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“Chi paga ora il conto per l’italianità di Alitalia?”, di Tiziano Treu

A suo tempo l’italianità è stata invocata per salvare l’Alitalia. Fu un grave errore che noi denunciammo a suo tempo con le ragioni che ora sono confermate. Questi anni hanno dimostrato che l’operazione era economicamente instabile e sfruttata solo per ragioni politiche. Esisteva un’alternativa: l’alleanza con Air France era già stata esplorata e avrebbe potuto dare vantaggi economici invece di perdite e un respiro europeo che l’Alitalia di oggi, da sola, non ha.
Ora la situazione dell’ex compagnia di bandiera si è aggravata per l’evoluzione dei mercati sia sul breve raggio (competizione col treno) sia sul medio (competizione con le low cost) per cui rilanciare l’Alitalia si può fare solo con una vera e propria ristrutturazione di strategie e con risorse fresche che i “capitani coraggiosi” di allora non hanno.
Così rischiamo di avere un mercato italiano molto ricco che viene conquistato con pochi spiccioli, come purtroppo è successo in altri settori della nostra economia. La soluzione di rivendere la compagnia allo stato è assolutamente impraticabile e per fortuna la Cassa depositi e prestiti, anche se avesse questa tentazione, non lo potrebbe fare, come ha spiegato Franco Bassanini. La verità è che occorre una politica industriale anche per il settore del trasporti. Non invochiamo l’italianità per commettere un altro errore.
da Europa Quotidiano 22.12.12

“Si può amare la nostra Costituzione?”, di Gustavo Zagrebelsky

Il discorso di Roberto Benigni sulla Costituzione è stato per molti una rivelazione: rivelazione, innanzitutto, di principi fino a lunedì scorso, probabilmente, ignoti ai più; ma, soprattutto, rivelazione di ciò che sta nel nucleo dell’idea stessa di Costituzione. In un colpo solo, è come se fosse crollata una crosta fatta di tante bana-lità, interessate sciocchezze, luoghi comuni, che impedivano di vedere l’essenziale. Non si è mancato di leggere, anche a commento di quel discorso, affermazioni che brillano per la loro vuotaggine: che la Costituzione è un ferrovecchio della storia, superata dai tempi, figlia della guerra fredda e delle forze politiche di allora. Benigni, non so da chi, è stato definito “un comico”, “un guitto”. Il suo discorso è stato la riflessione d’un uomo di cultura profonda e di meticolosa preparazione, il quale padroneggia in misura somma una gamma di strumenti espressivi che spaziano dall’ironia leggera, alla tenerezza, all’emozione, all’indignazione, alla passione civile. La Costituzione, collocata in questo crogiuolo d’idee e sentimenti, ha incominciato o ricominciato a risuonare vivente, nelle coscienze di molti. È stato come svelare un patrimonio di risorse morali ignoto, ma esistente. Innanzitutto, è risultata la natura della Costituzione come progetto di vita sociale. La Costituzione non è un “regolamento” che dica: questo si può e questo non si può, e che tratti i cittadini come individui passivi, meri “osservanti”. a Costituzione non è un codice di condotta, del tipo d’un codice penale, che mira a reprimere comportamenti difformi dalla norma. È invece la proposta d’un tipo di convivenza, secondo i principi ispiratori che essa proclama. Il rispetto della Costituzione non si riduce quindi alla semplice non-violazione, ma richiede attuazione delle sue norme, da assumersi come programmi d’azione politica conforme. L’Italia, o la Repubblica, “riconosce”, “garantisce”, “rimuove”, “promuove”, “favorisce”, “tutela”: tutte formule che indicano obiettivi per l’avvenire, per raggiungere i quali occorre mobilitazione di forze. La Costituzione guarda avanti e richiede partecipazione attiva alla costruzione del tipo di società ch’essa propone. Vuole suscitare energie, non spegnerle. Vuole coscienze vive, non morte. Queste energie si riassumono in una parola: politica, cioè costruzione della
pòlis.
