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Imu agricola, deputati modenesi Pd scrivono a Renzi e Padoan – comunicato stampa – 23.01.15

   

 

 

I deputati modenesi del Pd Davide Baruffi, Laura Garavini (eletta nella Circoscrizione Europa), Manuela Ghizzoni ed Edoardo Patriarca hanno sottoscritto, insieme a un centinaio di colleghi, una lettera indirizzata al presidente del Consiglio Matteo Renzi e al ministro dell’Economia e delle Finanze Pier Carlo Padoan in cui si chiede al Governo di intervenire al più presto per mettere ordine nella materia delle esenzioni dal pagamento dell’Imu sui terreni agricoli. “Sappiamo – dicono i deputati Pd – che il Governo è impegnato a ricercare le soluzioni possibili. Confidiamo che queste possano essere adottate con urgenza anche in considerazione delle imminenti scadenze”. Ecco il testo della missiva:

 

 

 

Gent.le Presidente del Consiglio, Matteo Renzi,

Gent.le Ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan,

 

preoccupati per l’elevato grado di incertezza che ha assunto, a decorrere dal 2014, la

revisione del perimetro dei Comuni montani nei quali si applica l’esenzione IMU per i

terreni agricoli – così come introdotta dall’articolo 22, comma 2 della legge 66/2014 –

richiediamo un suo tempestivo intervento.

Sulla materia, infatti, sono stati promossi dei ricorsi presso il TAR del Lazio: il n. 559

R.G. del 2015 è stato accolto nella richiesta di sospensiva con fissazione della camera di

consiglio per il giorno 4 febbraio p.v., in data quindi successiva alla scadenza di pagamento attualmente fissata per il 26 gennaio 2015.

Riteniamo pertanto necessario mettere ordine e fare chiarezza in materia e risolvere

subito con una soluzione strutturale la problematica senza che essa venga messa in capo a municipalità, imprese e cittadini.

“La firma di Renzo Piano sul museo del mecenate”, di Antonio Ferrara – La Repubblica 22.01.15

Renzo Piano firmerà il nuovo museo archeologico di Ercolano, finanziato dal filantropo californiano David Woodley Packard che in 15 anni ha investito 16 milioni di euro per salvare la città romana sepolta dal Vesuvio nel 79 dopo Cristo. L’architetto genovese nei mesi scorsi ha effettuato un sopralluogo nell’area archeologica e sta lavorando a un progetto che riduca al minimo l’impatto ambientale. Si sa che l’edificio sarà seminterrato ed avrà ampi saloni per esporre gli oggetti di uso quotidiano restituiti dagli scavi, a partire dalla collezione di mobili e arredi lignei perfettamente mantenuti a causa delle particolari condizioni di seppellimento di Ercolano, dove i materiali organici si sono conservati. Spazio anche all’esposizione degli ori rinvenuti nei primi anni 80 sugli scheletri degli ercolanesi che avevano cercato rifugio sull’antica spiaggia. Il progetto sarà consegnato il mese prossimo. Il museo potrebbe esporre anche affreschi e sculture chiusi nei depositi del Museo archeologico di Napoli. Il modello della fondazione Packard è stato più volte portato ad esempio dal ministro dei beni culturali Dario Franceschini. Con la scelta di donare a Ercolano un museo firmato da Piano, Packard realizza un sogno inseguito appena giunto nella città vesuviana nel 2000, per l’avvio dell’Herculaneum Conservation Project, realizzando un connubio tra arte antica e architettura contemporanea.

Calamità naturali, deputati Pd “Al lavoro per una buona legge” – comunicato stampa 22.01.15

 

E’ stato avviato formalmente l’iter che porterà all’adozione di una legge di riordino del sistema della protezione civile. Nella giornata odierna, infatti, la proposta di legge di riordino delle disposizioni legislative in materia di sistema nazionale e coordinamento della protezione civile, sottoscritta da oltre 70 deputati del Pd, è stata incardinata alla Camera, in Commissione Ambiente, con l’intervento della relatrice Raffaella Mariani. “Finalmente – dicono i deputati modenesi del Pd Davide Baruffi, Manuela Ghizzoni, Edoardo Patriarca e Matteo Richetti – un intervento complessivo di riordino normativo dell’intera materia, come ci hanno chiesto con forza gli amministratori delle zone colpite, a più riprese, in questi anni, da successive calamità naturali”. Ecco la loro dichiarazione:

