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“Sergio Mattarella Presidente della Repubblica Quell’uomo invisibile della Dc. Ma non incolore”, di Marco Damilano – Espresso/Repubblica.it 31.01.15

mattarella

Nessuna rissa nei talk show, nessuna presenza televisiva, pochissime foto recenti: il nuovo inquilino del Colle è lontanissimo dalla politica recente. Una riservatezza che ha le sue radici nella sinistra cattolica democristiana di cui è stato esponente e figlio. E che lo porterà, si spera, ad essere un inflessibile custode della Repubblica

«Non ci sono le immagini». Nelle ultime ventiquattr’ore uno spettro si aggira per gli studi televisivi e le redazioni dei giornali. Il fantasma del nuovo presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Non esistono sue dichiarazioni televisive, risse in un talk show, foto sotto l’ombrellone. Disperazione tra i cronisti. Venerdì, a quanto raccontano, si era concordato un set in una via del centro di Roma, al riparo dai curiosi, per scattare qualche foto del nuovo Capo dello Stato da spedire sui circuiti internazionali alla grande stampa estera. Niente da fare, il candidato ha fatto sapere che preferiva aspettare.

Un silenzio più forte di tante vacuità, un’assenza che riscatta da sola l’ansia di visibilità di un’inutile classe dirigente. Leggerà una pagina dell’Ecclesiaste, pronosticano gli amici, nel suo primo discorso da presidente in Parlamento: «Vanità delle vanità, tutto è vanità…». Oppure, laicamente, potrebbe anche citare il siciliano Franco Battiato, per dire come sarà la sua presidenza: «Ne abbiamo attraversate di tempeste e quante prove antiche e dure ed un aiuto chiaro. Da un’invisibile carezza di un custode».

Ha saputo martedì, ufficialmente, di essere candidato alla presidenza della Repubblica, quando l’ha chiamato il numero due del Pd Lorenzo Guerini. Con il grande elettore Matteo Renzi si è sentito due giorni dopo. Non ha chiesto nulla, non ha fatto nulla per ricevere la carica. Com’era successo nel 2008, quando era stato escluso dalle liste per il Parlamento. Non aveva chiesto deroghe nel nuovo Pd e i suoi colleghi di partito che oggi si spelleranno le mani lo avevano escluso. Ha continuato a lavorare all’ultima sentenza nella foresteria della Corte costituzionale dove è andato a vivere due anni fa dopo la morte della moglie Marisa. La sua Santa Marta, come quella in Vaticano di papa Bergoglio, in linea con quanto disse anni fa a proposito dell’occupazione del potere: «Un partito, un politico, nelle istituzioni si deve sentire ospite, anche se protagonista». Sarà ospite, in punta di piedi, e non un padrone di casa, anche nel palazzo di fronte. Il Quirinale.

«C’è l’amico Mattarella che farà il suo intervento…». È il 28 febbraio 1984, sono le nove del mattino quando Amintore Fanfani invita alla tribuna il primo iscritto a parlare della giornata al XVI congresso della Dc, nel grande catino del Palaeur. «Prima di dargli la parola ci consentirà di ricordare, nel suo nome, un uomo che si è sacrificato nell’interesse dell’Italia, della Sicilia e del Partito». I non molti presenti si alzano in piedi in omaggio di Piersanti Mattarella, il presidente della regione Sicilia ucciso da un delitto politico-mafioso quattro anni prima. Sul palco, davanti alla nomenclatura del partito, c’è un uomo di quasi 43 anni, gli occhiali spessi, i capelli già candidi sul volto ancora da ragazzo. Comincia a parlare: «La ringrazio, ben sapendo che questi applausi, ovviamente, non riguardano assolutamente me…». E conclude: «Non voglio essere né illusorio, né fuori dalla realtà: tanti hanno in questi giorni ricordato saggi greci, antichi filosofi, io vorrei più modestamente richiamare la preghiera di Francesco che non chiedeva tanto di essere aiutato quanto di aiutare, che non chiedeva tanto di ricevere quanto di dare, che non chiedeva tanto di essere compreso quanto di comprendere…»

