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Da Swg un contributo per leggere la società: risentimento e apprensione generata da un “futuro corto”

Sul nostro Paese, pur in relativa e lenta uscita dalla congiuntura economica, aleggia la “triade del risentimento”, ovvero disgusto, tristezza e rabbia. Sono impressionanti, ma anche decisamente illuminanti, i risultati dell’indagine condotta da Swg dal titolo “Il clima sociale che aleggia in Italia”. La società di ricerca ha tracciato il quadro di quelle che definisce “forme di apprensione generate dal futuro corto”. In sostanza, se le preoccupazioni strettamente economiche si stanno alleggerendo, se è in crescita il numero di coloro che si dicono relativamente sereni (ma c’è ancora un 40% che si definisce semplicemente “infelice”), si innestano sul clima sociale e personale una serie di emozioni viscerali negative che spiegano tanta parte di quegli “odi” che, ad esempio, vediamo sgorgare liberamente in Rete e che costituiscono il nutrimento di quella sorta di “sindrome di accerchiamento” che sembra paralizzare la vita e il pensiero di tanti. Swg dice: “frenano le speranze, lievitano i sentimenti rancorosi, radicalizzanti e intolleranti”. E il malcontento viene intercettato dalle forze politiche che vengono definite correntemente “antisistema”: il Movimento 5 stelle raccoglie i consensi di coloro che si dicono disgustati della politica e delle istituzioni e la Lega Nord attrae, invece, chi esprime essenzialmente rabbia. Mediamente più sereni sono, invece, coloro che risultano orientati verso i grandi partiti della sinistra e della destra, Pd e Forza Italia. Mentre – e questo è un dato oltremodo preoccupante – la tristezza sembra essere appannaggio dei Millenials, in antitesi secca con quella che ci rappresentiamo come l’età della speranza e dell’ottimismo, se non della vera e propria gioia, la gioventù appunto. Totale la sfiducia verso la classe dirigente vista in senso lato: dal politico al vescovo, passando per il giornalista e il magistrato. Si salvano solo i medici e chi fa volontariato. Il problema sembra essere tutto nel “futuro corto”: nutriamo pochissime speranze su cosa possa riservare il domani a noi e ai nostri figli. Sentiamo di non essere padroni del nostro destino e reagiamo con risentimento e paura. La sfida per la politica – ma anche per l’antipolitica che voglia farsi movimento proattivo – è quella di saper ricostruire un’idea di futuro per il singolo e la comunità.

A questo link il testo in pdf della ricerca
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Ong, la “fanghiglia” e i produttori di polemiche


Ogni anno faccio una donazione a Medici senza frontiere (insieme ad UNICEF e Banco alimentare). Sono, quindi, una delle migliaia di persone che permette all’associazione, in assoluta trasparenza finanziaria, di essere dove c’è bisogno di soccorso umanitario e sanitario. Aiutano le persone, soprattutto, “a casa loro” in Africa, in Asia e anche in Italia. E nel mare Mediterraneo. Le ragioni le ha spiegate, martedì 2 maggio, il presidente di MSF (link) in Italia audito in Commissione Difesa del Senato in merito alla recente polemica (al momento, di questo si tratta) che vorrebbe le ONG, tutte, colluse con i trafficanti di vite umane. Questa “fanghiglia” sarebbe stata impastata sulla.scorta di presunte informative dei Servizi segreti, dai quali sempre martedì è arrivata la smentita circa la loro esistenza. E questo è un dato del quale dovranno rendere conto i produttori di polemiche . Che comunque hanno raggiunto gli obiettivi proposti che mi pare, a bene vedere, siano estranei alla ricerca della verità, puntuale e circostanziata: discredito generale di associazioni che da sempre operano sulla base del rapporto fiduciario con i cittadini-donatori (e infatti le donazioni sono crollate), dando così anche un colpo al “sistema”, variamente inteso. In questa vicenda tutti perdiamo qualcosa; in particolare la speranza di rendere questo posto un posto migliore

Post-sisma, questi cinque anni visti “da fuori”