A differenza d’ogni altra legge, la cui efficacia è garantita da giudici e apparati repressivi, la Costituzione è, per così dire, inerme: la sua efficacia non dipende da sanzioni, ma dal sostegno diffuso da cui è circondata. La Costituzione è una proposta, non un’imposizione. Anche gli organi cosiddetti “di garanzia costituzionale” — il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale — nulla potrebbero se la Costituzione non fosse già di per sé efficace. La loro è una garanzia secondaria che non potrebbe, da sola, supplire all’assenza della garanzia primaria, che sta presso i cittadini che la sostengono col loro consenso. Così si comprende quanto sia importante la diffusione di una cultura costituzionale. L’efficacia del codice civile o del codice penale non presuppone affatto che si sia tutti “civilisti” o “penalisti”. L’efficacia della Costituzione, invece, comporta che in molti, in qualche misura, si sia “costituzionalisti”. Non è un’affermazione paradossale. Significa solo che, senza conoscenza non ci può essere adesione, e che, senza adesione, la Costituzione si trasforma in un pezzo di carta senza valore che chiunque può piegare o stracciare a suo piacimento.
Così, comprendiamo che la prima insidia da cui la Costituzione deve guardarsi è l’ignoranza. Una costituzione ignorata equivale a una Costituzione abrogata. La lezione di Benigni ha rappresentato una sorpresa, un magnifico squarcio su una realtà ignota ai più. È lecito il sospetto che sia ignota non solo a gran parte dei cittadini, ma anche a molti di coloro che, ricoprendo cariche pubbliche, spensieratamente le giurano fedeltà, probabilmente senza avere la minima idea di quello che fanno. La Costituzione, è stato detto, è in Italia “la grande sconosciuta”. Ma c’è una differenza tra l’ignoranza dei governanti e quella dei governati: i primi, ignoranti, credono di poter fare quello che vogliono ai secondi; i secondi, ignoranti, si lasciano fare dai primi quello che questi vogliono. Così, l’ignoranza in questo campo può diventare instrumentum regni nelle mani dei potenti contro gli impotenti.
A questo punto, già si sente l’obiezione: la Costituzione come ideologia, paternalismo, imbonimento, lavaggio del cervello. La Costituzione come “catechismo”: laico, ma pur sempre catechismo. La Costituzione presuppone adesione, ma come conciliare la necessaria adesione con l’altrettanto importante libertà? Questione antica. Non si abbia paura delle parole: ideologia significa soltanto discorso sulle idee. Qualunque costituzione, in questo senso, è ideologica, è un discorso sulle idee costruttive della società. Anche la costituzione che, per assurdo, si limitasse a sancire la “decostituzionalizzazione” della vita sociale, cioè la totale libertà degli individui e quindi la supremazia dei loro interessi individuali su qualunque idea di bene comune, sarebbe espressione d’una precisa ideologia politica. L’idea d’una costituzione non ideologica è solo un’illusione, anzi un inganno. Chi s’oppone alla diffusione della cultura della costituzione in nome d’una vita costituzionale non ideologica, dice semplicemente che non gli piace questa costituzione e che ne vorrebbe una diversa. Se, invece, assumiamo “ideologia” come sinonimo di coartazione delle coscienze, è chiaro che la Costituzione non deve diventare ideologia. La Costituzione della libertà e della democrazia deve rivolgersi alla libertà e alla democrazia. Deve essere una pro-posta che non può essere im-posta. Essa deve entrare nel grande agone delle libere idee che formano la cultura d’un popolo. La Costituzione deve diventare cultura costituzionale.
La grande eco che il discorso di Benigni ha avuto nell’opinione pubblica è stata quasi un test. Essa dimostra l’esistenza latente, nel nostro Paese, di quella che in Germania si chiama
WillezurVerfassung, volontà di costituzione: anzi, di questa Costituzione. È bastato accennare ai principi informatori della nostra Carta costituzionale perché s’accendesse immediatamente l’immagine d’una società molto diversa da quella in cui viviamo; perché si comprendesse la necessità che la politica riprenda il suo posto per realizzarla; perché si mostrasse che i problemi che abbiamo di fronte,
se non trovano nella Costituzione la soluzione, almeno trovano la direzione per affrontarli nel senso d’una società giusta, nella quale vorremmo vivere e per la quale anche sacrifici e rinunce valgono la pena. In due parole: fiducia e speranza. Ma senza illusioni che ciò possa avvenire senza conflitti, senza intaccare interessi e posizioni privilegiate: la “volontà di costituzione” si traduce necessariamente in “lotta per la Costituzione” per la semplice ragione che non si tratta di fotografare la realtà dei rapporti sociali, ma di modificarli.