Non ha mai parlato in pubblico di quel giorno che gli ha cambiato la vita, il 6 gennaio 1980, il giorno dell’Epifania. Il massacro del fratello Piersanti davanti alla sua famiglia, quel corpo che Sergio prova a soccorrere mentre la vita scivola via. Fino a quel momento Sergio Mattarella era stato un tranquillo professore universitario di diritto parlamentare con studio in via della Libertà, la stessa del fratello, davanti a casa. A sparare è il killer dagli occhi di ghiaccio e dalla strana andatura, che cammina a balzi, «un robot che sparava come se sparasse a una pietra o una sedia», testimoniò la vedova Irma Chiazzese. «Zio, corri giù, c’è stato un incidente a papà», lo chiama il nipote Bernardo. «La scena che gli si para davanti, con quell’auto crivellata di colpi e piena di sangue, è violenta, allucinante, insostenibile», scrive Giovanni Grasso in “Piersanti Mattarella. Da solo contro la mafia” (Edizioni San Paolo). «È come se avessimo accompagnato papà fino alla fine», racconta la figlia di Piersanti Maria. È quel giorno di violenza inaudita, di vittoria della politica sporca e della mafia che eliminano la migliore classe dirigente negli anni Settanta e Ottanta, il sentimento di quelle ore, sempre custodito con pudore, che spinge Sergio all’impegno politico. «Senza la guerra io sarei rimasto un intellettuale…», scriveva il 28 novembre 1943 Giaime Pintor al fratello Luigi. La vita, i fratelli, il sangue, la politica. La nuova Resistenza, la chiama Sandro Pertini in quegli anni drammatici.

In uno dei rarissimi testi in cui parla del fratello, pubblicato sul sito del Movimento studenti di Azione cattolica , Sergio Mattarella scrive: «Piersanti non aveva la vocazione adiventare un eroe. Era una persona normale che amava la vita e il futuro, amava sua moglie e i suoi figli, era aperto di carattere, allegro nei rapporti personali, anche sul lavoro. Ma avvertiva fortemente il senso della dignità propria e di quella del ruolo che rivestiva; si rifiutava di piegarsi alla prepotenza, alla sopraffazione della mafia o alla minaccia della violenza; non aveva intenzione di far finta di non vedere. Era consapevole del pericolo che poteva aver di fronte ma sapeva che si deve vivere in maniera decorosa, potendo essere sempre orgogliosi delle proprie scelte… Ricordare le persone che affermavano il rispetto delle regole per il bene di tutti, il bene comune, e il cui assassinio ha punteggiato dolorosamente la storia del nostro paese, significa condividerne valori e criteri di comportamento: il messaggio che riceviamo da Piersanti Mattarella risiede nella convinzione che la vita va impiegata spendendo bene, evangelicamente, i talenti che si sono ricevuti».

Vale come un auto-ritratto. I talenti ricevuti da spedere, i valori da rimettere in gioco, sono la stella polare del giovane Mattarella, figlio del ministro Bernardo, uno dei fondatori della Dc, membro dell’Assemblea Costituente, eletto il 2 giugno 1946 con 38.764 voti. Studiano a Roma, nel collegio di San Leone Magno. Il fratello Piersanti è uno dei giovani dirigenti dell’Azione cattolica negli anni Cinquanta, Sergio è un ventenne che negli anni del Concilio, il rinnovamento della Chiesa, è responsabile degli studenti cattolici del Lazio con l’assistente don Filippo Gentiloni (futura firma del “Manifesto” per le questioni religiose e zio di Paolo, il ministro degli Esteri), conosce preti come don Luigi Di Liegro, che sarà il carismatico e amatissimo direttore della Caritas romana, e don Alessandro Plotti, futuro vescovo di Pisa. «Erano gli anni di papa Giovanni XXIII e di Paolo VI, gli anni del Concilio: anni di entusiasmo, di speranza, di innovazione», scrive. Sono gli anni della Meglio Gioventù versione cattolica, letture, incontri, amicizie, «gli anni della mia formazione: hanno disegnato il mio senso della vita e la mia fisionomia come persona», scrive Mattarella.

