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"Partiti, istituzioni, Europa la fiducia va a picco cittadini sempre più soli il Papa unica speranza", di Ilvo Diamanti – La Repubblica 30.12.14

Un Paese spaesato. Senza riferimenti. Frustrato dai problemi economici, dall’inefficienza e dalla corruzione politica. Affaticato. E senza troppe illusioni nel futuro. È l’Italia disegnata dalla XVII indagine su “Gli Italiani e lo Stato”, condotta da Demos (per Repubblica). Pare una replica del Rapporto 2013. Se possibile: peggiorata. Tuttavia, c’è una novità: il senso di solitudine. Perché oggi, molto più che nel passato, anche recente, i cittadini si sentono “soli”. Di fronte allo Stato, alle istituzioni, alla politica. Ma anche nel lavoro. E nella stessa comunità.
1. Soli di fronte allo Stato. Valutato con fiducia dal 15% dei cittadini. Metà, rispetto al 2010, 4 punti meno di un anno fa.
Un livello basso, ma non molto diverso, ormai, rispetto agli altri governi territoriali. Perché meno del 20% dei cittadini si fida delle Regioni e meno del 30% dei Comuni. Insomma siamo un Paese senza Stato, secondo le tradizioni. Ma abbiamo perduto anche il territorio. Mentre l’Europa appare sempre più lontana, visto che poco più di un italiano su quattro crede nella UE.
2. D’altra parte, gli italiani si sentono sempre più lontani dalla politica. E, in primo luogo, dai partiti. Ormai non li stima davvero nessuno. Per la precisione, il 3%. Cioè, una quota pari al margine d’errore statistico. Poco meno del Parlamento, comunque (7%). Una conferma del clima di sfiducia che mette apertamente in discussione la “democrazia rappresentativa”. Interpretata, in primo luogo, proprio dai partiti, insieme al Parlamento.
3. Al di là dell’ampiezza, colpisce la “velocità” con cui sta crescendo la sfiducia verso i soggetti politici e le istituzioni di rappresentanza democratica. Rispetto al 2010, infatti, la credibilità dello Stato, dei partiti e del Parlamento è dimezzata. Mentre la fiducia nei Comuni e nelle Regioni è calata di oltre 10 punti percentuali. La perdita di riferimenti territoriali ha investito anche l’Unione Europea. Vista con favore dal 27% degli italiani: 22 punti meno del 2010. E 5 punti meno dell’an- no scorso.
4. La stessa figura del Presidente della Repubblica appare coinvolta da questo clima di spaesamento. Giorgio Napolitano, “costretto” a subentrare a se stesso, per non creare pericolosi vuoti di potere, ha pagato le tensioni politiche e istituzionali. Anche per questo la fiducia nel Presidente, è scesa dal 71 al 44%, dal 2010 ad oggi. E di 5 punti rispetto all’anno scorso. D’altronde, tutti i livelli e i soggetti di “governo” hanno perduto consenso in misura significativa rispetto allo scorso anno: partiti, Parlamento, Comuni, Regioni. Lo Stato.
5. E ciò suggerisce, come si è già detto, che sia in discussione la credibilità stessa della democrazia rappresentativa. Sfidata apertamente da alcuni soggetti politici, come il M5s, che le oppongono la democrazia “diretta”. Solo il 46% degli italiani ritiene, peraltro, che “senza partiti non ci possa essere democrazia”. Mentre il 50% pensa il contrario (nel 2010 era il 42%). Certo, i due terzi dei cittadini credono che la democrazia sia ancora la peggior forma di governo, ad esclusione di tutte le altre (come sosteneva Churchill). Ma la scommessa democratica, nel 2008, era sostenuta da una quota di cittadini molto più ampia: il 72%.
6. Insomma, fra gli italiani si è diffusa una certa “stanchezza democratica”. Anche perché la nostra democrazia, il nostro Stato, si dimostrano sempre più inefficienti. Non per caso, è cresciuta l’insoddisfazione verso i servizi pubblici. E l’insofferenza verso il sistema fiscale appare, ormai, senza limiti. Come il ri-sentimento verso la corruzione politica. Vizi nazionali, di “lunga durata”, che circa 7 italiani su 10 considerano ulteriormente in crescita. 7. Tuttavia, la sfiducia nel governo centrale e locale, la degenerazione della politica e dell’azione dei partiti, manifestata dagli scandali per corruzione non hanno rafforzato la credibilità della Magistratura. Che, fra i cittadini, ha subìto un pesante calo di fiducia. Dal 50%, nel 2010, al 33% oggi. Quasi 17 punti in meno, in quattro anni. E 7 nell’ultimo.
8. Così si spiega lo sguardo scettico verso l’immediato futuro. Per la maggioranza (relativa: 40%) degli italiani, infatti, l’anno che verrà non sarà né migliore né peggiore dell’anno appena finito. Semplicemente: uguale. Cioè, senza istituzioni, senza governo. Senza sicurezza, visto che perfino la fiducia nelle Forze dell’ordine – apprezzate, comunque, da due italiani su tre – è scesa di 7 punti, rispetto al 2010, 3 dei quali perduti nell’ultimo anno.
D’altronde, anche gli indici di partecipazione politica e sociale sono in declino. Mentre la fiducia nelle organizzazioni di rappresentanza degli imprenditori e, ancor più, dei sindacati, è calata sensibilmente. E quasi 6 persone su 10 diffidano degli “altri”, in generale.
9. In pochi anni, dunque, abbiamo perduto i principali riferimenti della vita pubblica e sociale. E abbiamo impoverito quel capitale di partecipazione e di fiducia necessario alla società, alle istituzioni e alla stessa economia per funzionare, non solo per svilupparsi. Anzi, se proprio vogliamo essere precisi, c’è una sola figura che oggi disponga di grande credito. Papa Francesco. Lo apprezzano 9 italiani su 10. Quasi tutti, insomma. Tuttavia, il Papa è un’autorità “religiosa”, a capo di un “altro” Stato. La sua grandissima popolarità (che, peraltro, è “personalizzata” e non si estende alla Chiesa) potrebbe suggerire che, ormai, non c’è speranza. E non ci resta che affidarci alla provvidenza divina… 10. Al di là delle battute, l’indagine di Demos sottolinea un rischio concreto. L’assuefazione alla sfiducia. Nelle istituzioni, negli altri, nel futuro. E, anzitutto, in noi stessi. Spinti, per inerzia, a “dare per scontato” che le cose non possano cambiare. Senza interventi “dall’alto”. Così, “l’incertezza” rischia di apparire una condanna. Mentre è il “segno” del nostro tempo. “Incerto”, ma non “segnato”, pre-destinato. L’incertezza: significa che nulla è (ancora) scritto. Che l’anno che verrà non è ancora (av)venuto. Dipende anche da noi “segnarne” il percorso.

