università a fare lezione di politica monetaria.
Sa di non poter convincere la stragrande maggioranza degli italiani. Sa di apparire ancor più ridicolo a molti, compresi gli osservatori stranieri. Ma pazienza. Il suo obiettivo, il suo target di riferimento è l’area elettorale dei fedelissimi, i fan di Rete4, quella parte di società più insofferente e meno strutturata, quelle categorie che mai voterebbero la sinistra, che sono più sensibili agli slogan antipolitici e alla propaganda anti-tasse, anche alla più estrema, alla meno realistica. Da quando ha lasciato il governo, inseguito dal proprio fallimento interno e internazionale, Berlusconi ha perso fiducia anche in quello che costituiva lo zoccolo duro del suo consenso personale. L’incertezza sul futuro del Pdl ha allargato il distacco. Ma ora ha deciso di andarsi a riprendere parte almeno di quei voti. Comunque di tentarci. Alfano e la democrazia nel Pdl sono stati buttati a mare senza scrupoli. Da settimane sono al lavoro esperti e sondaggisti allo scopo di riportare indietro gli elettori in fuga dal Pdl.
Per questo la bandiera della campagna elettorale berlusconiana sarà l’abolizione dell’Imu. Gli diranno che la tassa è, appunto, figlia del suo fallimento politico. Ma lui non teme questo genere di argomenti. Cerca l’elettore che, dopo il bombardamento mediatico, possa dire: «Questo Berlusconi sarà pure un incapace e un imbroglione, l’Italia andrà pure in rovina, ma almeno lui mi toglierà l’Imu». L’altra sera ho provato a smontare la tesi
dell’esenzione Imu per tutte le prime case: gli ho detto che una persona ricca come lui deve pagare l’Imu anche sulla prima casa, mentre è giusto che non paghino i pensionati, i giovani, le famiglie con redditi bassi. Ma lui, per difendere la propria bandiera demogogica, è arrivato a dire che era d’accordo con me: che, sulla base della sua proposta, i ricchi pagavano. Non è vero affatto. Tuttavia, non intende mettere a rischio lo slogan migliore. Accetta la contraddizione e fa finta di niente. Non fu lui a suo tempo ad abolire l’Ici, avendola abolita solo per i cittadini più ricchi. Ma conta che resti nella memoria un concetto vago, superficiale. Per incassare ancora un dividendo di consensi.
La sua partita, in tutta evidenza, non è vincere. Non può arrivare primo. Tanti elettori sono scappati per sempre. Una quota non marginale gli è stata strappata da Grillo, che ha declinato in altro modo il verbo antipolitico di Berlusconi e della Lega. È convinto che rimettere in campo la sua fisicità, per quanto decaduta, gli possa consentire di superare il 20% e di riconquistare il secondo posto. Così non era più nei sondaggi degli ultimi mesi. Per questo Berlusconi ha bisogno di tempo. Di rimandare le elezioni più in là possibile. Con il secondo posto punta ad una rendita di opposizione. E scommette sull’ingovernabilità, sul fallimento anche della prossima legislatura. A questo fine ha minato il percorso, ha avvelenato i pozzi impedendo riforme istituzionali ed elettorali. Per questo cerca di sgonfiare i centristi e, ancor più, di impedire, di delegittimare un’eventuale intesa tra il centrosinistra di Bersani e il centro di Monti.
Ciò che mi ha più colpito l’altra sera a Porta a porta è stata una risposta di Berlusconi sul finale. Perché Monti non dovrebbe candidarsi? gli ha chiesto Bruno Vespa. Lui, forse per una caduta di lucidità, ha detto: «Perché con il governo Bersani può andare facilmente al Quirinale». Una delle regole basiche della campagna elettorale è non dare per probabile la vittoria dell’avversario: ma Berlusconi stavolta non è capace di mentire fino al punto di negare il primato al leader del centrosinistra.
Ciò non vuol dire che Berlusconi sia meno pericoloso. Vuol dire semmai che è più pericoloso, perché la sua candidatura non ha alcun intento costruttivo per l’Italia. È un gioco di ostruzione, di rimessa. Vuole presidiare, ingessare un’area populista e radicale di destra. Vuole costruire un nuovo asse con la Lega. Vuole creare partitini satelliti (per raggranellare voti sparsi) e non si preoccupa di dire contemporaneamente che «non bisogna votare i piccoli partiti».
Di una cosa però ha dimostrato di avere paura: non vuole assolutamente che si dica la verità sul discredito che ha portato all’Italia, sulla sfiducia delle cancellerie e dei mercati nei suoi confronti, sul disprezzo che ha accumulato. Quando si dice questa verità, va su tutte le furie. È stato il momento in cui è diventato rosso di rabbia, quando si è dovuto misurare con le prove materiali di questo discredito. È l’argomento che teme di più in campagna elettorale. Perché questo messaggio può insinuare un tarlo anche tra gli elettori benevoli verso di lui. In una pausa della registrazione ha detto: «Non dovete dire che c’è discredito internazionale verso di me, perché questo non l’accetto». Peccato che sia una verità oggettiva. Che è stato fatto un governo d’emergenza per questo motivo.
L’Unità 20.12.12