La politica è sempre stata di casa. Il padre è un notabile della Dc, accusato negli anni Sessanta di vicinanza alla mafia da Danilo Dolci che viene condannato per diffamazione. Accuse poi riprese dagli esponenti del Psi craxiano negli anni Ottanta quando Sergio dà vita alla prima giunta Dc-Pci a Palermo con il sindaco Leoluca Orlando (l’attuale), suo grande amico prima di una rottura dolorosa. «In Italia tutti sanno che i cognomi di Orlando e Mattarella erano indicati in una precedente generazione come autorevoli amici degli amici», scrive don Gianni Baget Bozzo sull’ “Avanti!”.

Anche il numero due del Psi Claudio Martelli picchia duro sulle famiglie Mattarella e Orlando «consigliori» dei mafiosi. «Mattarella ha scritto la replica su un foglietto: disgusto e disprezzo…», scrive sul suo diario l’allora capo ufficio stampa della Dc Giuseppe Sangiorgi. Tanto più che le minacce della mafia continuano. «Dovete proteggere Sergio», implora il segretario della Dc Ciriaco De Mita, il leader di riferimento, la moglie Marisa, sorella della moglie di Piersanti. «Mattarella è andato un attimo in casa sua prima di una cena ufficiale. A casa ha trovato la moglie in lacrime. Pochi minuti prima aveva ricevuto una telefonata anonima: suo marito, le hanno detto, con la lista che sta facendo per le elezioni di Palermo farà la stessa fine del fratello Piersanti».

Piersanti era il più promettente e intelligente tra gli allievi di Aldo Moro, aveva rotto con la Dc di Vito Ciancimino e di Salvo Lima e aperto al Pci siciliano negli anni della solidarietà nazionale, era già stato deciso che sarebbe tornato a Roma come deputato quando l’omicidio di Moro lo convinse a restare in Sicilia. Una scelta che gli costò la vita. Anche Sergio, eletto alla Camera nell’83, milita nella piccola corrente morotea. I suoi amici sono tutti nellaLega democratica, si chiamano Tina Anselmi, Maria Eletta Martini, lo storico Pietro Scoppola, il costituzionalista Leopoldo Elia con cui ingaggia a cena epiche gare di nozionismo. Sugli articoli della Costituzione tedesca? No, su chi conosce più formazioni di calcio a memoria, testimonia l’amico Pierluigi Castagnetti. Moro doveva diventare presidente della Repubblica già nel 1971, fu bruciato a voto segreto dalla destra Dc che gli preferì Giovanni Leone. E nel 1978, come disse Sandro Pertini, “lui, non io, vi parlerebbe da questo posto, se non fosse stato barbaramente assassinato”.

Mattarella al Quirinale è una silenziosa rivincita. Da Moro Mattarella sembra aver ereditato la timidezza davanti alle telecamere («Moro deve compiere un sovrumano sforzo di eroica volontà per presentarsi alla televisione», scriveva Vittorio Gorresio). La riservatezza: entrate nella leggenda di Moro con il soprabito d’estate sul lungomare di Terracina fotografato da Vezio Sabatini per un servizio di Guido Quaranta su “Panorama”.

L’ispirazione politica: l’apertura a sinistra, l’idea della fragilità della democrazia italiana, attraversata da nemici occulti. Le mafie, le massonerie, le P2. «Occorre recuperare credibilità e questo vuol dire soprattutto moralità», dice Mattarella in quel lontano discorso al congresso della Dc del 1984. «Moralità significa uno sforzo intenso e particolare contro la corruzione. Moralità significa, in alcune zone del Paese ma ormai in tutto il Paese, una lotta intensa, seria, autenticamente rigorosa, nei confronti della mafia, della camorra e di tutte le altre forme di criminalità organizzata. Significa avere una continua attenzione per evitare che si ripetano infiltrazioni o presenze e inquinamenti come quella che ci ha dolorosamente colpiti e preoccupati e inquieti, la scoperta delle trame della loggia P2». Ma la questione morale, come già avvertiva Berlinguer, non è solo lotta alla corruzione e alla mafia: «Significa avere rispetto della articolazione della società, liberando e risparmiando spazi da una eccessiva presenza del pubblico e della politica. Significa che alla frammentazione del Paese non si dà soltanto una pur necessaria risposta istituzionale ma anche una risposta di linea politica, far rivivere nel nostro Paese un più intenso, più completo, più vasto senso della convivenza, del pubblico interesse, dell’interesse generale: il bene comune».

