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Mattarella, parlamentari Pd “Un discorso di alto profilo” – comunicato stampa 03.02.15

 

  

I parlamentari modenesi del Pd Davide Baruffi, Carlo Galli, Manuela Ghizzoni, Maria Cecilia Guerra, Edoardo Patriarca, Giuditta Pini, Matteo Richetti e Stefano Vaccari  erano tutti presenti in mattinata alla cerimonia del giuramento del nuovo presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ha parlato, per la prima volta, davanti alle Camere riunite. Ecco la loro dichiarazione:  

 

 

“Uno stile sobrio ed essenziale, un richiamo forte ai principi della Costituzione e ai valori su cui è fondata, una visione chiara della difficile situazione del Paese e della contemporanea necessità di sostenere la crescita. Il discorso pronunciato, in mattinata, di fronte alle Camere riunite, dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha mantenuto un profilo istituzionale alto, ma non ha mancato di elencare i problemi, le sofferenze e le speranze del Paese. Un discorso, quindi, per parlare non solo ai rappresentanti delle Istituzioni, ma anche e soprattutto ai cittadini, una comunità allargata che, come sottolineato dal presidente, racchiude anche gli italiani residenti all’estero e gli stranieri residenti in Italia. Il presidente ha citato le disuguaglianze che la crisi ha acuito, la necessità di accorciare la distanza tra le Istituzioni e il popolo, le politiche europee, la lotta al terrorismo, il contrasto alle mafie e alla corruzione, la necessità di contrastare la violenza sulle donne e di evitare che la crisi porti ad un arretramento dei diritti, il sostegno alle speranze dei giovani, insomma, tutti i grandi temi di questa nostra società in trasformazione. Un discorso non retorico, non formale, misurato, certamente completo. Molti potranno riconoscersi nelle sue parole. Sergio Mattarella, siamo sicuri, contribuirà fattivamente a garantire quel nuovo orizzonte di speranza e quella rinnovata prospettiva di cambiamento del Paese su cui è impegnato il Partito democratico tutto”.

Il discorso di insediamento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella – 03.02.15

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Signora Presidente della Camera dei Deputati, Signora Vice Presidente del Senato, Signori Parlamentari e Delegati regionali.

 

Rivolgo un saluto rispettoso a questa assemblea, ai parlamentari che interpretano la sovranità del nostro popolo e le danno voce e alle Regioni qui rappresentate.

Ringrazio la Presidente Laura Boldrini e la Vice Presidente Valeria Fedeli.

Ringrazio tutti coloro che hanno preso parte al voto.

Un pensiero deferente ai miei predecessori, Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano, che hanno svolto la loro funzione con impegno e dedizione esemplari.

A loro va l’affettuosa riconoscenza degli italiani.

Al Presidente Napolitano che, in un momento difficile, ha accettato l’onere di un secondo mandato, un ringraziamento particolarmente intenso.

Rendo omaggio alla Corte Costituzionale organo di alta garanzia a tutela della nostra Carta fondamentale, al Consiglio Superiore della magistratura presidio dell’indipendenza e a tutte le magistrature.

Avverto pienamente la responsabilità del compito che mi è stato affidato.

La responsabilità di rappresentare l’unità nazionale innanzitutto. L’unità che lega indissolubilmente i nostri territori, dal Nord al Mezzogiorno.

Ma anche l’unità costituita dall’insieme delle attese e delle aspirazioni dei nostri concittadini.

Questa unità, rischia di essere difficile, fragile, lontana.

L’impegno di tutti deve essere rivolto a superare le difficoltà degli italiani e a realizzare le loro speranze.

La lunga crisi, prolungatasi oltre ogni limite, ha inferto ferite al tessuto sociale del nostro Paese e ha messo a dura prova la tenuta del suo sistema produttivo.

Ha aumentato le ingiustizie.

Ha generato nuove povertà.

Ha prodotto emarginazione e solitudine.

Le angosce si annidano in tante famiglie per le difficoltà che sottraggono il futuro alle ragazze e ai ragazzi.

Il lavoro che manca per tanti giovani, specialmente nel Mezzogiorno, la perdita di occupazione, l’esclusione, le difficoltà che si incontrano nel garantire diritti e servizi sociali fondamentali.

Sono questi i punti dell’agenda esigente su cui sarà misurata la vicinanza delle istituzioni al popolo.

Dobbiamo saper scongiurare il rischio che la crisi economica intacchi il rispetto di principi e valori su cui si fonda il patto sociale sancito dalla Costituzione.

Per uscire dalla crisi, che ha fiaccato in modo grave l’economia nazionale e quella europea, va alimentata l’inversione del ciclo economico, da lungo tempo attesa.

E’ indispensabile che al consolidamento finanziario si accompagni una robusta iniziativa di crescita, da articolare innanzitutto a livello europeo.

Nel corso del semestre di Presidenza dell’Unione Europea appena conclusosi, il Governo – cui rivolgo un saluto e un augurio di buon lavoro – ha opportunamente perseguito questa strategia.

Sussiste oggi l’esigenza di confermare il patto costituzionale che mantiene unito il Paese e che riconosce a tutti i cittadini i diritti fondamentali e pari dignità sociale e impegna la Repubblica a rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e l’eguaglianza.

L’urgenza di riforme istituzionali, economiche e sociali deriva dal dovere di dare risposte efficaci alla nostra comunità, risposte adeguate alle sfide che abbiamo di fronte.

