Tutti gli articoli relativi a: memoria

“Cocò? Dimenticatelo”. La legge delle cosche è più forte del dolore", di Niccolò Zancan

«Cocò, chi?». In piazza alzano il mento al cielo. Il tabaccaio si rintana in negozio. Le mamme scappano via, trascinandosi dietro figli e sacchetti. Non è cosa. Non sono domande. Non ci sono segni di lutto. Niente. Neppure in contrada Fiego, a due chilometri dal centro storico, dove si è compiuto il massacro. C’è soltanto una grande macchia scura di asfalto carbonizzato e un fiore giallo di plastica, appoggiato sul moncherino del radiatore di una Punto liquefatta. Tutto quello che resta. Tre mesi dopo, ancora non conosciamo gli assassini di Nicolas Campolongo detto Cocò. Era un bambino di tre anni, viveva in questo paese in mezzo ai grandi. Però adesso sappiamo con certezza perché è stato ucciso. L’hanno ammazzato per farci «spagnare», come dicono qui. Per farci avere paura. A Cocò hanno sparato in testa. Come a suo nonno Giuseppe Iannicelli, come alla fidanzata di suo nonno Ibissa Tous. Giustiziati e bruciati dentro una macchina, come i mafiosi fanno con i loro peggiori nemici. «Lo stupore sarebbe una reazione ingenua», dice il pm Vincenzo Luberto, …

"Bellaria, la destra rimuove la Resistenza", di Onide Donati

Bello? Brutto? La disputa sulla «Gabbia dei sassi», grande e da sempre discusso monumento alla Resistenza, è stata superata. Ci hanno pensato una pala, una sega da ferro, un flessibile e qualche altro attrezzo a risolvere la disputa trentacinquennale sull’opera che il maestro Luigi Poiaghi aveva realizzato davanti al municipio di Bellaria-Igea Marina. La destra al potere è andata alla radice del caso distruggendo il problema, ammesso che di problema si trattasse. L’ha fatto nottetempo, a dieci giorni dal 25 Aprile, con la rimozione della installazione. «Gabbia dei sassi» è il nome attribuito a furor di popolo ad un monumento molto particolare, per dimensioni e stile, che nel 1978 vinse un concorso nazionale. L’identità vera è «Passatopresente» e, nella catalogazione che ne ha dato l’Istituto per i Beni Culturali dell’Emilia-Romagna è costituita da «una figura simbolica» in pietra, cemento e ferro per esaltare i valori «della lotta e dei sacrifici sostenuti per l’Indipendenza e la Liberazione del nostro Paese». In pratica, sopra un basamento bianco di 50 metri quadrati vi era posta una imponente gabbia …

"García Márquez, siamo tutti a Macondo", di Gianni Riotta

Si è spento nella sua casa di Città del Messico, con la moglie Mercedes e i due figli Rodrigo e Gonzalo accanto. Il romanziere colombiano Gabriel García Márquez, Nobel nel 1982, era malato da tempo. Dodici anni dopo la dura battaglia con un tumore linfatico, il cancro aveva invaso il suo corpo e lo scorso 3 aprile era stato ricoverato per una polmonite e un’infezione, ma lunedì gli era stato permesso di ritornare alla sua abitazione. L’autore di Cent’anni di solitudine aveva 87 anni. Il presidente della Colombia Juan Manuel Santos ha subito espresso in un tweet «mille anni di solitudine e tristezza per la morte del più grande dei colombiani di tutti i tempi. Solidarietà e condoglianze a Gabo e alla famiglia». «Per sempre Gabriel», ha invece titolato a tutta pagina il quotidiano di Bogotá El Espectador. La centralinista all’ingresso del quotidiano il manifesto si rivolse perplessa al giovane reporter di passaggio in una mattinata chiara: «Ascolta, questo signore dice di essere Gabriel García Márquez». Il ragazzo, stupito, riconobbe l’autore del romanzo Cent’anni di …

"Emma Castelnuovo, la matematica che vedeva con la mente", di Michele Emmer

«Nel 1932 mi iscrivo all’Università, matematica e fisica: Ero sempre andata male in matematica: ho avuto per gli otto anni di scuola secondaria un insegnamento formale e ripetitivo. Mi iscrivo a matematica e fisica con l’idea di passare a fisica: dopo un anno, sono passata a matematica. Nel 1934-35 al 3° anno seguo il corso di Federico Enriques. Ho ancora i quaderni di appunti, anche se era impossibile prendere appunti. Il nostro era un continuo esercizio a vedere con la mente». Chi scrive queste parole ha avuto Enriques come zio, Guido Castelnuovo come padre, due dei più importanti matematici italiani del novecento, ben noti nel mondo. Emma Castelnuovo, che di lei si tratta, ha avuto una vita piena di interessi e di idée. Una vita attivissima che si è interrotta a 100 anni domenica 14 aprile. Raccontava Emma: «Nel 1938 fu proibito in Italia, ai bambini, ai ragazzi, ai giovani ebrei di frequentare le scuole pubbliche e l’università. E fu proibito, naturalmente, ai professori ebrei di insegnare. Nelle grandi città come Roma, Milano fu organizzata …