Un democristiano anomalo, l’ha presentato Renzi. E qualcuno già lo chiama «un presidente alla memoria». Mattarella, piuttosto, è un rappresentante tipico del cattolicesimo democratico e della sinistra dc, sinistra a pieno titolo inserita nelle culture progressiste del Paese, la via democristiana alla democrazia. Una cultura politica fortissima che è moderazione, equilibrio, dialogo con l’avversario, senso delle istituzioni e dello Stato. In una parola: mediazione. Parola-chiave della politica anni Sessanta-Settanta che funzionava quando la Dc e i partiti rappresentavano il collegamento privilegiato tra il Palazzo e la società. Ma che si trasforma in immobilismo e infine palude quando il sistema è ormai paralizzato e non c’è più nulla da mediare.

La sinistra Dc che era stata la parte più avanzata e riformista del partito diventa alla fine degli anni Ottanta sinonimo di irresolutezza, indecisione, mancanza di coraggio, di generali senza truppe incapaci di strappare. Mattarella non fa eccezione. E questo spiega all’inizio degli anni Novanta la separazione, la rottura tra i maestri del cattolicesimo democratico che appare estenuato e le generazioni più giovani che si impegnano nei movimenti anti-mafia, nella Rete di Orlando uscito dalla Dc o nei comitati per i referendum elettorali o del nascente Ulivo.

La Dc va in crisi quando il Paese si disgrega sotto mille spinte populiste e territoriali, vedi la Lega al Nord. Mattarella resta fedele alla sua vecchia impostazione, ma appare quasi un sopravvissuto, un politico d’altri tempi. Il suo cattolicesimo adulto, tormentato, inquieto, vicino alla sensibilità del cardinale Carlo Maria Martini che incontra più volte, «la spiritualità del conflitto», come la chiama Scoppola, è minoritario nella stagione dei meeting di Comunione e liberazione a Rimini. E non ha niente a che fare con la politica personalizzata, urlata, ammiccante. «La sobrietà di vita è una delle cifre degli statisti», ha detto nel mese di luglio ricordando l’amico Giovanni Goria alla Camera che fu il premier più giovane della storia repubblicana (fino a Renzi) e morì prematuramente. Ma la sua non è una sobrietà alla Mario Monti, non si traduce in un loden, neppure la sobrietà è esibita. È un uomo in grigio. Un uomo invisibile. Ma non spento, per nulla incolore o malinconico.

Potrebbe sottoscrivere quanto disse Enrico Berlinguer a Giovanni Minoli: «La cosa che mi infastidisce di più è quando scrivono che sarei triste, perché non è vero». Di ironia sottile, fredda, anglosassone. Di passione contenuta, intransigente. Per questo temuto da Silvio Berlusconi. Il suo anti-berlusconismo non è politico, va molto al di là della decisione di dimettersi da ministro per protestare contro la legge Mammì sulle tv nel 1990. È un anti-berlusconismo etico, una scala di valori contrapposta, inconciliabile con l’Arcore style. È (anche) a lui che si riferiva quando attaccava «Il bombardamento commercializzato dei modelli di vita che ha accentuato il pericolo del conformismo». Alternativo antropologicamente al berlusconismo, al fighettismo, al libertinismo, specie quello intellettuale.