Esistono nel nostro Paese energie che attendono soltanto di trovare modo di esprimersi compiutamente.

Penso ai giovani che coltivano i propri talenti e che vorrebbero vedere riconosciuto il merito.

Penso alle imprese, piccole medie e grandi che, tra rilevanti difficoltà, trovano il coraggio di continuare a innovare e a competere sui mercati internazionali.

Penso alla Pubblica Amministrazione che possiede competenze di valore ma che deve declinare i principi costituzionali, adeguandosi alle possibilità offerte dalle nuove tecnologie e alle sensibilità dei cittadini, che chiedono partecipazione, trasparenza, semplicità degli adempimenti, coerenza nelle decisioni.

Non servono generiche esortazioni a guardare al futuro ma piuttosto la tenace mobilitazione di tutte le risorse della società italiana.

Parlare di unità nazionale significa, allora, ridare al Paese un orizzonte di speranza.

Perché questa speranza non rimanga un’evocazione astratta, occorre ricostruire quei legami che tengono insieme la società.

A questa azione sono chiamate tutte le forze vive delle nostre comunità in Patria come all’estero.

Ai connazionali nel mondo va il mio saluto affettuoso.

Un pensiero di amicizia rivolgo alle numerose comunità straniere presenti nel nostro Paese.

La strada maestra di un Paese unito è quella che indica la nostra Costituzione, quando sottolinea il ruolo delle formazioni sociali, corollario di una piena partecipazione alla vita pubblica.

La crisi di rappresentanza ha reso deboli o inefficaci gli strumenti tradizionali della partecipazione, mentre dalla società emergono, con forza, nuove modalità di espressione che hanno già prodotto risultati avvertibili nella politica e nei suoi soggetti.

Questo stesso Parlamento presenta elementi di novità e di cambiamento.

La più alta percentuale di donne e tanti giovani parlamentari. Un risultato prezioso che troppe volte la politica stessa finisce per oscurare dietro polemiche e conflitti.

I giovani parlamentari portano in queste aule le speranze e le attese dei propri coetanei. Rappresentano anche, con la capacità di critica, e persino di indignazione, la voglia di cambiare.

A loro, in particolare, chiedo di dare un contributo positivo al nostro essere davvero comunità nazionale, non dimenticando mai l’essenza del mandato parlamentare.

L’idea, cioè, che in queste aule non si è espressione di un segmento della società o di interessi particolari, ma si è rappresentanti dell’intero popolo italiano e, tutti insieme, al servizio del Paese.

Tutti sono chiamati ad assumere per intero questa responsabilità.

Condizione primaria per riaccostare gli italiani alle istituzioni è intendere la politica come servizio al bene comune, patrimonio di ognuno e di tutti.

E’ necessario ricollegare a esse quei tanti nostri concittadini che le avvertono lontane ed estranee.

La democrazia non è una conquista definitiva ma va inverata continuamente, individuando le formule più adeguate al mutamento dei tempi.

E’ significativo che il mio giuramento sia avvenuto mentre sta per completarsi il percorso di un’ampia e incisiva riforma della seconda parte della Costituzione.

Senza entrare nel merito delle singole soluzioni, che competono al Parlamento, nella sua sovranità, desidero esprimere l’auspicio che questo percorso sia portato a compimento con l’obiettivo di rendere più adeguata la nostra democrazia.

Riformare la Costituzione per rafforzare il processo democratico.

Vi è anche la necessità di superare la logica della deroga costante alle forme ordinarie del processo legislativo, bilanciando l’esigenza di governo con il rispetto delle garanzie procedurali di una corretta dialettica parlamentare.

Come è stato più volte sollecitato dal Presidente Napolitano, un’altra priorità è costituita dall’approvazione di una nuova legge elettorale, tema sul quale è impegnato il Parlamento.

Nel linguaggio corrente si è soliti tradurre il compito del capo dello Stato nel ruolo di un arbitro, del garante della Costituzione.

E’ una immagine efficace.

All’arbitro compete la puntuale applicazione delle regole. L’arbitro deve essere – e sarà – imparziale.

I giocatori lo aiutino con la loro correttezza.

Il Presidente della Repubblica è garante della Costituzione.

La garanzia più forte della nostra Costituzione consiste, peraltro, nella sua applicazione. Nel viverla giorno per giorno.

Garantire la Costituzione significa garantire il diritto allo studio dei nostri ragazzi in una scuola moderna in ambienti sicuri, garantire il loro diritto al futuro.

Significa riconoscere e rendere effettivo il diritto al lavoro.

Significa promuovere la cultura diffusa e la ricerca di eccellenza, anche utilizzando le nuove tecnologie e superando il divario digitale.

Significa amare i nostri tesori ambientali e artistici.

Significa ripudiare la guerra e promuovere la pace.

Significa garantire i diritti dei malati.

Significa che ciascuno concorra, con lealtà, alle spese della comunità nazionale.

Significa che si possa ottenere giustizia in tempi rapidi.

Significa fare in modo che le donne non debbano avere paura di violenze e discriminazioni.

Significa rimuovere ogni barriera che limiti i diritti delle persone con disabilità.

Significa sostenere la famiglia, risorsa della società.

Significa garantire l’autonomia ed il pluralismo dell’informazione, presidio di democrazia.