La Costituzione vive dunque non sospesa tra le nuvole delle buone intenzioni, ma immersa nei conflitti sociali. La sua vitalità non coincide con la quiete, ma con l’azione. Il pericolo non sono le controversie in suo nome, ma l’assenza di controversie. Una Costituzione come è la nostra, per non morire, deve suscitare passioni e, con le passioni, anche i contrasti. Deve mobilitare. Tra i cittadini c’è desiderio di mobilitazione, cui mancano però i punti di riferimento. I quali dovrebbero essere offerti dalle strutture organizzate della partecipazione politica, innanzitutto i partiti che dicono di riconoscersi nella Costituzione. Ma tra questi spira piuttosto un’aria di smobilitazione, come quando ambiguamente si promettono (o minacciano, piuttosto) “stagioni”, “legislature” costituenti, senza che si chiarisca che cosa si vorrebbe costituzionalizzare, al posto della Costituzione che abbiamo. Possibile che non si veda a quale riserva d’energia così si rinuncia, in cambio di flosce e vaghe prospettive?
La Repubblica 22.12.12

“Farsa e veleno nei titoli di coda”, di Gian Antonio Stella

«Caaalma! Caaalma!» Ha risposto così il presidente della Commissione Bilancio del Senato, il pdl Antonio Azzollini, a chi chiedeva impaziente, a partire dal governo, l’ultimo sì per il varo del decreto sulla incandidabilità e il divieto di ricoprire cariche pubbliche per chi sia stato condannato anche in Cassazione a pene superiori ai due anni.
Dicono di là che non c’erano alternative, che troppe cose da fare si sono ammucchiate all’ultimo momento, che l’ingorgo è tale da imporre alcune priorità e che semmai era più urgente la legge sull’obbligo del pareggio di bilancio, indispensabile per tranquillizzare l’Europa inquieta per il dopo Monti. Dicono di qua, nella scia di un’osservazione di Annamaria Cancellieri, che proprio non si capisce perché la Commissione Bilancio, teatro l’altra notte di un vero e proprio assalto alla diligenza per caricare sulla legge di Stabilità (tornata a essere l’«ultimo treno per Yuma» della legislatura) un’infinità di emendamenti di spesa, debba poi mettersi di traverso a una regola che non costa nulla e aiuterebbe gli stessi partiti a liberarsi di un po’ di zavorra.
Non bastasse, lo scontro su questo intralcio alle «liste pulite» (e sull’interpretazione di questo intralcio) è andato a sommarsi col pasticcio sul via libera a mille sale da poker live che il governo prima aveva deciso di rinviare, poi ha chiesto di ripristinare (sopprimendo la soppressione) perché ne era nato un buco nei conti e infine ha promesso ieri pomeriggio di rivedere, sotto la grandinata di polemiche indignate, garantendo «ulteriori valutazioni che potrebbero portare alla abrogazione». Testuale. Un’approvazione con retromarcia incorporata.
Non bastasse ancora, l’«ordinato compimento della legislatura» tanto invocato per zittire i corvi del malaugurio è stato scosso da una rissa ulteriore. Quella sulle norme per la presentazione delle liste. Fino a pochi mesi fa pareva un problema secondario. Ognuno raccoglieva le firme prescritte e se ne mancavano «si arrangiava» nel reciproco silenzio. L’inchiesta lombarda nata dagli esposti radicali, col rinvio a giudizio di una dozzina di persone, ha cambiato tutto. Di qui la decisione del governo di rendere meno dure per i nuovi partiti le vecchie regole, col dimezzamento del numero delle firme necessarie per presentare una lista. E per contro la pretesa di chi già siede in una assemblea, regionale o nazionale, di scavalcare il problema con un parallelo ritocco alle norme: chi ha un gruppo è esentato dal pedaggio delle firme. Ed ecco all’ultima seduta del consiglio regionale lombardo lo «spacchettamento» in tre del Pdl. Seguito ieri dallo sbocciare in Parlamento di un nuovo codicillo: possono non raccogliere le firme i partiti che si sono costituiti in gruppo parlamentare entro il 20 dicembre. Ad esempio quello di Ignazio La Russa.