Sembrava destinato a un tranquillo notabilato, lui che leader non è mai stato, «cammina nella penombra», lo descrive l’amico Angelo Sanza. Invece a richiamarlo in servizio per la politica attiva è stato un leader molto lontano da lui, per stile, mentalità, cultura, anche se non per origine e provenienza. Si è sempre detto che Renzi era l’erede di Berlusconi, ma la scelta di Mattarella fa intuire un’altra parentela, un’altra famiglia di provenienza, anche se misconosciuta. Il cattolicesimo democratico, che ha sempre militato dalla parte opposta del berlusconismo. Una stirpe fondata esattamente un secolo fa, con il discorso di Caltagirone del 1905 di un altro siciliano,don Luigi Sturzo. Potenza delle culture politiche, capaci di sopravvivere alle stagioni, agli inverni più rigidi, alle tempeste più violente. Alle prove antiche e dure. Un secolo dopo, ecco un altro cattolico, siciliano, il primo al Quirinale. Proiettato verso il futuro.

Il figlio della Repubblica si affida a un padre. L’uomo del Selfie fa eleggere l’uomo senza immagini. Nel modo opposto allo stile dell’eletto. Mai e poi mai Sergio Mattarella avrebbe usato i metodi di Renzi: forzature, spintoni, spallate, rovesciamenti di campo. L’irruenza, il contrario della prudenza mattarelliana. Renzi usa uno dei migliori esponenti della Prima Repubblica per chiudere per sempre con la stagione della Seconda e prepararsi a fondare la Terza.

Sergio Mattarella, eletto presidente la mattina di un sabato, il 31 gennaio 2015, potrebbe essere il capo dello Stato che celebrerà nel settantesimo anniversario dalla nascita della Repubblica insieme al referendum popolare che ne dichiarerà il (parziale) mutamento. Garante della Costituzione in vigore e di quella che verrà, come ha detto Renzi. E forse mostrerà al premier nato trentacinque anni dopo le parole del grande storico cattolico francese Henri-Irénée Marrou sullaconoscenza storica, il senso di ciò che accade, la piccola politica delle miserie quotidiane e la grande storia: «non viviamo soltanto per costruire e distruggere questi edifici provvisori, come una generazione di termiti, ma per dare un senso, riconoscere un valore al pellegrinaggio, a volte trionfale, a volte doloroso, che l’umanità compie da sempre attraverso il corso della sua storia». Sarà il mite, invisibile custode della Repubblica. Anche inflessibile (speriamo).

Parlamentari Pd “Con Mattarella la Repubblica in ottime mani” – comunicato stampa 31.01.15

 

I parlamentari modenesi del Pd Davide Baruffi, Carlo Galli, Manuela Ghizzoni, Maria Cecilia Guerra, Edoardo Patriarca, Giuditta Pini, Matteo Richetti e Stefano Vaccari esprimono grande soddisfazione per l’elezione di Sergio Mattarella a presidente della Repubblica. Ecco la loro dichiarazione:

 

«Con Sergio Mattarella sale al Quirinale un politico dalle indiscusse qualità umane e istituzionali. Sergio Mattarella èuomo della legalità, che ha pagato personalmente l’intransigenza verso la mafia; uomo saldo nei propri principi, dimessosi dal Governo nel momento stesso in cui veniva posta la fiducia su una legge che non poteva condividere; uomo del Parlamento, garante della sua centralità nel nostro ordinamento istituzionale; uomo delle riforme, padre della legge elettorale che ha introdotto il bipolarismo nel nostro sistema; uomo del multilateralismo, che da ministro della Difesa ha tenuto ancorato il nostro Paese a questa visione per la risoluzione dei conflitti internazionali; uomo fedele alla Costituzione e ai suoi valori, per questo eletto giudice della Corte costituzionale. Il nome di Sergio Mattarella è stato proposto dal Partito democratico che tutto insieme ha saputo convergere per sostenerlo convintamente. Ma l’alto profilo della sua figura istituzionale è riuscita a raccogliere consensi in un campo molto più largo. Un risultato certo superiore alle attese, una scelta ottima per il bene del Paese. Buon lavoro, presidente!»