«La legge fondamentale in materia risale al 1992, costituisce ancora la cornice normativa in fatto di gestione delle emergenze, ma da allora si sono stratificate numerose norme emanate in conseguenza di singoli eventi. Lo abbiamo visto anche noi, nelle nostre terre, prima con il sisma, poi con le trombe d’aria, e poi ancora con l’alluvione: in Italia manca una normativa chiara a cui fare riferimento non solo per la fase dell’emergenza, ma anche per quella successiva del ritorno alla normalità delle comunità. L’obiettivo della proposta di legge di riordino delle disposizioni legislative in materia di sistema nazionale e coordinamento della protezione civile è quello di coniugare semplificazione e sempre maggiore efficacia a tutela della sicurezza dei cittadini e dei loro beni primari, ricercando la maggiore coerenza possibile tra strumenti nazionali e regionali, per garantire certezza e omogeneità nelle risposte concrete date alle comunità colpite, valorizzando allo stesso tempo l’apporto indispensabile del volontariato organizzato e del sistema pubblico di Protezione Civile. Puntare di più sulla prevenzione ci permetterà di superare la logica delle continue emergenze in cui i territori più fragili caratterizzati da una particolare frequenza di eventi calamitosi hanno vissuto gli ultimi anni. A questo si deve aggiungere la certezza delle risorse per la ricostruzione e dei tempi di intervento del sistema pubblici. Insomma finalmente al lavoro per un intervento complessivo di riordino normativo dell’intera materia, come ci hanno chiesto con forza gli amministratori delle zone colpite, a più riprese, in questi anni, da successive calamità naturali».

27 gennaio, Ghizzoni “Ricostruire un lessico della Memoria” – comunicato stampa 21.01.15

Promuovere gli studi sulla Resistenza attraverso banche dati che intrecciano le storie delle persone alla storia nazionale, un catalogo delle stragi nazifasciste, la creazione di un Centro nazionale di documentazione multimediale rivolto ai giovani, una rete dei luoghi della memoria, a cominciare dal campo di Fossoli e Villa Emma, programmi di dialogo e di pace che partono dalla conoscenza del conflitto. Sono gli impegni richiesti al Governo nella risoluzione, a prima firma della deputata modenese del Pd Manuela Ghizzoni e sottoscritta da ventiquattro deputati Pd, da ieri all’ esame della Commissione Cultura della Camera.
E’ iniziata ieri in Commissione Cultura l’esame della risoluzione a prima firma della deputata modenese del Pd Manuela Ghizzoni sui programmi e le azioni da mettere in atto da parte del Governo per creare una rete di conoscenza e valorizzazione sui temi della Resistenza e delle stragi naziste. “Il 70esimo anniversario della Resistenza e della guerra di Liberazione – dichiara Manuela Ghizzoni – deve diventare l’occasione per portare a sintesi il patrimonio di informazioni e studi che, in questi anni, si è accumulato soprattutto a livello locale. Un sistema che riesca a intrecciare storie del territorio e storie individuali alle grandi vicende nazionali. Con particolare attenzione ai luoghi, come il campo di Fossoli e Villa Emma, che, con la loro capacità evocativa, sono ancora in grado di rendere visibile ciò che non lo è, vale a dire la storia, preservandola, allo stesso tempo, tenacemente contro l’oblio. E’ necessario creare un lessico della Memoria basato su un rigoroso metodo di lavoro in grado di superare ideologie e interpretazioni, combinato con la passione civile: solo così si può costruire un orizzonte comune in cui la conoscenza del passato diventa fonte di progetti futuri”. Queste le richieste avanzate al Governo da Manuela Ghizzoni, insieme a ventiquattro deputati del Pd: promuovere gli studi e le ricerche sull’esperienza storica dell’opposizione al fascismo, della Resistenza e della Liberazione, a partire dalle memorie dei territori per giungere alle grandi vicende nazionali;  dare impulso agli studi e alle ricerche sul ruolo delle donne, dei civili, degli internati militari italiani nell’esperienza resistenziale, nonché di coloro che si schierarono con il regime, anche al fine di realizzare banche dati utili ad intrecciare le storie personali a un disegno più generale; realizzare un catalogo digitalizzato delle stragi nazifasciste che  connetta le biografie di vittime e carnefici al contesto locale e al quadro storiografico generale;promuovere la realizzazione di un Centro nazionale di documentazione, informazione e comunicazione multimediale, particolarmente indirizzato alle giovani generazioni, per diffondere la conoscenza delle vicende storiche della Resistenza; sostenere concretamente la creazione della rete dei luoghi della memoria al fine di agevolarne la salvaguardia; conferire un attestato ai partigiani, ai combattenti, ai patrioti e ai reduci, ai militari che hanno contribuito alla lotta di Liberazione, da concordare con le associazioni combattentistiche; sostenere programmi di dialogo e di pace che partono dalla conoscenza del conflitto passato.