Come possa finire questo tafferuglio sui titoli di coda si vedrà. Ma sono bastati pochi giorni per fare riemergere le chiazze di veleno che intossicavano la nostra vita politica prima che l’emergenza obbligasse tutti a un anno di (mal sopportata) «Pax Montiana». Fatto sta che andiamo al voto con la vecchia legge elettorale che tutti giuravano di voler cambiare. Per rinnovare Camere identiche a quelle che tutti giuravano di voler dimezzare. E probabilmente senza quelle regole (minime) sulle liste pulite che tutti giuravano di voler approvare. Proprio l’ideale, per riavvicinare i cittadini alla buona politica.
Il Corriere della Sera 21.12.12

“Io sto con Platone”, di Massimo Gramellini

Secondo il vescovo di Senigallia monsignor Odo Fusi Pecci, il cattolico Vendola non è un vero cattolico ma un pervertito, perché le relazioni omosessuali sono contrarie al piano di Dio, che ci ha creati uomo e donna per mettere al mondo dei figli. Si potrebbe ribattere che con un piano simile avrebbero qualche problema anche i preti. Ma si avvicina il Natale e mi accontento di regalare idealmente al vescovo un testo anteriore e complementare ai Vangeli, il Simposio, scritto dal pensatore più spirituale di ogni epoca, Platone. Fra le tante cose, tutte mirabili, il filosofo greco racconta il mito dell’androgino. Gli esseri umani delle origini appartenevano a tre generi: il maschio, la femmina e l’androgino, provvisto di entrambi gli organi riproduttivi. Ma gli uomini fecero arrabbiare gli dei e Giove decise di punirli affettandoli in due. Da allora l’androgino vaga in cerca della sua metà di sesso opposto. E la stessa cosa fanno – con grande dispetto del monsignore – il maschio e la femmina dimezzati, che trovano pace solo nel riunirsi alla metà mancante e identica a loro. L’energia divina che muove la danza di tutte queste metà si chiama amore ed è uguale per tutti, etero e omosessuali. Le perversioni non sono dunque figlie dell’accetta di Giove, ma dei pensieri ossessivi di certi uomini, per lo più maschi e per lo più bigotti.
P.S. Oltre che con Platone, in questi giorni di festa sto con un altro antico, Pannella, e con la sua battaglia di civiltà per un carcere che non ci faccia vergognare di essere maschi, femmine, androgini, come ci pare, ma umani.
La Stampa 21.12.12

Mi candido alle primarie del PD

manuela ghizzoniMi candido alle primarie del PD per rappresentare, ancora una volta, il territorio modenese. Lo faccio per non venire meno alla fiducia che è stata riposta in me e per continuare a farmi carico di responsabilità collettive, perché “ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio, uscirne insieme è la Politica”. La responsabilità di difendere la Costituzione, di garantire una “scuola aperta a tutti”, di assicurare il diritto allo studio per “i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi”, di promuovere “lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”, di tutelare “il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.
Nella legislatura che si sta chiudendo tante sono le responsabilità che ho scelto di assumere – talvolta anche in contrasto con il Governo, come sul “decreto semplificazioni” e sull’ultimo provvedimento per le zone terremotate – perché dettate dalle esigenze delle donne e degli uomini che ero chiamata a rappresentare. È difficile riassumere l’attività svolta in Commissione Cultura, in Aula e attraverso i rapporti con il Governo. Mi aiutano le statistiche sulla produttività parlamentare che mi vedono 18ª su 630 deputati, con una partecipazione ai lavori superiore al 95%. Scuola, università, ricerca, cultura e informazione sono stati gli ambiti della mia attività, che ha avuto un orizzonte nazionale senza mai tralasciare le istanze e gli impegni provenienti dal territorio, dalle cittadine e dai cittadini per i quali ho cercato di essere un riferimento istituzionale. Ne resta testimonianza in 13 proposte di legge e una proposta di inchiesta parlamentare sull’edilizia scolastica, ma soprattutto nei 234 atti tra interrogazioni, interpellanze, mozioni e risoluzioni, dove il territorio modenese e regionale è protagonista insieme ai temi nazionali. Un intreccio ben visibile anche negli ultimi provvedimenti votati dal Parlamento: la Legge di Stabilità, che mi ha visto protagonista della battaglia per l’aumento del fondo per il diritto allo studio e per lo stralcio della norma che vedeva aumentato l’orario di lezione frontale a parità di salario per gli insegnanti; l’ultimo decreto sul terremoto che, grazie all’impegno dei parlamentari modenesi, è stato modificato in favore delle reali esigenze del nostro territorio. Fiducia alla scuola, investimenti sul sapere, sostegno ai territori colpiti dal sisma: sono i temi da cui dovrà ripartire il prossimo Governo per lo sviluppo del Paese e per la coesione nazionale.