Piazza della Loggia “Ignorate le prove contro i neofascisti”, di Benedetta Tobagi

I neofascisti che si ritroveranno nuovamente imputati per la strage di piazza della Loggia del 28 maggio 1974 a Brescia, che uccise otto persone, erano stati assolti per un «ipergarantismo distorsivo». Lo spiega la Corte di Cassazione nelle 84 pagine di motivazioni in base alle quali sono stati annullati i proscioglimenti per Carlo Maria Maggi, ex Ordine Nuovo, e Maurizio Tramonte, che ora viene descritto come un «reticente» e «intraneo» della destra eversiva, più che come un presunto infiltrato dei servizi. I due tornano rinviati a giudizio come mandanti e forse anche come esecutori materiali della strage a dispetto della sentenza di assoluzione del 2012 che, secondo i giudici supremi, ha prodotto conclusioni «assolutamente illogiche ed apodittiche». Per la Cassazione sono stati «sviliti» i numerosi indizi raccolti contro di loro, come il sostegno allo stragismo eversivo di destra di cui Maggi, ad esempio, era un «propugnatore». Secondo i giudici, un dato di fatto importantissimo, che muta il quadro indiziario, è che «l’ordigno esplosivo sia stato confezionato utilizzando la gelignite di proprietà di Maggi e Digilio, …

"L'Ultima cena ricordo di Piero Terracina unico superstite della sua famiglia deportata ad Auschwitz" di Mariagrazia Gerina

“Fino a che non verrà meno il testimone, fino a quando non mi mancheranno le forze?”, recita la sua promessa ai ragazzi. Sono loro il viatico migliore per ogni nuovo viaggio. Anche adesso che ha ottantacinque anni compiuti, Piero Terracina se la ripete e parte. Così, appoggiandosi al bastone della memoria, stamattina sarà di nuovo ad Auschwitz-Birkenau. Ci è andato tante volte, in questi vent’anni, ha accompagnato migliaia di studenti. «Però stavolta temo l’emotività», confessa. Il viaggio, organizzato dalla Regione Lazio, cade in un giorno drammaticamente speciale. Il 7 aprile 1944, esattamente settanta anni fa, nella Roma occupata dai nazisti, Piero, che aveva appena 15 anni, insieme a tutta la sua famiglia, il padre Giovanni, la madre Lidia, la sorella Anna, i fratelli Cesare e Leo, lo zio Amedeo, il nonno Leone, furono venduti ai tedeschi, strappati dal loro nascondiglio, e avviati al massacro. Di otto che erano, soltanto lui è tornato. Quello fu il «16 ottobre» dei Terracina. E Piero, l’unico sopravvissuto, settanta anni dopo, è ancora qui per raccontarlo. Accetta di farlo con …

"Cinque anni dopo ritorno a L'Aquila", di Walter Siti

C’ero stato a L’Aquila nell’estate del 2011 e ne avevo ricavato un’immagine tragica: in piazza del Duomo a mezzogiorno stagnava un silenzio irreale, solo il clèng di un’imposta che periodicamente batteva sul ferro d’una grondaia — mancavano i cespugli spinosi rotolati dal vento e saremmo stati in pieno western, quando il cowboy entra nel villaggio abbandonato. L’erba cresceva alla base dei portici. M’ero fatto l’idea che il centro non sarebbe rinato mai più, anzi che non avesse più voglia di rinascere; un mio ex studente, alla frase conformista «un capoluogo di regione non può morire», aveva risposto «perché no? adesso c’è internet… ci servono case, centri commerciali, strade a scorrimento veloce, ma che ce ne facciamo di una città?». Un embrione di metropoli diffusa senza metropoli: questo sembravano, arrivandoci di sera, i diciannove insediamenti periferici che avevano sostituito il primitivo progetto dell’Aquila 2 — un mare di luci con un buco nero in mezzo. Tra le “casette di Berlusconi” gli anziani si lamentavano che non ci fosse tessuto sociale, rassegnati a non vedere mai più …