Il testo della risoluzione

banchedati.camera.it/sindacatoispettivo_17/showXhtml.Asp?idAtto=30300&stile=7&highLight=1&paroleContenute=%27RISOLUZIONE+IN+COMMISSIONE%27

 

 

 

“Erasmus per volontari, 10mila posti nel 2015: il 27 gennaio la chat on line per partecipare”, di Alessia Tripodi – Scuola 24 21.01.15

 

Il bando è rivolto ai 17-30enni. È già possibile inviare i quesiti tramite Facebook e Twitter

Non solo programmi di formazione e aggiornamento per studenti e docenti, ma anche strumenti e risorse per chi vuole vivere un’esperienza di volontariato in Europa e nel mondo. Sono le opportunità offerte dalla nuova edizione del programma Erasmus+ che saranno presentate il prossimo 27 gennaio dalle ore 17 alle 18 nel corso di una chat online, durante la quale un gruppo di esperti risponderà su Facebook e Twitter alle domande degli aspiranti volontari.

Il programma
Nel 2015 Erasmus+ mette in campo finanziamenti per oltre 10mila volontari: il bando si rivolge ai giovani di età compresa tra i 17 e i 30 anni che vogliano trascorrere fino a 12 mesi all’estero.
Nel corso della chat online saranno fornite le informazioni per partecipare al Servizio volontario europeo. Tutti possono prendere parte all’evento Web pubblicando già da ora domande sulla pagina Facebook dedicata o su Twitter, utilizzando l’hashtag #ErasmusPlusChat.
In attesa della chat, gli interessati possono consultare l’elenco delle possibili destinazioni e i progetti in corso o futuri pubblicati nel database delle organizzazioni accreditate presso il Servizio volontario Ue .

“Stalking e violenze, più tutela nella Ue”, di Marina Castellaneta – Il Sole 24 Ore 20.01.15

La tutela delle vittime non ha frontiere nella Ue. In particolare nei casi di stalking e di violenza domestica. Un risultato cui mira il regolamento Ue n. 606/2013 del 12 giugno 2013, entrato in vigore l’11 gennaio scorso. La norma riguarda il riconoscimento reciproco delle misure di protezione in materia civile e prevede che i provvedimenti di protezione emessi in uno Stato Ue debbano garantire le vittime in tutto lo spazio dell’Unione.
In pratica, una misura di protezione decisa dallo Stato membro di origine dovrà essere eseguita e trattata come se fosse stata adottata nello Stato richiesto, senza alcun onere sulla vittima che non sarà più obbligata ad avviare nuove procedure. Unica condizione è che il provvedimento sia accompagnato da un modello uniforme di certificato e sia affiancato da un modulo standard multilingue (i formulari sono allegati al regolamento). Nel segno della fiducia reciproca, è esclusa la possibilità di ricorso contro il rilascio del certificato.
Il regolamento, adottato nell’ambito della cooperazione giudiziaria civile, è funzionale a proteggere una persona, anche per prevenire ogni forma di «violenza di genere o di violenza nelle relazioni strette quali violenze fisiche, molestie, aggressioni sessuali, stalking, intimidazioni o altre forme indirette di coercizione».
Per quanto riguarda l’ambito di applicazione, l’atto Ue si occupa dei casi transfrontalieri. La qualificazione della nozione di transfrontaliero è fornita dallo stesso regolamento, che aderisce a una definizione ampia: sono, infatti, considerati tali i casi in cui il riconoscimento della misura di protezione disposta in uno Stato membro sia chiesto in un altro Stato membro.
Il regolamento, invece, non incide sulle legislazioni nazionali riguardanti le misure da adottare, lasciando le autorità interne libere nell’individuazione dei provvedimenti. Una mancata armonizzazione che porta, però, a un ridimensionamento negli effetti del regolamento.
Sotto il profilo temporale, infatti, proprio a causa della diversità delle misure di protezione nazionali, gli effetti del riconoscimento sono limitati a un periodo di 12 mesi a partire dal rilascio del certificato, “«ndipendentemente dall’eventuale maggiore durata della misura di protezione stessa (sia essa di natura provvisoria, limitata nel tempo o indefinita)».
Ampio spazio agli Stati per le procedure di esecuzione delle misure di protezione. Resta fuori dal regolamento la disciplina sulle sanzioni nel caso in cui venga violata la misura.
Nell’ottica di assicurare i diritti di difesa del destinatario del provvedimento, nel caso di procedura in assenza di contraddittorio, il rilascio del certificato è condizionato alla circostanza che la persona abbia avuto la possibilità di difendersi contro la misura di protezione. Questo vuol dire che lo Stato di esecuzione potrà anche negare il riconoscimento, però non potrà procedere a un riesame del merito della misura di protezione.
Sul fronte penale, l’Unione europea ha adottato la direttiva 2012/29 che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/Gai, e la direttiva 2011/99 sull’ordine di protezione europeo. L’Italia, però, non ha ancora proceduto al recepimento, malgrado l’inclusione dei due testi nell’allegato B della legge di delegazione europea 2013.