I candidati del Partito Democratico dovranno scontrarsi con chi vorrebbe far rivivere un governo tecnico, che troppo spesso ha considerato più importanti i calcoli ragionieristici di quanto non fosse il futuro dei nostri giovani o del nostro territorio, e dovranno avere le capacità e le competenze per portare il Paese fuori dalla crisi, puntando sull’investimento pubblico in formazione e cultura, perché è questa la chiave per una crescita e un lavoro inclusivi, quindi per il successo dell’economia, delle società e dei cittadini.
Mi candido per assumermi la responsabilità di proseguire il percorso che, grazie alla vostra fiducia e al sostegno di ciascuno di voi, mi ha portato, da assessore alla cultura del Comune di Carpi, a ricoprire prima l’incarico di capogruppo in Commissione Cultura e, nello scorcio del mio mandato, quello di Presidente della stessa commissione, unica presidente del Partito Democratico.
Mi candido per assumermi, ancora una volta, la responsabilità di far sentire la voce del nostro territorio presso le istituzioni centrali e per offrire alla politica nazionale l’esempio del buon governo, del senso civico e dell’etica del fare delle nostre comunità.

“Bosone superstar”, di Cristiana Pulcinelli

La scoperta più importante dell’anno secondo la top ten di «Science» Tra le dieci indicate dalla rivista americana ci sono la ricostruzione, da un frammento, del genoma dell’uomo di Denisova e il sistema di briglie inventato dagli ingegneri della Nasa per far atterrare su Marte il rover «Curiosity». IL BOSONE DI HIGGS, cos’altro? Cos’altro poteva aggiudicarsi il titolo di scoperta fondamentale del 2012? È questa elusiva particella, ipotizzata dai fisici quarant’anni fa e da allora cercata in tutti i modi, ad aggiudicarsi il primo posto nella classifica delle scoperte scientifiche più importanti che la rivista americana Science compila ogni anno a dicembre. L’esistenza del Bosone è stata accertata infatti nell’anno che sta per finire, precisamente il 4 luglio scorso, quando un gruppo di ricercatori che lavorano con Lhc, il più grande acceleratore di particelle del mondo, ha dato l’annuncio: l’abbiamo visto (o meglio, abbiamo visto le tracce di una nuova particella compatibile con il bosone di Higgs che stavamo cercando. Tanto per essere cauti).
La scoperta ha messo al suo posto l’ultimo pezzo del puzzle che i fisici chiamano «Modello standard delle particelle». È la teoria che spiega come le particelle interagiscono fra loro attraverso la forza elettromagnetica, la forza nucleare debole e quella nucleare forte per creare la materia dell’universo. La teoria funzionava perfettamente, a parte un piccolo problema: la massa. «Assegnare semplicemente una massa alle particelle faceva andare la teoria in tilt dal punto di vista matematico spiega Adrian Cho su Science così, si pensò che la massa dovesse emergere in qualche modo dalle interazioni tra le particelle stesse». In aiuto arrivò l’ipotesi del bosone di Higgs. I fisici hanno immaginato che tutto lo spazio-tempo sia permeato da un campo, il campo di Higgs, simile a un campo elettromagnetico. Le particelle che si muovono nello spazio-tempo interagiscono con il campo di Higgs per ottenere energia e, quindi, massa (secondo la famosa formula di Einstein per cui massa ed energia sono equivalenti). «Come un campo elettrico consiste di particelle chiamate fotoni, così il campo di Higgs consiste di particelle chiamate bosoni di Higgs che si muovono nel vuoto», continua Cho. Alla fine i fisici sono riusciti a portare alla luce la particella finora solo immaginata.
Naturalmente la scoperta non è stata semplice né economica. Migliaia di ricercatori hanno lavorato per mesi attorno a Lhc, una macchina costata 5,5 miliardi di dollari che si trova presso il Cern di Ginevra. Ma i risultati sono stati sorprendenti: hanno catturato l’attenzione di tutti i mass media del mondo e portato la fisica delle particelle nelle case. Quello che ancora non è chiaro, scrive Science, è dove la scoperta del bosone porterà la fisica delle particelle in futuro.