Tasse sisma, deputati Pd “Pronti a difendere nostri emendamenti” – comunicato stampa 29.01.15

 

 

I deputati modenesi del Pd Manuela Ghizzoni, Davide Baruffi e Matteo Richetti, firmatari di una serie di emendamenti al dl Milleproroghe relativi al sisma 2012, rispondono ai rappresentanti delle associazioni raggruppate in Rete Imprese e ribadiscono il loro impegno per cercare di far passare i contenuti degli emendamenti stessi, compresa la proroga al giugno 2016 del pagamento delle imposte. Ecco la loro dichiarazione:

 

“Vorremmo ricordare che abbiamo già depositato, la settimana scorsa, emendamenti al dl Milleproroghe che accolgono le richieste delle associazioni economiche che fanno parte di Rete Imprese. Un nostro emendamento, in particolare, chiede di prorogare il termine iniziale della restituzione dei finanziamenti ottenuti per pagare le tasse al 30 giugno 2016 anziché al 30 giugno 2015 come è stabilito al momento, rimodulando anche il piano di ammortamento. Come deputati del territorio ben conosciamo il tema della ricostruzione e le difficoltà che le imprese, ma anche le comunità tutte, stanno attraversando. E’ accaduto spesso, anche in passato, che ci facessimo promotori presso il Governo delle richieste provenienti dalla zona del cratere sismico. Le precedenti dilazioni di termini e scadenze sono state ottenute in questo modo, anche grazie al lavoro del Partito democratico. Archiviata l’elezione del presidente della Repubblica, se tutto va come auspicato, già dalla prossima settimana le Commissioni riprenderanno l’esame degli emendamenti al dl Milleproroghe il cui contenuto noi siamo pronti a difendere così da proseguire quella virtuosa triangolazione territorio-Regione-Parlamento che ha già garantito buoni frutti. Ci auguriamo che anche i deputati di opposizione, magari appartenenti a quegli schieramenti sempre pronti a sollevare la voce sui giornali, vorranno unire le loro forze alle nostre per far passare queste proposte per il bene delle zone colpite dal sisma”.

Aemilia, parlamentari Pd “Il valore delle white list e dei controlli” – comunicato stampa 29.01.15

 

 

I parlamentari modenesi del Pd Davide Baruffi, Carlo Galli, Manuela Ghizzoni, Maria Cecilia Guerra, Edoardo Patriarca, Giuditta Pini, Matteo Richetti e Stefano Vaccari, commentando gli esiti dell’importante operazione anti-mafia della Dda di Bologna, ribadiscono l’efficacia e il valore delle white list e la necessità dei controlli. Ecco la loro dichiarazione:

 

 

«Vogliamo, innanzitutto, ancora una volta, ribadire tutto il nostro apprezzamento per l’importante lavoro svolto dalla magistratura e dalle forze dell’ordine in difesa delle nostre comunità. L’operazione Aemilia ha evidenziato una presenza radicata e pervasiva, duratura nel tempo, di una compagine ‘ndranghetista che ha vestito i panni dell’imprenditoria e dell’internazionalizzazione. La stessa indagine però è anche la controprova che certi strumenti legislativi, per i quali come Pd, ci siamo a lungo battuti, sono effettivamente efficaci. Stiamo parlando delle tanto contestate white list che, dopo molte discussioni, riuscimmo a far inserire nel primo testo normativo successivo al sisma del 2012, il dl n. 74. E l’idea delle white list nacque proprio sulla base dell’esperienze delle ricostruzioni dopo terremoti precedenti, uno per tutti quello dell’Aquila. Non vogliamo fare processi anticipati a nessuno, ma è certo che le white list, unite alla creazione del gruppo interforze Girer, hanno contribuito a contrastare la presenza della criminalità organizzato nel tessuto sano delle imprese. Quindi, se è vero che ci deve essere meno burocrazia, è altrettanto vero che i controlli devono essere fatti. E’ per questo che, anche per il caso del tecnico del Comune di Finale Emilia, ribadiamo l’invito alla magistratura di fare chiarezza fino in fondo e accertare tutte le responsabilità. Maggiori e più efficaci controlli in difesa della legalità vanno a vantaggio di tutta la comunità, compresa la stragrande maggioranza di imprese che lavorano in maniera onesta e rispettando le leggi».