"La scommessa più difficile ritrovare la fiducia nella repubblica", di Ilvo Diamanti – La Repubblica 30.12.14

 La politica nel 2015 non si allontanerà molto dai percorsi del 2014.
Certo, ci attendono novità importanti. Anzitutto, un nuovo presidente del Repubblica. E poi, a maggio, le elezioni regionali. Ma difficilmente quelle politiche. (Anche se tutte le elezioni, in Italia, hanno significato “politico”.) Tuttavia, gli elementi di fondo dello scenario difficilmente cambieranno. I partiti: se ne sono andati, ormai, da tempo.
Lontani dalla società, dal territorio. E, infine, senza iscritti.
Ormai, sono rimasti solo alcuni leader. Soli.
Il 2014. È stato l’anno dell’antipolitica. E nel 2015 la scena sarà, probabilmente, la stessa.
Affollata di non-partiti o di antipartiti. Di anti-leader. Specializzati nella rottamazione, nell’antagonismo contro ogni altro leader e partito. Sindacato e associazione di categoria. Contro ogni autorità e istituzione.
Nazionale e globale e, ovviamente, europea. D’altronde, ormai, non c’è nessuna autorità e istituzione che disponga di consenso, in Italia. Sindaci e governatori, Comuni e Regioni, parlamentari, presidenti. Sindacati e Confindustria. Magistrati. Tutti hanno perduto fiducia tra i cittadini. Sempre più convinti che perfino la democrazia sia un optional. Un lusso.
Mentre la Rete è sempre più frequentata. Ma serve soprattutto controllare. Molto meno a elaborare e discutere progetti.
Oppure a decidere. È uno strumento di contro-democrazia: democrazia della sorveglianza.
Poi, c’è Matteo Renzi. Leader del post-Pd. Il Pdr. A capo del governo “personale” che guida da oltre 10 mesi. Ma Renzi è “solo”. Abituato a fare da “solo”. Unico leader di una maggioranza senza alternativa. Infine le riforme istituzionali. Necessarie. Ma quando verranno approvate? E, soprattutto, quando entreranno davvero in vigore? Non nel 2015.
Per questo il problema politico, nel 2015, è di ricostruire la “fiducia”. Nei partiti, nei sindacati, nei politici. Nella politica. Insomma, la vera questione politica dell’anno che inizia è la ricerca — e la ri/scoperta — della politica.