A volte può essere utile sapere come ci vedono da fuori, per inquadrare i nostri problemi, che comunque rimangono, in un più ampio spettro di esperienze e comparazioni. Si avvicina il quinto anniversario dal terribile sisma del 20 e 29 maggio 2012 che devastò le nostre terre, con un carico di morti e danni che ancora pesano sui nostri cuori e sulle nostre braccia. Il quotidiano La Stampa ha mandato un inviato a verificare il percorso della ricostruzione post-sisma: cinque anni sono un tempo ancora corto, ma comunque significativo in caso di calamità naturali. Il giornalista elenca i risultati non scontati dell’opera di ricostruzione: nessuno vive più nei Map, i moduli abitativi temporanei; non c’è più cassa integrazione da post-sisma; 9 famiglie su 10 sono rientrate nelle loro abitazioni; ricostruite il 60% delle abitazioni private. E’ evidente che dalla famiglia sulle dieci ancora fuori casa, o dal titolare e dai lavoratori dell’impresa o dell’ufficio a cui non sono ancora arrivati i fondi pubblici per ripartire (o che hanno chiuso dopo il sisma, per non riaprire più) arriverà un legittimo giudizio critico, in particolare sulla burocrazia e sugli intoppi che hanno impedito di procedere con celerità. Ed è altrettanto evidente che si poteva fare ancora meglio. Ma ciò non toglie che, al giro di boa dei primi 5 anni, molto è stato fatto (soprattutto se diamo uno sguardo ad altre realtà che hanno vissuto il nostro stesso dramma). Certamente tanto altro è ancora da fare, a partire dalla ricostruzione di tutto il patrimonio pubblico. Ma anche il post-terremoto che oggi tutti prendono come esempio, quello del Friuli, si è misurato su tempi almeno doppi rispetto ai primi cinque anni dalle scosse. Insomma, se la strada è ancora lunga, un pezzo lo abbiamo già compiuto grazie a tutti coloro – ad iniziare dai cittadini e dai volontari – che ai diversi livelli si sono impegnati e hanno lavorato con pervicacia e dedizione a sostegno e a servizio delle nostre comunità.

a questo link il testo dell’articolo uscito su La Stampa giovedì 4 maggio 2017
sisma

Nuovi docenti, sì ai 24 Cfu ma non a tutti i “costi”


Non c’è ancora il decreto attuativo che definisce ambiti e modalità che già il mercato si è attrezzato per offrire pacchetti formativi a pagamento per gli aspiranti docenti. Ed è per prevenire possibili abusi nei confronti dei laureati e laureandi che intendono intraprendere il nuovo percorso formativo per la professione docente nelle scuole medie e superiori che ho presentato una interrogazione alla ministra dell’Istruzione e dell’Università Valeria Fedeli. Il decreto approvato dal Consiglio dei ministri che istituisce il nuovo sistema è in corso di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale. Stabilisce che per poter accedere al nuovo concorso nazionale, tra gli altri requisiti, occorre aver acquisito anche almeno 24 crediti formativi universitari nelle discipline antropo-psico-pedagogiche e in quelle concernenti le metodologie e le tecnologie didattiche. Questi crediti hanno un valore “orientativo” per i futuri docenti, chiamati a misurarsi, prima del concorso, con le discipline delle scienze dell’educazione, in un utile esercizio di apprendimento e autovalutazione rispetto ai contenuti di base delle competenze professionali. Sebbene manchi ancora la norma che stabilirà i dettagli sui settori scientifico-disciplinari e quindi sugli insegnamenti a cui dovranno corrispondere i 24 crediti, le modalità organizzative del loro conseguimento all’interno del corso di studi oppure in forma aggiuntiva, nonché gli eventuali costi a carico degli interessati, sul web già fioriscono offerte di corsi a pagamento indirizzati a coloro che vogliono cimentarsi con il primo concorso nazionale che sarà bandito nel 2018. Il rischio è che si speculi sulle ovvie preoccupazioni e ansie di chi vorrebbe già cominciare a prepararsi al meglio per affrontare con successo il concorso. Temo che questa ansia legittima porti ad iscriversi a tali corsi, ma in assenza della normativa specifica essi non possono assicurare né che gli esami da sostenere siano quelli giusti né che i costi siano allineati con le future previsioni. Ho, quindi, deciso di sottoporre la questione all’attenzione della ministra, così che al più presto possa essere emanato il decreto attuativo, che dettaglierà le materie oggetto dei 24 crediti, le modalità organizzative ed i costi dei corsi, in modo da consentire a studenti e neo-laureati di poter contare su informazioni chiare e dettagliate su questo aspetto cruciale del nuovo sistema di formazione iniziale e di accesso al ruolo dei docenti della scuola secondaria. Ho altresì sollecitato la massima sorveglianza da parte degli uffici competenti affinché non siano diffuse sull’argomento informazioni parziali o tendenziose, con la possibilità che gli interessati siano indotti in errore e affrontino spese che possono rivelarsi inutili o eccessive. I 24 crediti sono necessari, ma non a tutti i “costi”.