Significa ricordare la Resistenza e il sacrificio di tanti che settanta anni fa liberarono l’Italia dal nazifascismo.

Significa libertà. Libertà come pieno sviluppo dei diritti civili, nella sfera sociale come in quella economica, nella sfera personale e affettiva.

Garantire la Costituzione significa affermare e diffondere un senso forte della legalità.

La lotta alla mafia e quella alla corruzione sono priorità assolute.

La corruzione ha raggiunto un livello inaccettabile.

Divora risorse che potrebbero essere destinate ai cittadini.

Impedisce la corretta esplicazione delle regole del mercato.

Favorisce le consorterie e penalizza gli onesti e i capaci.

L’attuale Pontefice, Francesco, che ringrazio per il messaggio di auguri che ha voluto inviarmi, ha usato parole severe contro i corrotti: «Uomini di buone maniere, ma di cattive abitudini».

E’ allarmante la diffusione delle mafie, antiche e nuove, anche in aree geografiche storicamente immuni. Un cancro pervasivo, che distrugge speranze, impone gioghi e sopraffazioni, calpesta diritti.

Dobbiamo incoraggiare l’azione determinata della magistratura e delle forze dell’ordine che, spesso a rischio della vita, si battono per contrastare la criminalità organizzata.

Nella lotta alle mafie abbiamo avuto molti eroi. Penso tra gli altri a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Per sconfiggere la mafia occorre una moltitudine di persone oneste, competenti, tenaci. E una dirigenza politica e amministrativa capace di compiere il proprio dovere.

Altri rischi minacciano la nostra convivenza.

Il terrorismo internazionale ha lanciato la sua sfida sanguinosa, seminando lutti e tragedie in ogni parte del mondo e facendo vittime innocenti.

Siamo inorriditi dalle barbare decapitazioni di ostaggi, dalle guerre e dagli eccidi in Medio Oriente e in Africa, fino ai tragici fatti di Parigi.

Il nostro Paese ha pagato, più volte, in un passato non troppo lontano, il prezzo dell’odio e dell’intolleranza. Voglio ricordare un solo nome: Stefano Taché, rimasto ucciso nel vile attacco terroristico alla Sinagoga di Roma nell’ottobre del 1982. Aveva solo due anni. Era un nostro bambino, un bambino italiano.

La pratica della violenza in nome della religione sembrava un capitolo da tempo chiuso dalla storia. Va condannato e combattuto chi strumentalizza a fini di dominio il proprio credo, violando il diritto fondamentale alla libertà religiosa.

Considerare la sfida terribile del terrorismo fondamentalista nell’ottica dello scontro tra religioni o tra civiltà sarebbe un grave errore.

La minaccia è molto più profonda e più vasta. L’attacco è ai fondamenti di libertà, di democrazia, di tolleranza e di convivenza.

Per minacce globali servono risposte globali.

Un fenomeno così grave non si può combattere rinchiudendosi nel fortino degli Stati nazionali.

I predicatori d’odio e coloro che reclutano assassini utilizzano internet e i mezzi di comunicazione più sofisticati, che sfuggono, per la loro stessa natura, a una dimensione territoriale.

La comunità internazionale deve mettere in campo tutte le sue risorse.

Nel salutare il Corpo Diplomatico accreditato presso la Repubblica, esprimo un auspicio di intensa collaborazione anche in questa direzione.

La lotta al terrorismo va condotta con fermezza, intelligenza, capacità di discernimento. Una lotta impegnativa che non può prescindere dalla sicurezza: lo Stato deve assicurare il diritto dei cittadini a una vita serena e libera dalla paura.

Il sentimento della speranza ha caratterizzato l’Europa nel dopoguerra e alla caduta del muro di Berlino. Speranza di libertà e di ripresa dopo la guerra, speranza di affermazione di valori di democrazia dopo il 1989.

Nella nuova Europa l’Italia ha trovato l’affermazione della sua sovranità; un approdo sicuro ma soprattutto un luogo da cui ripartire per vincere le sfide globali. L’Unione Europea rappresenta oggi, ancora una volta, una frontiera di speranza e la prospettiva di una vera Unione politica va rilanciata, senza indugio.

L’affermazione dei diritti di cittadinanza rappresenta il consolidamento del grande spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia.

Le guerre, gli attentati, le persecuzioni politiche, etniche e religiose, la miseria e le carestie generano ingenti masse di profughi.

Milioni di individui e famiglie in fuga dalle proprie case che cercano salvezza e futuro proprio nell’Europa del diritto e della democrazia.

E’ questa un’emergenza umanitaria, grave e dolorosa, che deve vedere l’Unione Europea più attenta, impegnata e solidale.

L’Italia ha fatto e sta facendo bene la sua parte e siamo grati a tutti i nostri operatori, ai vari livelli, per l’impegno generoso con cui fronteggiano questo drammatico esodo.

A livello internazionale la meritoria e indispensabile azione di mantenimento della pace, che vede impegnati i nostri militari in tante missioni, ¬ deve essere consolidata con un’azione di ricostruzione politica, economica, sociale e culturale, senza la quale ogni sforzo è destinato a vanificarsi.

Alle Forze Armate, sempre più strumento di pace ed elemento essenziale della nostra politica estera e di sicurezza, rivolgo un sincero ringraziamento, ricordando quanti hanno perduto la loro vita nell’assolvimento del proprio dovere.