"Nella cultura l’Italia fa il pieno di risorse", di Maria Adele Cerizza – Il Sole 24 Ore 29.12.14

Per la sezione “cultura” del programma di fondi europei per le imprese “Europa creativa”, nel 2014 l’Italia è al primo posto in quanto a numero di progetti di cooperazione “piccola scala” finanziati nel 2014 (quattro su 62 inviati) e al secondo posto per il numero di progetti di cooperazione “larga scala” (tre selezionati su 13 inviati) dopo la Francia. Buoni risultati anche nei programmi legati all’innovazione delle Pmi.
“Europa creativa” raccoglie gli attuali programmi “Cultura 2007”, “Media 2007” e “Media Mundus” –  giunti al termine della loro operatività il 31 dicembre 2013 – in un unico programma quadro, che comprende un nuovo strumento finanziario per migliorare l’accesso al credito delle piccole e medie imprese attive nei settori culturali e creativi. Per la sezione cultura l’Italia è al primo posto in quanto a numero di progetti di cooperazione “piccola scala” finanziati nel 2014 (quattro progetti selezionati su 62 inviati) e al secondo posto – insieme a Belgio, Germania e Austria – per il numero di progetti di cooperazione “larga scala” (tre selezionati su 13 inviati) dopo la Francia. Su tre progetti di traduzione letteraria presentati nella sezione accordi di partenariato ne è stato finanziato uno e nella sezione progetti biennali su 17 presentati ne sono stati finanziati sei.
Il sottoprogramma “Media”, che sostiene l’industria europea del cinema e dell?audiovisivo, incoraggiando il networking tra i professionisti europei e l’ideazione e la distribuzione transnazionale di opere con ampia dimensione europea, in totale ha sostenuto – secondo i dati forniti da Silvia Sandrone, responsabile del Desk Europa creativa Ufficio media di Torino – 66 progetti italiani per un totale di 7,27 milioni di euro, pari al 7,38% del totale dei contributi europei (esclusi i dati relativi al bando Agenti di vendita non ancora disponibili).
Entrando nel dettaglio dei diversi settori di intervento del sottoprogramma Media (formazione, sostegno ai produttori, distribuzione, esercizio e promozione), le attività di Formazione continua per rafforzare le competenze dei professionisti europei, la condivisione di best practices e l’analisi di nuovi modelli di business hanno ricevuto sostegni per circa 890mila euro, distribuiti su sei progetti promossi dall’Italia, una percentuale pari al 11% circa del totale dei contributo europei in questo ambito.
I produttori italiani hanno ricevuto sostegni per 1,205 milioni di euro (il 3,58% del totale) con 18 progetti sostenuti: per lo Sviluppo opere singole, sono stati selezionati nove progetti di documentari per 225mila euro (13,4% del totale), un progetto di animazione per 60mila euro (2,6%), quattro progetti di fiction per 140mila euro (3,7%); per lo Sviluppo di cataloghi di opere (Slate Funding) sono stati selezionati tre progetti per 430mila euro (3,6% del totale europeo); per il bando Tv Programming (produzione di opere destinate alla diffusione televisiva), è stato selezionato un progetto di serie di animazione per 350mila euro (2,5%).
Per il bando dedicato allo sviluppo di concept e realizzazione prototipi di videogames sono stati assegnati all’ Italia 360mila euro a tre progetti, pari all’ 11,1% del totale europeo.
Per il settore Distribuzione finalizzato alla circolazione delle opere audiovisive europee al di fuori dei confini nazionali, l’Italia si è aggiudicata 29 progetti per un totale di 4,04 milioni di euro (il 10,5% del totale europeo), mentre per la Promozione agli otto progetti italiani sono stati assegnati 441.500 euro (5,6% del totale).
Due nuovi bandi hanno poi arricchito la programmazione di “Europa Creativa Media”. Il primo, relativo all’ Audience development, sostiene due tipi di azioni: la Film Literacy, per progetti di alfabetizzazione cinematografica in cooperazione tra più Paesi europei, ed eventi incentrati sulla programmazione di film europei non-nazionali importanti e di successo. Il contributo destinato a un progetto italiano è stato di 160mila euro, pari al 2,6% del totale europeo.
L’altra novità è il bando destinato ai Fondi di coproduzione internazionale con Paesi Terzi, che devono finanziare lungometraggi di finzione, opere di animazione e documentari creativi, realizzati per lo sfruttamento cinematografico: per questo bando l’ Italia ha raccolto su un progetto 170mila euro, il 13% del totale del contributo europeo.