Ecco il testo dell’interrogazione

Al Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca – Per sapere – premesso che:
– la legge 107/2015, all’articolo 1, comma 181, lettera b), delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per provvedere al riordino, adeguamento e semplificazione del sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria;

– il relativo decreto legislativo, approvato dal Consiglio dei ministri, è in corso di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale;

– tra i principi e criteri direttivi cui attenersi in questo decreto figura che tra i requisiti per l’accesso al concorso vi sia anche il possesso da parte dei candidati di almeno 24 CFU nelle discipline antropo-psico-pedagogiche e in quelle concernenti le metodologie e le tecnologie didattiche;

– il decreto ha stabilito, all’articolo 5, comma 4, che i settori scientifico-disciplinari, gli obiettivi formativi, le modalità organizzative relativi ai 24 crediti, nonché gli eventuali costi a carico degli interessati, siano individuati con lo stesso decreto ministeriale che determinerà l’ordinamento didattico del corso di specializzazione, di cui all’articolo 9 del medesimo decreto, riservato ai vincitori del concorso;

– il decreto legislativo ha altresì stabilito, all’articolo 17, comma 7, che il primo concorso nazionale sarà bandito nel 2018, quindi, tra gli studenti universitari o i neo-laureati che intendono dedicarsi all’insegnamento nella scuola secondaria senza provenire dalle file degli abilitati o dei supplenti con esperienza di insegnamento, è forte l’ansia di conoscere i dettagli sui settori scientifico-disciplinari dei 24 crediti e sulle modalità di conseguimento;

– in una tale situazione vi sono istituzioni formative di varia natura che stanno offrendo la possibilità di conseguire mediante corsi a pagamento tali crediti, sebbene manchi la normativa relativa e, in particolare, i settori scientifico-disciplinari e gli obiettivi formativi di riferimento ;

– a solo titolo esemplificativo, l’Università Telematica Pegaso, già nella home page www.unipegaso.it, propone il corso: “Professione docente, Proposta per acquisire 24 cfu” che permette, al costo di 120 euro per insegnamento, di seguirne in e-learning quattro, di 6 crediti ciascuno: “Didattica dell’inclusione, “Tecnologie dell’istruzione e dell’apprendimento”, “Psicologia generale e “Antropologia culturale;

– la società I.CO.TE.A C.A.T., con sedi a Milano e Ispica– che si dichiara autorizzata dal Ministero al rilascio della laurea in scienze della mediazione linguistica con decreto direttoriale 23/9/2013 – nella sua pagina di accesso propone l’iniziativa formativa denominata “Concorso docenti 2018: Come acquisire 24 CFU in discipline antropo-psico-pedagogiche e in metodologie” che consiste nell’erogazione di un “Master denominato Pedagogia e Scuola un percorso formativo che consente di ottenere la certificazione di 24 CFU nelle discipline antropo-psico-pedagogiche e nelle metodologie e tecnologie didattiche”, al costo di 649 euro;

per sapere:
– se il Ministro non ritenga opportuno emanare nel più breve tempo possibile il decreto per individuare i settori scientifico-disciplinari all’interno dei quali sono acquisiti i 24 crediti formativi universitari, i loro obiettivi formativi, le modalità organizzative del loro conseguimento in forma curricolare, aggiuntiva o extra-curricolare, e gli eventuali costi a carico degli interessati, anche in forma anticipata rispetto all’ordinamento didattico del corso di specializzazione, in modo da consentire a studenti e neo-laureati di poter contare su informazioni chiare e dettagliate su questo aspetto cruciale del nuovo sistema di formazione iniziale e di accesso al ruolo dei docenti della scuola secondaria;

– se, nelle more dell’emanazione di questo decreto, il Ministro non ritenga opportuno che sia prestata la massima sorveglianza da parte degli uffici competenti affinché non siano diffuse in merito informazioni parziali o tendenziose, con la possibilità che gli interessati siano indotti in errore e affrontino spese che possono rivelarsi inutili o eccessive.

Foto PD

Le primarie del Pd, ecco perché “La democrazia è qui”