Occorre continuare a dispiegare il massimo impegno affinché la delicata vicenda dei due nostri fucilieri di Marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, trovi al più presto una conclusione positiva, con il loro definitivo ritorno in Patria.

Desidero rivolgere un pensiero ai civili impegnati, in zone spesso rischiose, nella preziosa opera di cooperazione e di aiuto allo sviluppo.

Di tre italiani, padre Paolo Dall’Oglio, Giovanni Lo Porto e Ignazio Scaravilli non si hanno notizie in terre difficili e martoriate. A loro e ai loro familiari va la solidarietà e la vicinanza di tutto il popolo italiano, insieme all’augurio di fare presto ritorno nelle loro case.

Onorevoli Parlamentari, Signori Delegati,

Per la nostra gente, il volto della Repubblica è quello che si presenta nella vita di tutti i giorni: l’ ospedale, il municipio, la scuola, il tribunale, il museo.

Mi auguro che negli uffici pubblici e nelle istituzioni possano riflettersi, con fiducia, i volti degli italiani:

il volto spensierato dei bambini, quello curioso dei ragazzi.

i volti preoccupati degli anziani soli e in difficoltà il volto di chi soffre, dei malati, e delle loro famiglie, che portano sulle spalle carichi pesanti.

Il volto dei giovani che cercano lavoro e quello di chi il lavoro lo ha perduto.

Il volto di chi ha dovuto chiudere l’impresa a causa della congiuntura economica e quello di chi continua a investire nonostante la crisi.

Il volto di chi dona con generosità il proprio tempo agli altri.

Il volto di chi non si arrende alla sopraffazione, di chi lotta contro le ingiustizie e quello di chi cerca una via di riscatto.

Storie di donne e di uomini, di piccoli e di anziani, con differenti convinzioni politiche, culturali e religiose.

Questi volti e queste storie raccontano di un popolo che vogliamo sempre più libero, sicuro e solidale. Un popolo che si senta davvero comunità e che cammini con una nuova speranza verso un futuro di serenità e di pace.

Viva la Repubblica, viva l’Italia!

“Dottorati e stage: borse dall’Europa agli Stati Uniti”, di Alberto Magnani – Scuola 24 02.02.15

Ricerca o lavoro all’estero? Per i giovani talenti italiani la porta è aperta: da Helsinki a Washington, corsi, master e tirocini all’interno di campus d’eccellenza. Sono solo alcune tra le mete delle borse di studio e lavoro internazionale nel 2015, secondo le segnalazioni del ministero degli Affari esteri.

L’iniziativa della Farnesina
La Farnesina offre sulla sua pagina web (www.esteri.it ) un elenco aggiornato di bandi, selezione e concorsi in arrivo per neolaureati e professionisti in cerca di un’esperienza fuori dalla Penisola. Iniziamo dal Vecchio continente. Partendo da Nord, in Finlandia, il Centro di mobilità Internazionale (Cimo) offre borse di studio dai 3 ai 12 mesi per progetti di ricerca e insegnamento universitario. L’assegno è generoso, con mensilità dai 900 ai 1.200 euro. Ma l’“application” va preparata con cura: dall’anno accademico in corso i candidati stranieri potranno presentare domanda solo con l’intermediazione di una figura interna all’università finlandese, e non più in autonomia.

Le altre opportunità in corso per dottorandi e ricercatori arrivano da Malta (scadenza: 28 febbraio) e Slovenia (15 marzo).

Le mete
Se l’obiettivo sono gli Stati Uniti, la copertura più completa scatta con la borse di studio Fulbright. Il programma che ha già fatto volare oltreoceano più di 8mila italiani rinnova le sue selezioni per laureati, assegnisti di ricerca e professori interessati ai centri d’eccellenza negli States.Per l’anno accademico 2015-2016 restano a disposizione -entro il 25 febbraio prossimo – tre opportunità come distinguished lecturer, ricercatori avanzati alle università di Chicago (importo di 19.500 dollari), Northwestern University (22.500 dollari) e Notre Dame (16.500 dollari).

C’è tempo, invece, fino al 15 luglio per candidarsi alle borse di studio triennali per svolgere dottorati in Nuova Zelanda (www.newzealandeducated.com/nzidrs ). I candidati dovranno dimostrare il sostegno di un’università neozelandese e la disponibilità di un supervisore accademico per il corso scelto. La certificazione dell’inglese costituisce requisito essenziale per la presentazione della domanda.

Gli stage
E per gli stage? La Farnesina evidenzia il trampolino di Young professional program (Ypp), il programma di formazione finanziato dagli organismi internazionali per il reclutamento di talenti under 35. Tra gli istituti aderenti la Banca Mondiale (40 candidati l’anno, tutti sotto i 32 anni e con laurea in economia e settore bancario), l’International labour organization (candidati sotto i 35 anni, laurea in materia economica e giuridica, percorso biennale e tasso di assunzione elevatissimo) e l’Ocse: l’istituto parigino prevede una doppia selezione per stage nel periodo invernale (gennaio-giugno) ed estivo (luglio-dicembre).

“Scienze della formazione, l’82% dei laureati lavora a un anno dalla tesi”, Scuola 24 02.02.15

Laureati in Scienze della Formazione primaria: chi sono, cosa studiano e quanto tempo impiegano ad entrate nel mondo del lavoro? A dirlo sono le indagini AlmaLaurea che permettono di tracciare un identikit delle performance formative e professionali di questo collettivo molto particolare in quanto a caratteristiche anagrafiche e curriculum.