“Con l’Italicum potranno votare anche 25mila studenti Erasmus, la soddisfazione di Esn Italia”, di Eugenio Bruno – Scuola 24 28.01.15

 

Con l’approvazione dell’Italicum il diritto di voto degli studenti Erasmus è più vicino. Il disegno di legge con la riforma elettorale, che è stato approvato ieri in seconda lettura dal Senato e che torna ora alla Camera per il terzo giro parlamentare, consente a chi si trova all’estero per motivi di studio, lavoro o salute di votare per corrispondenza. Se verrà confermata anche a Montecitorio, la misura – introdotta con il via libera in aula lunedì a un emendamento firmato da tre senatori del Pd (Cociancich, Marcucci e Del Barba) – permetterà a circa 25mila ragazzi impegnati nel programma di scambio per studenti di esercitare il loro diritto di voto. Stando alla stima di Esn Italia che ha espresso ieri tutta la sua soddisfazione per la scelta di Palazzo Madama.

L’emendamento del Pd
Stando alla norma possono votare per corrispondenza nella Circoscrizione estero (ma solo per un’unica consultazione elettorale) i «cittadini italiani che, per motivi di lavoro, studio o cure mediche, si trovano, per un periodo di almeno tre mesi nel quale ricade la data di svolgimento della medesima consultazione elettorale, in un Paese estero in cui non sono anagraficamente residenti ai sensi della legge 27 ottobre 1988, n. 470». Un diritto che in base sempre allo stesso comma 1, viene esteso i familiari conviventi con i cittadini di cui al primo periodo. Per farlo – spiega il comma 2 – gli aspiranti elettori dovranno presentare domanda al comune di iscrizione elettorale entro i dieci giorni successivi alla data di pubblicazione del decreto di convocazione dei comizi elettorali, indicando anche l’indirizzo postale al quale inviare il plico elettorale e un’autocertificazione attestante il possesso dei requisiti richiesti dalla norma. Il comune interessato dovrà inviare tutti i dati al Viminale che avrà poi 28 giorni per avvisare la Farnesina. Toccherà infatti al ministero degli Affari esteri trasmettere agli uffici consolati competenti i nominativi degli elettori.

La soddisfazione di Esn Italia
In una nota Erasmus Student Network Italia – che è presente in 50 atenei e nei mesi scorsi aveva lanciato il progetto #GenerazioneSenzaVoto – ha espresso tutta la sua soddisfazione per una misura che consentirà a 25mila studenti di votare: «Per i più si tratta di un piccolo emendamento all’Italicum; allo stesso tempo la modifica rappresenta una vera e propria rivoluzione per quella fetta di giovani italiani che ogni anno investe tempo e denaro per la propria formazione in un altro Paese». Per il presidente Carlo Bitetto «le nostre istanze sono state finalmente ascoltate, il Senato ha dimostrato di non essersi dimenticato dei giovani che investono per formarsi all’estero e ha dato una bella risposta. Adesso attendiamo – ha concluso – che la Camera faccia la sua parte».

Vaccari e Broglia a Fabbri “Sei in perenne campagna elettorale” – comunicato stampa – 27.01.15

 

 

 

I senatori emiliani del Pd Stefano Vaccari e Claudio Broglia rispondono alle ennesime accuse del consigliere regionale della Lega Nord Alan Fabbri che sulla gestione del post-sisma parla di “fumosità” dell’azione dei parlamentari democratici. “Noi facciamo con convinzione il nostro mestiere – dicono Vaccari e Broglia – giochiamo in squadra con chi vuole fare gli interessi dei territori colpiti dalle calamità naturali. Se lo vuoi fare anche tu, chiedi ai tuoi colleghi alla Camera che sostengano l’emendamento al dl Milleproroghe sull’istituzione delle zone franche urbane presentato dai colleghi del Pd Ghizzoni, Baruffi e Richetti”. Ecco la loro dichiarazione:

 

 