“Perché le donne non dicono”, di Sheryl Sandberg Adam Grant – La Repubblica 20.01.15

Anni fa, quando lavorava come produttore alla serie tv di successo The Shield , Glen Mazzara si accorse che durante le riunioni con gli autori due giovani donne rimanevano immancabilmente zitte. Quando le prese in disparte per incoraggiarle a far sentire di più la propria voce, esse lo invitarono a osservare cosa accadeva quando provavano a farlo.
Quasi ogni volta che prendevano la parola, le due venivano interrotte prima di aver avuto modo di esprimere il proprio pensiero. E quando una di loro aveva una buona idea, un collega maschio la interrompeva facendola propria, prima che lei potesse concludere il suo intervento.
Una simile condotta purtroppo non è rara. Entrambi l’abbiamo osservata in più occasioni. Prendendo la parola in un contesto lavorativo, una donna si espone a dei rischi. O viene a malapena ascoltata, o è considerata troppo aggressiva. Se un uomo dice praticamente le stesse cose, i superiori dimostrano di approvare il suo contributo facendo cenno di assenso con il capo. Ecco perché spesso le donne optano per il silenzio.
Alcuni recenti esperimenti confermano quanto abbiamo osservato. Victoria L. Brescoll, psicologa presso l’università di Yale, ha condotto uno studio dal quale emerge che i senatori maschi che detengono maggior potere (dove il “potere” è misurato in base alla durata del mandato, alle posizioni di leadership occupate e al numero di leggi proposte che sono state approvate) partecipano più attivamente ai dibattiti rispetto ai loro colleghi meno influenti. Tra le senatrici invece non è stato riscontrato alcun nesso diretto tra potere e numero di interventi fatti.
Sospettando che le donne rimanessero in silenzio per timore di suscitare reazioni negative, la professoressa Brescoll ha esaminato la faccenda più in profondità, domandando a uomini e donne in carriera di valutare la competenza dei direttori che davano voce alle proprie opinioni con maggiore o minore frequenza. I dirigenti maschi che parlavano più spesso dei loro colleghi venivano “premiati” con un giudizio di competenza più alto del 10 per cento. Le dirigenti donne che parlavano di più sono state invece “punite” dai colleghi (tanto uomini che donne), che hanno dato loro un voto inferiore del 14 per cento.
Come dimostrato da questa e da altre ricerche, le donne che temono che parlando “troppo” rischiano di rendersi meno gradite non sono paranoiche; spesso, anzi, hanno ragione.
Uno di noi, Adam, è rimasto sbigottito nello scoprire delle dinamiche analoghe in una società che opera nel settore sanitario e in una banca internazionale per la quale è stato consulente. I dipendenti maschi che esprimevano delle idee che si traducevano in maggiori proventi ricevevano valutazioni significativamente più alte riguardo alla loro performance. Agli occhi dei superiori, la percezione della performance delle impiegate di sesso femminile che esprimevano idee altrettanto valide rimaneva invece inalterata. Inoltre, più gli uomini parlavano e più i loro superiori erano portati a ritenerli utili. Quando invece erano le donne a proporre delle idee altrettanto valide, la percezione della loro “utilità” restava immutata. Questo modello di giudizio basato su due pesi e due misure nuoce alle imprese, poiché le priva di idee valide.
Durante un esperimento Ethan Burris, un ricercatore dell’Università del Texas, ha chiesto ad alcuni gruppi di prendere delle decisioni strategiche riguardo alla gestione di una libreria. Successivamente, Burris ha informato un membro a caso di ciascun gruppo che il sistema d’inventario della libreria era pieno di difetti, fornendogli al tempo stesso dei suggerimenti su come ovviare a tale problema. Il ricercatore ha co- sì scoperto che le donne che mettevano in discussione il vecchio sistema d’inventario e ne proponevano uno nuovo venivano considerate meno leali dai rappresentanti dei gruppi, che si dimostravano anche meno portati a seguire i loro consigli. Anche quando tutti i membri di un gruppo venivano messi a parte del fatto che uno di loro possedeva informazioni privilegiate che avrebbero avvantaggiato tutti loro, i suggerimenti avanzati dalle donne in possesso di quelle informazioni non erano presi nella debita considerazione.