In prima istanza per questo percorso disciplinare, di cui qui si analizzano i laureati del 2012, la transizione tra vecchio e nuovo ordinamento è di fatto appena iniziata, essendo stato tra gli ultimi a vedere riformare il proprio ordinamento di studi, con tempi e modalità, tra l’altro, diversi tra ateneo e ateneo.

Chi sono i laureati in Scienze della Formazione primaria?
In base ai dati del XVI Rapporto AlmaLaurea sulla condizione occupazionale dei laureati emerge che a intraprendere questo percorso formativo sono prevalentemente donne: oltre il 95% dei laureati del collettivo esaminato è infatti di genere femminile. Terminano più frequentemente gli studi in corso (55%) o con solo un anno di ritardo (22,5%), con un’età media alla laurea piuttosto elevata (29 anni), frutto di immatricolazioni avvenute in genere in età più elevata rispetto allo standard, e con un voto in media di 105.
Infine, un elemento che caratterizza la maggior parte dei laureati di Scienze della Formazione primaria è l’aver accompagnato lo studio universitario ad esperienze lavorative. Non a caso, 54 laureati su 100 arrivano alla fine del percorso universitario maturando esperienze lavorative saltuarie; il 17% è invece a tutti gli effetti lavoratore-studente.

Dopo gli studi
Già ad anno dalla laurea il tasso di occupazione dei laureati in scienze della formazione primaria è elevato (lavorano 82 laureati su 100). Sebbene la stabilizzazione contrattuale avvenga soprattutto nel lungo periodo, si riscontrano buoni risultati sia per efficacia del titolo di studi (è molto efficace o efficace per 89 laureati su cento) che per soddisfazione del lavoro svolto (pari a 8,6 su una scala da 1-10).
A influenzare le ottime performance professionali è proprio l’elevata quota di laureati che hanno maturato, durante l’università, esperienze lavorative (31 occupati su cento proseguono l’attività intrapresa prima della laurea). Un dato in ulteriore aumento rispetto alle ultime generazioni.

Nel lungo periodo tutte le variabili prese in esame migliorano
A cinque anni sono occupati 95 laureati su 100 (rispondono complessivamente il 75% di tutti i laureati, quale che sia la facoltà prescelta). Chi prosegue l’attività iniziata nel corso degli studi è il 24%; di questi il 76% dichiara che la laurea ha comportato un miglioramento nel proprio lavoro; il 40% ha rilevato una crescita delle competenze professionali; il 37% in termini di posizione lavorativa e solo il 15% dal punto di vista economico.
Oltre un occupato su quattro ha invece cambiato lavoro e quasi uno su due ha iniziato a lavorare dopo il conseguimento del titolo. Tenendo conto che il principale sbocco lavorativo dei laureati di Scienze della Formazione primaria è l’ambito dell’istruzione, non stupisce che l’89% degli occupati sia assorbito dal settore pubblico, di questi la maggioranza (92%) è impiegato proprio nel settore dell’istruzione. Tant’è che per chi è occupato nel pubblico il titolo è efficace per nel 97,5% dei casi (nel privato l’efficacia è l’89%).

Punti di forza e criticità
Anche la soddisfazione per il lavoro svolto è decisamente elevata. E’ pari a 8,9 su una scala da 1-10. Sono particolarmente soddisfatti: a. l’utilità sociale del lavoro (voto medio pari a 9,2); b. per la coerenza con gli studi fatti (8,8); c. per la rispondenza ai propri interessi culturali (8,5); d. per l’acquisizione di professionalità (8,3).
Gli aspetti meno graditi sono, all’opposto, la flessibilità dell’orario di lavoro (7,2) e, come ci si poteva attendere, stabilità/sicurezza sul lavoro (7,2), nonché le prospettive di carriera (6,4) e di guadagno (6,0). Nota dolente resta la stabilità lavorativa che a cinque anni dalla laurea interessa poco meno della metà degli occupati, 49% (occupati esclusivamente grazie a contratti a tempo indeterminato); ma permane ancora una quota considerevole di occupati assunti a tempo determinato (50%). Un dato che mette in evidenza come quello dell’istruzione sia un settore che si caratterizza per tempi lunghi di stabilizzazione.
Anche le retribuzioni salgono in termini nominali fino a raggiungere 1.185 euro netti mensili, ma restano inferiori a quelli rilevati per le altre tipologie di laureati (circa 1.400 euro per i laureati magistrali biennali). I lavoratori del pubblico guadagnano comunque l’8% in più di coloro che lavorano nel privato.