«Serve un esorcista: Salvini esca dal corpo di Fabbri! Purtroppo spiace constatare che il consigliere Fabbri è ancora in campagna elettorale nonostante abbia perso nettamente le elezioni lo scorso 23 novembre: continua a straparlare come capita spesso al suo leader Salvini, quasi ne fosse posseduto! Spara numeri a caso sul percorso della ricostruzione,  abbina fischi con fiaschi, le famiglie ancora nei MAP alle zone franche urbane, si lamenta del fatto che parlamentari democratici facciano, non tanto annunci, ma il proprio dovere rappresentando il proprio territorio – quello colpito da terremoto, alluvioni e trombe d’aria, caro Fabbri! – a ogni provvedimento in discussione e non solo quando qualcuno li sveglia, come capita ai suoi referenti. Caro Fabbri, come ben sai ognuno risponderà del proprio operato ai cittadini nel ruolo che ricopre, ma smettila di distorcere la realtà e strumentalizzare il malessere e il disagio, che nessuno ha mai negato, di tante famiglie. Noi del Pd emiliano – e lo abbiamo scelto ben prima che tu apparissi sulla scena regionale – giochiamo in squadra con chi vuole fare gli interessi dei territori colpiti dalle calamità naturali, al di là dell’appartenenza partitica.  Se anche tu vuoi farlo, devi dire ai tuoi colleghi alla Camera che sostengano l’emendamento presentato al decreto Milleproroghe dai deputati del Pd Manuela Ghizzoni, Davide Baruffi e  Matteo Richetti: così vediamo se le tue sono solo “straparlate” o reali volontà di fare del bene per i territori colpiti dal sisma».

27 gennaio,Ghizzoni “Lo Stato aiuti la trasmissione della memoria” – comunicato stampa 27.01.15

 

“Fare memoria oggi significa anche prendersi cura di luoghi, teatro di oscene violenze, perché esse non abbiamo ripetersi”: nel giorno della Memoria, la parlamentare modenese del Pd Manuela Ghizzoni, componente della Commissione Cultura della Camera, sottolinea il valore di luoghi come il Campo di Fossoli e il Memoriale al Deportato e ribadisce che da luoghi patrimonio di una comunità devono diventare, con l’aiuto del Mibact, patrimonio nazionale. Ecco la sua dichiarazione:

 

«Primo Levi inizia “Sommersi e salvati” con la frase “La memoria umana  è uno strumento meraviglioso, ma fallace”. Una frase che attesta la straordinaria onestà intellettuale di chi, come Levi,  non ha mai smesso di fare testimonianza dell’esperienza del lager. Ma memoria non è solo esercizio del ricordo: per quelli come  noi, a cui è stata risparmiata quell’esperienza disumana, fare memoria significa prendere in carico quanto è stato e farne azione civile perché non accada più. Significa prendersi la responsabilità di tramandare  testimonianze non nostre. Significa prendersi cura di luoghi teatro di oscene violenze perché esse non abbiano a ripetersi. A Fossoli di Carpi si prova a fare memoria da decenni, perché ci è toccato in sorte l’unico grande campo di transito della deportazione italiana. Un’eredità, vorrei dire un dono, che ci ha spinto ad un esercizio continuo di ricerca, di racconto, di divulgazione, che ci ha portato a istituire l’unico Memoriale al Deportato in Italia, dove le storie di uomini e donne si vivono e si respirano. Non finirò mai di invitare a visitarlo. Eppure manca qualcosa perché questi luoghi da patrimonio di una comunità diventino patrimonio nazionale. Manca un po’ di Stato, che si assuma consapevolezza, responsabilità e impegno, perché gli sforzi di una comunità da soli non ce la fanno. Un concreto segnale potrebbe venire dall’ingresso del Mibact, il Ministero per i beni e delle attività culturali e del turismo, nel consiglio di amministrazione della Fondazione Campo Fossoli, un impegno che il ministro Franceschini ha già dichiarato di sostenere. Guardiamo ad Auschwitz, ma cominciamo dall’Italia. Da Fossoli, il 22 febbraio 1944, partì Primo Levi “verso il nulla”, insieme ad altri 650 ebrei. Da quelle partenze nascono le domande di oggi. Quanto dell’emozione di questa giornata rimarrà nelle giornate a venire? Quanto si deve ancora fare perché sui nostri documenti alla parola “razza” si possa scrivere, come fece Einstein, “umana”?  E, concretamente, con quali mezzi possiamo trasmettere la storia?  Sono domande a cui lo Stato deve saper rispondere. Questo sarebbe un buon esercizio di memoria».