"Malala e le sue sorelle il mondo è delle donne ecco le protagoniste della rivoluzione 2014", di Concita De Gregorio – La Repubblica 29.12.14

Questo è stato anche un anno per donne. Perchè c’è stato un premio Nobel ragazzina, perché è stata nominata una signora al governo della “banca” più importante del mondo, perché ci sono tante storie normali diventate eccezionali. Per raccontare questo 2014 abbiamo cercato sui computer le foto e le biografie delle più citate dai media internazionali. Le abbiamo commentate un paio d’ore. Eravamo in viaggio e avevamo molto tempo: è stato un bel modo di passarlo. La lista di 10 nomi che segue è il frutto di una discussione a cui hanno partecipato alcuni adolescenti e due bambini fra cui Elisa, 11 anni. Dovevamo stabilire chi fosse “fonte di ispirazione”, è stato illuminante parlarne con persone di età compresa fra i 10 e i 20 per le quali avere qualcuno a cui ispirarsi non è indispensabile ma è più naturale, a volte. In premessa gli adolescenti hanno a lungo contestato la divisione fra elenchi di uomini e di donne con argomenti sensatissimi che condivido inutilmente. Hanno detto che se parliamo di persone parliamo di persone, punto. Classifiche separate perché, hanno chiesto. Si è deciso di tenere insieme persone italiane e del resto del mondo, perché il mondo è uno.
Si comincia con la scienza. Ballottaggio finale fra Monica Grady, che ha lavorato 10 anni per mandare il robottino Philae sulla cometa, e Samantha Cristoforetti ha vinto Samantha. Al primo posto assoluto, nel 2014, a causa soprattutto del suo sorriso. Argomenti: ha una tuta bellissima, durante i collegamenti i capelli le stanno diritti in testa, si è portata nella postazione i libri di Calvino e di Rodari, compensa l’assenza di gravità con un centro di gravità permanente come quello della canzone, interiore e visibile. Deve aver studiato tantissimo, superato chissà quali prove e non se la tira per niente.
Poi arrivano l’economia e la politica. La presidente del Fondo monetario Christine Lagarde e Janet Yellen, primo presidente donna nei 100 anni di storia della Federal Reserve, hanno perso, non ci crederete, con Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa. Vince Nicolini perché è più difficile stare su una minuscola isola di frontiera fra il Nord e il Sud del mondo, oggi, che in un ufficio di cristallo circondati da squali della finanza. «Ci vuole più coraggio».
Passiamo alle arti. Jennifer Lawrence, regina dei box office, suscita fra i ragazzi meno simpatia di Emma Watson, Ermione, che carica di fama e di denari è andata, ventenne, a fare un discorso tostissimo alle Nazioni Unite sulla violenza di genere. «E’ bella e ricca e poteva pensare a sé. Invece senti cosa ha detto e com’era emozionata: è stata brava». Mentre Taylor Swift, cantante in copertina di Time, è battuta clamorosamente nella nostra classifica da Giovanna Marini che ha il triplo dei suoi anni e aspettiamo di vedere la ragazza Taylor al traguardo degli 80. Giovanna vince perchè fa cantare i bambini che non parlano e non sentono nei suoi cori di mani bianche, magnifici.
Poi c’è Malala , perché è piccola. «E lo vedi? Anche le persone piccole possono essere grandi ». Ci sono le ragazze rapite in Nigeria, che non sanno della campagna Bring back our girls e chissà a quali sofferenze resistono ogni minuto. Stella Ameyo Adadevoh, medico nigeriano, morta curando i malati di Ebola. E infine una citazione di tre ragazze di provincia . Alice Rohrwacher che ha vinto a Cannes col suo film Le Meraviglie, Emma Dante che ha vinto l’Ubu con Le sorelle Macaluso, a teatro, Costanza Quatriglio, che ha girato un documentario magnifico, Con il fiato sospeso, su quel che succede nei laboratori di chimica dell’università di Catania.
Siamo già a dieci e sono rimaste fuori l’iraniana che ha vinto la medaglia Fields per la matematica, Maryam Mirzakhani, la giornalista Lydia Cacho che ha scritto il più bel libro inchiesta sul traffico di bambini in Messico, minacciata di morte. Marzia Sabella, anche: magistrato straordinario, donna ordinaria. Ha catturato Provenzano, per dire una cosa sola. Leggete Nostro onore , il suo saggio. Le liste sono ingiuste, tengono fuori soprattutto chi sta fuori per principio perché ha molto da fare. Lasciano in ombra uomini e donne che mandano avanti il mondo. Sono solo esempi, gli esempi. Fonti di ispirazione per i nuovi pupazzi Lego disegnati da Ellen Kooijman e per la bambola Lammily progettata da Nickolay Lamm, che è un uomo e chiude questa lista di persone di sesso femminile così: ad honorem, diciamo.