È evidente che le imprese devono trovare il modo di porre fine a questi pregiudizi di genere. Seguendo l’esempio delle orchestre che compiono audizioni “al buio” (in cui i selezionatori ignorano se il candidato che suona è maschio o femmina, ndt), nelle quali il numero delle donne prescelte è maggiore, le imprese possono incoraggiare l’apporto dato dalle donne tramite l’adozione di modalità incentrate più sulle idee che su colui o colei che le propone.
Nei tornei di innovazione, ad esempio, i dipendenti propongono anonimamente suggerimenti e soluzioni a dati problemi. Tutte le risposte sono successivamente valutate da esperti, che danno il proprio parere a tutti i partecipanti e passano ad implementare le idee migliori.
Poiché nel lavoro la maggior parte dei compiti non può essere svolta anonimamente, spetta ai dirigenti incoraggiare le donne a prendere la parola e farsi ascoltare.
Nel caso di The Shield, il produttore Mazzara trovò un modo intelligente per modificare le dinamiche che inducevano quelle due autrici a tacere, annunciando a tutti gli autori l’istituzione di una regola che vietava di interrompere chiunque stesse parlando — che si trattasse di un uomo o una donna. La trovata ha funzionato e, stando a quanto osservato in seguito dallo stesso Mazzara, tutta la squadra ne ha tratto beneficio.
Nel lungo termine, la soluzione per superare il modello basato su due pesi e due misure che porta le donne a tacere è quella di aumentare il numero di donne che occupano ruoli apicali. (i dati dimostrano che quanto alle competenze di leadership, benché gli uomini siano più sicuri di sé, le donne sono più competenti). E poiché nelle aziende il numero di donne che occupano incarichi di maggiore responsabilità è in crescita, le persone si stanno abituando alla loro guida e all’apporto da loro dato.
Il professor Burris ha studiato insieme ad alcuni colleghi una cooperativa di credito in cui le donne rappresentano sino al settantaquattro percento dei supervisori e sino all’ottantaquattro percento dei dipendenti con incarichi di responsabilità. Inutile dire che in quel caso, quando le donne prendono la parola hanno maggiori probabilità di essere ascoltate rispetto agli uomini.
Durante la sua ultima conferenza stampa del 2014 il presidente Obama ha dato la parola a otto reporter. Erano otto donne. I giornali di tutto il mondo ne hanno parlato. Un politico che dà la possibilità di fare domande solo ad altri uomini invece non fa notizia, perché rappresenta la norma.
Così, all’alba del 2015, ci domandiamo cosa accadrebbe se durante le riunioni di lavoro tutti prendessero esempio da Obama, offrendo alle donne la possibilità di parlare ogni volta che se ne presenta l’occasione. Tale comportamento, anche se adottato solo per uno o due giorni, potrebbe porre fine ai pregiudizi e dimostrare alle nostre squadre di lavoro e ai nostri colleghi che parlare, per una donna, è ancora molto difficile. Noi proveremo a farlo, per vedere quale insegnamento ne trarremo, e ci auguriamo che anche voi facciate altrettanto — e che poi condividiate le vostre esperienze con tutti noi su Facebook, o nella sezione dedicata ai commenti.
Sheryl Sandberg è direttore operativo di Facebook, nonché fondatrice di LeanIn. org.
Adam Grant insegna allaWharton School dell’Università della Pennsylvania ed è autore di “ Più hai più dai” ( Traduzione di Marzia Porta)
©2-015 The New York Times.