Accanto alla scoperta della particella «speciale», ce ne sono altre a segnare l’anno che si sta per concludere. Science ne individua nove.
Il genoma dei Denisoviani. Una nuova tecnica ha permesso di sequenziare il genoma completo dell’uomo di Denisova, un ominide vissuto contemporaneamente a Neanderthal e Homo sapiens, utilizzando soltanto 10 milligrammi di materiale: il frammento di un osso del mignolo. L’analisi del Dna ha rivelato che il frammento apparteneva a una ragazza che aveva capelli scuri, occhi scuri e pelle scure e che è morta in Siberia tra 74.000 e 82.000 anni fa.
Uova da cellule staminali. Ricercatori giapponesi hanno mostrato che cellule staminali embrionali di topo possono essere indotte a trasformarsi in cellule uovo vitali. Le cellule ottenute, fertilizzate in laboratorio, hanno infatti dato vita a topolini. Il metodo richiede ancora madri surrogate (le uova si devono sviluppare nell’utero delle femmine che le ospitano), ma è uno strumento utile per studiare i fattori che influenzano la fertilità e lo sviluppo delle cellule uovo.
Curiosity. Benché Curiosity fosse troppo pesante per atterrare, gli ingegneri della Nasa hanno trovato un modo creativo di portare il rover sulla superficie di Marte. Hanno infatti creato un sistema di atterraggio chiamato Sky Crane che, grazie a tre briglie, ha poggiato delicatamente la macchina al suolo. In una prossima missione si pensa di recuperare i campioni che sta raccogliendo.
Il laser a raggi X e le proteine. Un laser a raggi X è stato utilizzato per determinare la struttura di un enzima richiesto da Trypanosoma brucei, il parassita che causa la malattia del sonno. La ricerca mostra le potenzialità del laser a raggi X nel decifrare le proteine.
Ingegneria genetica di precisione. Un nuovo strumento chiamato Talens (transcription activator-like effector nucleases) ha permesso ai ricercatori di alterare o inattivare specifici geni in alcuni animali e anche in cellule di pazienti con determinate malattie. Si tratta di una proteina che taglia il Dna in punti specifici. Una tecnica che sembra efficiente come altre tecniche di ingegneria genetica e meno costosa.
I fermioni di Majorana. Sono particelle strane che agiscono anche come le proprie antiparticelle. Della loro esistenza si è discusso per settant’anni, quest’anno un team di fisici e chimici olandesi ha fornito la prima prova della loro esistenza nella forma di quasi-particelle: gruppi di elettroni che interagiscono tra loro e che si comportano come una singola particella. Gli scienziati ritengono che qubits fatti di queste particelle sarebbero più efficiente nell’immagazzinare e processare i dati rispetto ai bit usati normalmente nei computer digitali.
Il progetto Encode. Uno studio lungo oltre dieci anni e i cui risultati sono stati pubblicati nel 2012 ha dimostrato che il genoma umano è più «funzionale» di quanto si pensasse. Solo il 2% del genoma codifica per proteine, mentre circa l’80% è attivo e utile, ad esempio, per accendere e spegnere i geni.
Interfaccia cervello-macchina. Un gruppo di ricercatori della Pennsylvania ha mostrato che una paziente paralizzata di 52 anni è stata in grado di muovere un arto meccanico con la mente e eseguire complessi movimenti in tre dimensioni. Per ora la tecnologia è sperimentale e molto costosa, ma si spera di poterla utilizzare per aiutare pazienti paralizzati. Neutrino. Centinaia di ricercatori che lavorano al Daya Bay Reactor Neutrino Experiment in Cina hanno scoperto l’ultimo parametro di un modello che descrive come i neutrini si trasformano da un tipo (o «sapore» come dicono i fisici) a un altro quando viaggiano quasi alla velocità della luce. Il risultato suggerisce che negli anni a venire la fisica del neutrino sarà molto ricca e neutrino e forse un giorno potrà spiegare perché l’universo contenga così tanta materia e così poca antimateria.