Un commentatore francese, nei giorni precedenti al primo turno delle presidenziali in Francia, spiegava l’evoluzione recente del sistema dei partiti dicendo che si è passati dal sistema della domanda, quello in cui un partito provava a rispondere alle esigenze di un gruppo sociale, al sistema dell’offerta, quello in cui un singolo o un movimento spiega la sua proposta a chi voglia o possa accoglierla. Si tratta di una mutazione sostanziale dello scenario politico: il passaggio da un voto di appartenenza, spesso anche ideologico, a un voto deciso in base alla sensibilità del momento e alla risposta a bisogni sempre più specializzati se non “personali”. E’ un cambiamento generalizzato che non riguarda solo la Francia, un’evoluzione dai partiti novecenteschi al quadro politico attuale, reso più complicato dalla lunga crisi economica che semina incertezza in larghe fasce della popolazione. Quale allora il valore e il ruolo dei partiti, quelli ancora strutturati, con iscritti e simpatizzanti, con attività interna e iniziative di approfondimento e autofinanziamento come il Partito democratico? Rimanendo alla Francia, la questione arriverà ben presto al pettine. Se – come peraltro auspico fortemente – il 7 maggio, al secondo turno, vincerà Macron, ovvero un candidato senza un “vero” partito alle spalle, già a giugno, la sua “solitudine” sarà messa alla prova. Dopo le legislative, quando si dovrà comporre un Esecutivo, lo vedremo necessariamente al lavoro per costruire alleanze e lo dovrà fare appunto con i partiti, a testimonianza del fatto che seppure con codici, esigenze e forme nuove il modello non possa ancora dirsi superato. Anche guardando all’Italia, la questione è di stretta attualità. Domenica 30 aprile, si terranno le primarie per la scelta del segretario nazionale del Partito democratico. Soprattutto sui social, tra i leoni da tastiera, lo slogan scelto “La democrazia è qui” è fatto bersaglio di lazzi, ironie, fino a veri e propri insulti. Perché dà tanto fastidio che il Pd scelga il suo segretario con modalità aperte? I motivi sono diversi, ma di certo non sono estranei al mutamento in atto, anche in Italia, nella rappresentanza politica e segnatamente dei partiti. Eppure la voglia di confrontarsi, di discutere, proporre e criticare, ma comunque partecipare è ancora tanta nel nostro partito: è un patrimonio di valori e sentimenti che non possiamo disperdere. Ne ho avuto testimonianza diretta – se mai ce ne fosse stato ancora bisogno – nei tanti incontri congressuali, nelle sedi dei Circoli con gli eletti e fuori, sul territorio, con gli elettori. Non è un caso che il testo della mozione a sostegno della candidatura di Matteo Renzi a segretario nazionale del partito (http://www.matteorenzi.it/mozione/) si apra con una citazione di Gramsci (di cui ricorreva ieri l’80esimo anniversario della morte), sulla necessità per una formazione politica di saper conciliare le competenze degli intellettuali e il cuore del popolo, evitando di cadere nei due rischi opposti l’elitarismo e il populismo. «L’elemento popolare – scriveva nei Quaderni del carcere – “sente”, ma non sempre comprende o sa; l’elemento intellettuale “sa”, ma non sempre comprende e specialmente “sente”». Ecco che cosa deve intendere il Partito democratico quando parla di primato della politica: il primato di questa comprensione, che è insieme un sentire e un sapere, intellettuale e popolare. Ecco perché domenica 30 aprile andrò a votare alle Primarie del Pd e voterò Matteo Renzi. Ecco perché, pur tra manchevolezze e problemi, penso ancora che “La democrazia è qui”.

Pochi laureati, ma con lo “student act” recupereremo


Oggi il quotidiano Il Mattino titola “Lauree, l’Italia non può accontentarsi”. E’ vero non può accontentarsi dei risultati stentati conseguiti a livello europeo, anche se la situazione negli ultimi quindici anni è decisamente migliorata. Secondo i dati Eurostat, infatti, il nostro Paese è al penultimo posto (peggio di noi solo la Romania) quanto a numero di laureati. Il 26,2% è percentuale ancora molto lontana da quel 40% che è l’obiettivo di Europa 2020, ma decisamente migliore rispetto al risicato 13% del 2002. Sono dati che che preoccupano ma non stupiscono, poiché la situazione è largamente nota. E proprio per reagire a tale contesto, negli ultimi anni ho lavorato, insieme al mio partito, affinché fosse garantito l’accesso all’università anche agli studenti provenienti dalle fasce sociali economicamente più deboli. Il nostro Paese, il nostro sistema sociale ed economico hanno bisogno di più laureati e gli studi superiori non possono rimanere appannaggio delle famiglie più abbienti. Per affrontare questa situazione abbiamo messo risorse, innovazione e riformismo nel pacchetto studenti, il cosiddetto “student act”, approvato nella scorsa Legge di bilancio che ha introdotto, per la prima volta in Italia, una “no tax area” per gli studenti universitari meno abbienti e una fascia di calmieramento delle tasse universitarie. Sono norme totalmente nuove per il nostro Paese che, però – devo ammettere con amarezza – sono state accolte da un disinteresse piuttosto diffuso (anche dei mezzi di informazione, con il rischio che i ragazzi non vengano a sapere e non utilizzino le misure a loro favore), mentre scandalizzano ogni volta i dati sul numero di laureati italiani. Oltre alla paura per la malattia, sarebbe utile anche sostenere la cura.