 

“Leggere, un atto di grande amore”, di Ferdinando Scianna – Il Sole 24 Ore 01.02.15

Il fotografo siciliano Ferdinando Scianna ha costruito un libro di foto che celebrano l’atto della lettura. Ecco la postfazione
Passione, per me, e certo non solo per me, è quella di leggere. Passione tardiva, ché nella mia casa di ragazzo, in Sicilia, i libri non facevano parte dell’arredamento e la sola lettura che non fosse considerata inutile, se non peccaminosa, era quella utilitaristica dei libri di scuola. Dovere, dunque, all’inizio, e come tutti i doveri, ingrato e vissuto come fatica. Ci sono volute fortunate rivelazioni e meravigliosi incontri perché scoprissi che leggere è un piacere, uno, anzi, dei più grandi piaceri della vita. Da allora leggo un libro dietro l’altro come si accendono fiammiferi per non avere paura del buio. Il buio dell’ignoranza, il buio della solitudine.
Se guardiamo qualcuno che legge ci appare solo, ma non è così. Chi tocca un libro, è stato detto, tanto più chi lo legge, tocca un uomo, una donna, coloro che lo hanno scritto, entra in contatto con loro tanto in profondità quanto è difficilissimo in un altro modo entrare in contatto con una donna, un uomo. Si può litigare con quello che si legge e con chi lo ha scritto ma ci si può anche identificare in un modo straordinario, come se le parole che si vanno leggendo, le idee che formano, le storie che raccontano, i personaggi che inventano, scaturissero da dentro noi stessi, dove scopriamo che in un certo modo esistevano già; come se lo scrittore, mettendole in forma, misteriosamente avesse voluto proprio farne germogliare l’esistenza dentro di noi.
«Bianca muntagna, niura simenza, e l’omu chi simina sempri pensa », dice un proverbio delle mie parti. Il bianco della carta come innevata montagna, semi le parole e lo scrivere un pensare. Leggere significa, dunque, inoltrarsi nella foresta generata da quei semi.
Si crede, di solito, che il leggere sia un gesto passivo, un semplice ricevere ciò che ci viene dato da chi ha scritto. Sappiamo quanto falsa sia questa idea, e comunque molto riduttiva. Leggere è in un certo senso riscrivere, ricreare, rivivere. Lo dimostrano le innumerevoli letture che diverse persone possono fare dello stesso libro. E non solo persone diverse. Tutti, credo, abbiamo vissuto l’esperienza, rileggendo un libro dopo tanto tempo, specialmente se la prima volta lo abbiamo incontrato da ragazzi, di scoprire, con meraviglia, che in quel libro troviamo cose assai differenti da quelle scoperte la prima volta e che come quel libro, soprattutto se è un grande libro, ci parlava allora così da vicino dei nostri problemi e sogni di adolescenti, adesso è esattamente delle nostre idee di oggi e dei nostri bisogni di persone adulte che ci parla.
Un libro è un mondo, certo, ma è cosa morta, terra disabitata se non viene vissuto e fatto vivere dal lettore, che a sua volta, rendendolo cosa viva, se ne nutre. Leggere significa vivere. È solo se si ama la vita che si leggono e si amano i libri. I libri possono consolare, è vero, o turbare, ma non possono sostituire l’amore per la vita, ne fanno parte. Se se ne va l’amore per la vita, scema anche il piacere di leggere. Così, per esempio, come con l’età si affievolisce la spinta all’esplorazione, alla scoperta e aumenta la necessità di tirare le somme, di dare un senso alle esperienze, allo stesso modo il piacere di leggere si affianca sempre di più, con il gioco della memoria, a quello di rileggere.
Jorge Luis Borges soleva dirsi più orgoglioso dei libri che aveva letto che di quelli che aveva scritto e in un suo poema si scusa se il caso vuole che sia lui l’autore di quel componimento e chi lo sta ricevendo il lettore. È possibile, dice Borges, che tu, lettore, migliore di me, metta in questa poesia più bellezza e verità di quanto io sia stato capace di fare.
Tutto ciò penso che ancora di più valga per un fotografo, per la fotografia. Di solito si usa l’etimologia della parola per dire che fotografare sia scrivere con la luce. Più entro in questa pratica e ci rifletto, più mi pare che fotografare sia invece propriamente un leggere, con i propri occhi e con gli occhiali della macchina e del linguaggio, ciò che il mondo con penna di luce ha scritto di sé. Per me fotografo, almeno per il tipo di fotografia che amo e cerco di praticare, la realtà è un inesauribile, infinito libro, infinitamente, inesauribilmente da leggere e rileggere.