L’Unità 21.12.12
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“Quel Bosone che ha Cambiato la Scienza”, di Anna Meldolesi
Stavolta la rivista Science non ha avuto dubbi e nemmeno noi: la scoperta del 2012 è il bosone di Higgs. Il riconoscimento, anzi, gli va stretto. La particella uscita dal cilindro del Cern di Ginevra lo scorso luglio, dopo una latitanza durata decenni, può tranquillamente ambire al titolo di scoperta del decennio, al Nobel e ad altro ancora. Perché ci cambierà la vita? No, perché ha cambiato la scienza. Oggi abbiamo bisogno dell’acceleratore Lhc (Large Hadron Collider), che è costato miliardi ed è lungo chilometri. Ma seppure un giorno inventassimo un fantascientifico generatore di Higgs tascabile, dei nostri bosoni non sapremmo che farcene. Decadrebbero in meno di uno zeptosecondo. La ricerca scientifica è sempre un ottimo investimento, ma sono lontani i tempi dell’elettricità di Franklin o delle onde radio di Hertz, quando a una grande scoperta corrispondevano quasi automaticamente grandi applicazioni. Adesso creiamo particelle che nel nostro ambiente ordinario semplicemente non esistono e probabilmente non vi troveranno mai posto. Eppure il bosone di Higgs merita tutta l’attenzione del mondo. Non sarà la particella di Dio, come ci siamo abituati a chiamarlo con una suggestiva metafora che ha infastidito credenti e non credenti. Ma si può ben dire che è «la particella ai confini dell’universo», come recita il titolo del bel libro appena pubblicato in America da Sean Carroll. Il bosone di Higgs, infatti, ci conduce proprio là dove corre la frontiera più remota della conoscenza. È l’ultimo mattone necessario per completare la struttura portante del vecchio e glorioso edificio teorico della fisica delle particelle (Modello Standard). E (forse) il primo mattone della nuova fisica prossima ventura. In quel «forse» è racchiusa una pesante responsabilità per Higgs, il cui campo conferisce la massa ad elettroni e quark, rendendo possibile la formazione di atomi e molecole. In definitiva consentendo la vita. Averlo trovato è una vittoria dell’intelletto umano, anche se qualcuno in cuor suo spera che il bosone si comporti in modo anomalo e rilanci la sfida: «Mi avete acciuffato, ma non mi avete ancora compreso!». C’è chi immagina due bosoni di Higgs diversi, anziché uno. Così favoleggiano in questi giorni alcuni blog scientifici, sulla base dei diversi valori di energia registrati nei due esperimenti fratelli del Cern (Cms e Atlas, quest’ultimo coordinato dalla nostra Fabiola Gianotti, fresca contendente per il titolo di persona dell’anno secondo Time). La supersimmetria ne prevede addirittura cinque, di bosoni di Higgs. Di sicuro la natura non è ancora nuda davanti ai nostri occhi. La gravità non ha smesso di essere un osso duro per i fisici teorici e la materia ordinaria costituisce solo una frazione dell’universo. Il bosone di Higgs rappresenta il portale tra il mondo che conosciamo e altri mondi nascosti, con materia oscura, supersimmetrie, dimensioni extra e via fantasticando. Per esplorarli e mapparli abbiamo bisogno di dati, e per procurarceli dovremo costruire acceleratori via via più potenti. I costi sono alti, le ricadute immediate scarseggiano, la minaccia della guerra fredda che in passato ha spinto la corsa della fisica è ormai un ricordo sbiadito. I bambini fanno domande su domande per il solo gusto di capire come funzionano le cose. Se noi adulti smettiamo di farcele, o pretendiamo contropartite sicure, allora il Modello Standard potrebbe essere tutto ciò che la natura è disposta a rivelare di sé. «La scoperta del bosone di Higgs è una pietra miliare», scrive Adrian Cho su Science. «Ne seguiranno altre, anch’esse epocali?».
Il Corriere della Sera 21.12.12

Schifani interrompa il «gioco del ritardo», di Luca Landò

Se il diavolo si nasconde nei dettagli, quella di ieri è stata una gionata infernale. Perché è davvero diabolico il trucco escogitato dal Pdl per rallentare il cammino del decreto liste pulite che dopo il via della Camera avrebbe dovuto ricevere l’ok definitivo del governo. Avrebbe. Perché come ha annunciato ieri il ministro dell’Interno, per apporre il timbro finale manca il parere della Commissione Bilancio del Senato. E qui, come direbbe Di Pietro, sorge incontenibile una domanda: che «c’azzecca» il bilancio con il divieto di mandare in Parlamento persone condannate?