"Its, 120 nuovi corsi per le superscuole che danno più lavoro", di Alberto Magnani – Il Sole 24 Ore 29.12.14

Se ti specializzi, lavori di più. Il principio diventa regola negli Its, gli Istituti tecnici superiori che rappresentano dal 2010 l’unica alternativa all’università nella formazione terziaria. Per il solo biennio 2014-2016, le 75 fondazioni Its attive in Italia hanno registrato 120 nuovi corsi e più di 2.400 iscritti al primo anno. Un’infornata che rinforza i 232 moduli presentati nel 2013 e le sei aeree dell’offerta formativa: efficienza energetica, mobilità sostenibile, nuove tecnologie per la vita, nuove tecnologie per il made in Italy, tecnologie innovative per i beni e le attività di turismo, tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Ma come funzionano i programmi? Radicati sulla vocazione economica delle regioni, gli Its offrono corsi biennali con impatto diretto sul lavoro. Le 1.800-2mila ore di corso sono occupate per almeno il 30% da uno stage, corsia preferenziale per un tasso di occupazione record: il 65% degli allievi ha trovato lavoro, con picchi del 90% in Veneto e del 100% nel caso dell’Its di Genova.
Secondo i diplomati nei primi bienni, gli Its garantiscono quella contaminazione tra formazione e lavoro che resta evanescente negli anni di scuola o università. Solo tra i corsi al via quest’anno emergono opzioni come l’Its del turismo e dell’ospitalità dell’eccellenza italiana, sistemi e soluzioni di informatica medica o diplomi di tecnico superiore per prodotto, marketing e internazionalizzazione del settore legno arredo. E la crescita di numeri si rispecchia nelle testimonianze degli allievi, dal Veneto al Lazio. Luca Signorini, classe 1984, si è diplomato all’Its di Verona nel 2012 dopo una laurea in marketing e comunicazione. Oggi è assunto a tempo indeterminato a Nagel Group, azienda di logistica e trasporti. «Perché mi sono iscritto? Semplice: cercavo un corso in logistica, in modo da poter essere un po’ più specializzato – spiega Signorini -. L’aspetto migliore dei corsi è che ti danno l’opportunità di farti conoscere dalle aziende. Nel mio caso ho fatto il primo stage, poi sono stato confermato e oggi ho un contatto a tempo indeterminato». Potendo scegliere, Signorini consiglia l’integrazione di laurea e Its: «Sarebbe la combinazione ideale. L’Its è molto tecnico, mentre gli studi triennali ti possono dare un’infarinatura, che è comunque nel lavoro che si andrà a fare». Viceversa, gli istituti possono essere un’alternativa tout court all’immatricolazione all’università. Giorgia Carchella, 22 anni, si è diplomata in tecnologie per la vita all’Its di Pomezia (Roma). Oggi sta dando vita a una start up di integratori alimentari con altre tre ragazze. E non tornerebbe indietro: «Parlando con gli amici che frequentano l’università, ho visto che nei “nostri” corsi tocchi con più mano il mondo del lavoro». Anche nel suo caso, però, a far la differenza è stato il tirocinio: «È stato parte integrante del progetto. Sono 600 ore, e non ho difficoltà a trovare una collocazione che mi interessasse. Il resto dei miei compagni? Dalla mia classe sono emerse tre start up».