“Italia leader in sei progetti”, di Riccardo Pozzo – Il Sole 24 Ore 01.02.15

Pubblicati il 16 gennaio, i risultati del bando «Infraia-1 di Horizon 2020» (Integrating and Opening Existing National and Regional Research Infrastructures of European Interest), propongono dei risultati che per l’Italia sono di rilievo. Di cinquantotto progetti presentati, ventuno sono stati ammessi alla valutazione e tra questi ben sei hanno capofila italiani, quattro del Cnr, uno dell’Inaf e uno del Cineca.
Bandito nell’aprile 2014, «Infraia» ha messo in palio 140 milioni di euro. Era stato formulato a seguito della raccolta di un numero assai alto di espressioni d’interesse bottom up durante la Integrated Infrastructures Initiative (I3) dell’autunno del 2012, nella quale le diverse comunità che stavano lavorando alla costruzione di infrastrutture principianti o avanzate proposero alla Commissione europea delle tematiche precise. Tra queste, quarantuno vennero valutate «ad alto potenziale di merito» e trovarono accoglienza nel bando «Infraia-1».
La prima arrivata tra le infrastrutture con capofila italiano è «Iperion Ch», Integrated Project for the European Research Infrastructure On Cultural Heritage (8 milioni), coordinata da Luca Pezzati, dell’Istituto Nazionale di Ottica (Ino-Cnr), con sede ad Arcetri. Classificata al sesto posto (con 14 punti, in verità al terzo posto se si contano gli ex-aequo), «Iperion Ch» è l’infrastruttura multidisciplinare europea per le scienze e le tecnologie della conservazione, una rete che abbraccia diverse competenze, da fisica e chimica, a ingegneria, architettura, oltre ovviamente alle scienze umane e sociali; una rete peraltro che coinvolge un multiforme tessuto d’imprese che include le botteghe dei restauratori assieme a quelle a tecnologia avanzata all’avanguardia nella produzione di laser per la pulizia dei monumenti e per la diagnostica non invasiva. Né è un caso, visto il prestigio dei museologi, conservatori e restauratori italiani, che «Iperion Ch» sia la prima in Europa tra le infrastrutture avanzate del settore scienze umane e sociali. Si tratta di un bell’esempio di come i ministeri della Ricerca e della Cultura (in Italia, il Miur e il Mibact) lavorino fianco a fianco per massimizzare l’efficacia degli interventi.
All’ottavo posto vediamo l’infrastruttura avanzata per il settore terra e ambiente «Actris-2», Aerosols, Clouds, and Trace Gases Research Infrastructure Network (9,5 milioni), coordinata da Gelsomina Pappalardo dell’Istituto di Metodologie per l’Analisi ambientale (Imaa-Cnr), con sede a Tito Scalo presso Potenza. «Actris-2» rende possibile la standardizzazione dei dati sugli aerosol per lo scambio delle rilevazioni tra le stazioni a terra. Al dodicesimo posto è arrivata «Ahead», Integrated Activities for the High Energy Astrophysics Domain (5 milioni), coordinata da Luigi Piro, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), sede di Roma, infrastruttura principiante per la fisica, che ha come obiettivo il coordinamento, l’accesso e attività di ricerca congiunte della comunità degli astrofisici delle alte energie. Al tredicesimo posto, «SoBigData», So Big Data Research Infrastructure (5 milioni), infrastruttura principiante per matematica e Ict, coordinata da Fosca Giannotti dell’Istituto di Scienze e Tecnologie dell’Informazione, Alessandro Faedo (Isti-Cnr), con sede all’area di ricerca di Pisa, che si propone la creazione di un ecosistema europeo per l’analisi dei «Big Data» basato su una piattaforma aperta federata per l’accelerazione della conoscenza. Al quattordicesimo posto, «Nffa-Europe», Nanoscience Foundries and Fine Analysis-Europe (10 milioni), infrastruttura avanzata del settore ingegneria e scienza dei materiali coordinata da Giorgio Rossi dell’Istituto Officina dei Materiali (Iom) del Cnr di Trieste, che punta a integrare l’attività dei Laboratori di Nanoscienze con l’analisi fine della materia presso le Large Scale Facilities analitiche. Last but not least, al ventunesimo posto, «Hpc-Europa3», Transnational Access Program for a Pan-European Network of Hpc Research Infrastructures and Laboratories for Scientific Computing (10 milioni), infrastruttura avanzata per il settore matematica e Ict, coordinata da Francesca Garofalo del Consorzio Interuniversitario Cineca, il Centro italiano di supercalcolo.
Si tratta di un indubbio successo dell’Italia e si tratta di un indubbio successo del Cnr, che colloca quattro suoi progetti in posizioni finanziabili. Bene fa il Miur, dunque, ad affidare agli enti pubblici di ricerca la funzione di far da traino al Paese in Europa per le infrastrutture di ricerca, per le quali nel pilastro «Excellent Science di Horizon 2020» sono previsti finanziamenti fino a 2.470 milioni di euro. Se è vero che i dati del passato sono buoni per l’Italia, è anche vero che per il futuro siamo messi meglio. Troppo presto per dire che tagli lineari e difficoltà di programmazione ci abbiano spezzato le gambe.