Certo, prima di approvare un decreto è bene sapere tutto, anche gli eventuali effetti sul conto economico del Paese. Ma il punto è proprio questo: qual è l’impatto economico di una lista pulità? C’è davvero qualcuno che possa ragionevolmente sostenere che un condannato in Parlamento costi meno di una persona onesta? Nessuno ovviamente. Tanto è vero che la Commissione Bilancio della Camera non ha avuto nulla da ridire sul decreto e ha rapidamente dato il proprio parere favorevole.
Eppure il presidente della Commissione Bilancio del Senato, il pidiellino Antonio Azzolini, ha spiegato che con la legge di Stabilità che corre, il lavoro è molto e il tempo manca. Nemmeno quello di esaminare un decreto a evidente costo zero. Come dire, passate più tardi.
Peccato che il tempo passi anche per la sedicesima legislatura, ma soprattutto corra per la presentazione delle liste che dovrebbero venire depositate entro metà gennaio. Per fare in modo che queste siano pulite e trasparenti – che non contengano nomi di persone condannate, tanto per intenderci – bisogna che venga convocato un altro Consiglio dei ministri (quello previsto, come sappiamo, è andato a vuoto), che il decreto sia approvato e che venga pubblicato in Gazzetta Ufficiale entro il 13 gennaio. Con il Natale di mezzo e le dimissioni imminenti di Monti (che pure resterà a guidare un governo di ordinaria amministrazione) c’è dunque il serio pericolo che la clessidra si svuoti prima di quella fatidica data. E che del decreto se ne parlerà sì, ma alle elezioni successive.
È questo il disegno del Pdl? Come diceva Andreotti, a pensar male ci si prende sempre. E lo dimostra il tentativo, riuscito, di salvare la candidatura di Marcello Dell’Utri, grazie a una modifica ad personam spiegata ieri su queste colonne da Claudia Fusani. Nonostante una condanna definitiva a due anni e tre mesi per frode fiscale – rientrando dunque a pieno titolo tra gli incandidabili del decreto – il senatore potrebbe nuovamente tornare a Palazzo Madama grazie a una norma transitoria inserita in zona Cesarini. Eccola: le condanne patteggiate sono valide, ai fini della incandidabilità, solo se intervengono dopo l’entrata in vigore della norma. E poiché Dell’Utri ha patteggiato nel 1999, ecco che la condanna «non conta» ai fini dell’ingresso nella lista. C’è ma non si vede.
Un trucco, insomma. Proprio come quello di utilizzare il parere della Commissione Bilancio per rallentare l’approvazione del decreto liste pulite che, se venisse approvato in tempo, impedirebbe l’ingresso in Parlamento di persone con condanne definitive sopra i due anni e per reati puniti nel minimo fino a quattro anni. Sono compresi quelli contro la pubblica amministrazione, ma anche quelli valutari, di bilancio, bancarotta frode e voto di scambio. Non solo, ma secondo la norma che non piace al Pdl (e che il presidente Azzolini non ha il tempo di verificare) dovranno dimettersi anche quei deputati e senatori già eletti ma che venissero raggiunti nel corso della legislatura da una condanna definitiva.
È bene essere chiari: impedire con ogni mezzo l’approvazione di questo decreto è un fatto doppiamente inaccettabile. Il primo, perché si tratta di una misura di civiltà che, anche se qualcuno considera ancora insufficiente, è comunque un passo avanti rispetto alle liste caravanserraglio a cui abbiamo assistito negli anni passati. Il secondo, perché è una norma facile da capire e da spiegare: utilizzare simili sotterfugi per ritardarne l’approvazione e dunque bloccarla aggiunge la beffa al danno, perché ha il sapore di una plateale presa in giro.
C’è un solo modo per evitare che tutto questo accada: invitare la Commissione Bilancio e il suo Presidente a trovare il tempo, ne basterebbe davvero poco, per comunicare il proprio parere sul decreto. Il Presidente del Senato Schifani ha un’ultima, preziosa occasione per dimostrare di ricoprire un ruolo istituzionale e super partes. Riuscira a farlo?
l’Unità 21.12.12