"Illogiche rigidità accademiche", di Giunio Luzzato – Il Sole 24 Ore 28.12.14

«Il Domenicale» ha recentemente sollecitato un maggiore spazio per l’insegnamento della Logica in due diversi contesti: negli Atenei (E. Bencivenga, 19/10) e nel sistema scolastico pre-universitario (E. Cattaneo e ancora Bencivenga, 30/11). Nel merito, non posso che esprimere pieno consenso, ma mi sembra necessario che tutti ci chiediamo se le carenze lamentate non siano l’effetto di un fenomeno molto generale, che va decisamente contrastato: la “logica” (mi scuso per il gioco di parole) che sacrifica, a tutti i livelli della formazione, ciò che non è rigorosamente monodisciplinare.
Nel mondo accademico la parcellizzazione del sapere ha un nome e una sigla: sono i mitici «settori scientifico-disciplinari» (SSD), a loro volta incasellati in Aree scientifiche rigorosamente separate. La logica viene addirittura spezzettata. Vi sono infatti, rispettivamente nell’Area matematico-informatica e in quella storico-filosofica, i SSD MAT/01 «Logica matematica» e M-FIL/02 «Logica e filosofia della scienza»: come se la logica matematica non avesse nulla a che fare con la filosofia, o se la scienza (e perciò la riflessione filosofica su di essa) non comprendesse la matematica. In questo periodo le Università registrano molte proteste contro elementi di burocratizzazione addebitati al Ministero e all’Agenzia di Valutazione ANVUR, ma l’irrigidimento della cultura nei SSD e nelle Aree a essi sovra-ordinate non è stato imposto dall’esterno: lo hanno voluto gli studiosi dei diversi settori, per creare barriere e presidiare i corrispondenti territori secondo leggi naturali note agli esperti di etologia.
Ciò penalizza l’avanzamento della ricerca, e in particolare le discipline di confine: la Logica rischia di essere considerata marginale, perché non al centro dei rispettivi interessi, da parte dei matematici da un lato, da parte dei filosofi dall’altro. È ben noto, invece, che le “nuove” scienze sono nate dalla contaminazione tra diverse “vecchie” scienze: se fisici e biologi non avessero interagito fortemente, oggi non ci sarebbe la biofisica. Altrettanto produttive di frutti positivi sono state alcune contaminazioni tra “umanisti” e “scienziati”: basti ricordare il dialogo tra linguisti e informatici.
Gli effetti dei settorialismi sono altrettanto negativi per la didattica, e sotto questo aspetto il discorso si estende all’intero sistema scolastico. Dal punto di vista degli studenti, ciò comporta non solo una minore qualità culturale, ma anche minori prospettive occupazionali: mai come oggi i datori di lavoro richiedono non conoscenze compartimentate, bensì “competenze” a spettro molto più ampio, o addirittura “trasversali”.
Nelle Università registriamo invece una progressiva riduzione degli elementi di interdisciplinarità negli ordinamenti dei Corsi di studio (Lauree e Lauree Magistrali). E, nei precedenti livelli scolastici, le proposte relative, ad esempio, a «cittadinanza e costituzione» si scontrano con la domanda: in quale materia si colloca? Come se l’essere un buon cittadino non dovesse comportare, congiuntamente, conoscere leggi (Diritto), analizzare il proprio territorio (Geografia), studiare il passato delle nostre società (Storia) e gli effetti delle acquisizioni scientifico-tecnologiche sulla sua attuale organizzazione (Scienze); e come se non fosse obiettivo di tutte le discipline, da insegnare perciò in termini non nozionistici, preparare lo studente a valutare criticamente le informazioni, ad argomentare le proprie deduzioni, a presentare le proprie affermazioni in forma linguisticamente corretta ed efficace.
Mi sembra risulti chiaro, da quanto sopra, che è “trasversale”, lungo l’intero sistema formativo, anche l’esigenza di ribaltare le attuali pericolose e illogiche scelte di frammentazione.