“Vita dura per la scienza”, di Umberto Bottazzini – Il Sole 24 Ore 01.02.15

Le vicende del nostro ente di ricerca dal 1923 a oggi: un emblema di scarsa lungimiranza politica con l’eccezione del ministro Ruberti
Per chi ha a cuore le sorti della ricerca scientifica e il suo ruolo per lo sviluppo del nostro paese, è illuminante la lettura di La ricerca e il Belpaese, un lunga intervista in cui Lucio Bianco, ex-presidente del Cnr, ripercorre la storia del principale ente di ricerca italiano dalle sue origini nell’immediato primo dopoguerra fino a oggi. Una storia emblematica dei rapporti tra scienza e politica.
Il Consiglio Nazionale delle Ricerche nasce nel 1923 per iniziativa di Vito Volterra, il grande matematico e senatore del Regno che rappresenta l’Italia nel comitato esecutivo del Consiglio Internazionale delle Ricerche, cui aderiscono gli scienziati dei paesi alleati, usciti vincitori dalla guerra. Già nel 1918 Volterra – che si era arruolato volontario (all’età di 55 anni!) – aveva trasformato l’Ufficio invenzioni, di cui era direttore, da struttura di carattere militare a Ufficio invenzioni e ricerca, con sede ancora presso il ministero della guerra ma lo scopo di sviluppare studi nel campo della fisica, della chimica e dell’ingegneria. Di fatto, il nucleo originario del futuro Cnr, che un decreto ministeriale del 1919 prefigura come l’organismo per promuovere «ricerche a scopo industriale e per la difesa nazionale». Ma dovranno passare ancora diversi anni di inerzia – per non dire dell’ostilità di Benedetto Croce, ministro della Pubblica Istruzione del successivo governo Giolitti – prima che il decreto istitutivo del Cnr trovi realizzazione, se pur con esigue risorse finanziarie. Del resto, osserva Bianco, il Cnr nasce orientato verso le cosiddette scienze “dure”, le scienze naturali, la fisica e la matematica, cui Croce e Gentile negano valore culturale – e uno dei primi provvedimenti di Gentile ministro dell’Istruzione nel governo Mussolini sarà proprio quello di un robusto taglio del trenta per cento dei fondi per l’università e la ricerca scientifica. Un’attitudine che, verrebbe da dire, da allora ha fatto scuola nei governi del nostro paese, con poche luminose eccezioni. La carenza delle risorse è infatti una costante anche nella storia del Cnr.
Nel 1927, alla scadenza del mandato di Volterra, noto e aperto antifascista, Mussolini chiama alla presidenza Guglielmo Marconi, premio Nobel e figura di prestigio internazionale, non ostile al regime, anzi. Marconi è iscritto al partito (sarà addirittura membro del Gran Consiglio) e nei dieci anni della sua presidenza il budget del Cnr riceve un sostanzioso, anche se ancora insufficiente, incremento e vengono creati i primi Istituti – per le applicazioni del calcolo, l’ottica, l’elettroacustica, le ricerche aereonautiche, la geofisica, la radiotecnica. Il prezzo è una progressiva perdita di rilevanza internazionale, esito della politica di autarchia perseguita dal regime e incrementata quando, alla morte di Marconi, alla presidenza viene nominato il maresciallo Badoglio, rientrato in patria dalla guerra d’Etiopia con l’aura del vincitore. Tuttavia, afferma Bianco, nonostante le aspettative di Mussolini il Cnr non ha un «ruolo bellico» ma «cerca di sopravvivere in quei tempi turbinosi».
A guerra ancora in corso, una nuova stagione comincia nel 1944, dopo la liberazione di Roma, con la nomina del matematico Guido Castelnuovo a commissario seguita, qualche mese dopo, dalla chiamata di Gustavo Colonnetti, un ingegnere e matematico torinese che resterà alla guida del Cnr per dodici anni. È stato Colonnetti l’artefice della ricostruzione dell’ente nel dopoguerra: il Cnr diventa organo dello Stato, con personalità giuridica e posto alle dipendenze della presidenza del Consiglio. Nelle parole di Bianco, che nel Cnr è entrato come giovane ricercatore con un contratto a tempo determinato per poi trascorrervi l’intera carriera scientifica, rivivono le fasi cruciali attraversate dal mondo della ricerca nell’ultimo cinquantennio: negli anni Sessanta l’emblematico caso Ippolito che fa seguito alla morte di Mattei ed ha un forte impatto negativo sulla politica energetica del nostro paese, l’arresto di Domenico Marotta, direttore dell’Istituto superiore di sanità, alle dimissioni di Adriano Buzzati-Traverso dalla direzione del Laboratorio internazionale di genetica e biofisica di Napoli. E poi i “Progetti finalizzati” lanciati da Alessandro Faedo, il matematico che, alla guida del Cnr negli anni Settanta, raccoglie e sviluppa l’eredità di Giovanni Polvani e Vincenzo Caglioti, progetti poi ripresi dalle successive presidenze di Ernesto Quagliariello e Luigi Rossi-Bernardi. E, infine, la presidenza dello stesso Bianco con le vicende di ieri, la riforma Berlinguer-Zecchino e i contrasti con la ministra Moratti e la sua riforma, che portano alle sue dimissioni da presidente.
Nell’Italia repubblicana i rapporti tra scienza e politica sono stati a lungo caratterizzati, dice Bianco, dalla «mancanza di un reale interesse da parte della classe politica per la ricerca» con l’eccezione di Antonio Ruberti, sia perché restando cinque anni al ministero «ha avuto modo di dare una direzione alla politica della ricerca», sia perché era «un ministro esperto» e «sapeva di cosa parlava». Pur non essendo al centro degli interessi dei politici, qualche governo della cosiddetta prima Repubblica ha finanziato la ricerca scientifica in maniera significativa, anche se non al livello di altri paesi europei. Negli ultimi vent’anni invece è venuta meno «la disponibilità culturale verso la ricerca» cui si è accompagnata una politica di tagli dei finanziamenti. «È vero che siamo in un periodo di crisi finanziaria e di scarsa disponibilità economica», conclude Bianco. «Tuttavia, negli altri paesi non hanno toccato i fondi destinati all’università e alla ricerca. Anzi, in Germania Angela Merkel ha realizzato un’ampia spending review, tagliando in maniera incisiva il bilancio dello Stato, ma ha aumentato i fondi per l’università e la ricerca, perché li considera investimenti strategici per lo sviluppo del paese.
In Italia, per trovare un esempio simile di lungimiranza politica, bisogna ritornare indietro a Quintino Sella, mitico ministro delle Finanze del Regno subito dopo l’Unità d’Italia, che si diceva disposto a «tagliare qualsiasi cosa, ma non i fondi per la scuola”. Ma, appunto, erano altri tempi.

Lucio Bianco, La ricerca e il Belpaese. Conversazione con Pietro Greco. Prefazione di Raffaella Simili. Postfazione di Luciano Canfora, Donzelli editore, Roma, pagg. 150,
€ 18,50