I passi avanti per affrontare i problemi delle Province, compiuti in queste ore in Commissione Bilancio a Montecitorio, sono significativi. Grazie alle proposte avanzate dalle Province, tra cui quella di Modena, e agli emendamenti che abbiamo presentato, insieme al collega Baruffi, al decreto in corso di esame alla Camera, sono arrivate alcune risposte attese e importanti. Alle risorse aggiuntive già previste dal decreto vanno, infatti, ad assommarsi alcune poste rilevanti per capitoli cruciali. In particolare ulteriori 170 milioni per il finanziamento delle funzioni fondamentali nel biennio 2017-2018; ulteriori 70 milioni per l’anno in corso per la manutenzione straordinaria delle strade provinciali; ulteriori 15 milioni per l’edilizia scolastica degli istituti superiori. 255 milioni aggiuntivi, nel biennio in corso, che si aggiungono a quelli già stanziati dal decreto, pari a 290 milioni. Va inoltre ricordato che, a decorrere dal 2019, il contributo alla finanza pubblica degli enti provinciali scende strutturalmente di ulteriori 80 milioni. A questi risultati va infine aggiunto l’esonero dalle sanzioni precedentemente previste per tutte quelle Province (la gran parte delle stesse, in realtà), tra cui la nostra, che per l’anno 2016 non avevano rispettato gli obiettivi finanziari fissati dalla legge.
Si tratta in definitiva di alcuni passi vanti, dopo quelli già contenuti nel testo del decreto, conquistati grazie agli emendamenti che abbiamo presentato con altri colleghi in Commissione Bilancio. Vanno nella direzione indicata dal presidente Muzzarelli con una lettera aperta a noi rivolta alcune settimane fa, in cui si denunciava l’insostenibilità finanziaria e operativa per la Provincia di Modena a causa dei tagli imposti. Siamo però consapevoli, è bene dirlo con chiarezza, che la situazione resta molto critica. Abbiamo sollecitato il Governo a un ripensamento profondo dell’impianto del sistema istituzionale del territorio: il riordino avviato con la riforma Delrio, anche a causa della bocciatura del referendum costituzionale del 4 dicembre scorso, è rimasto sostanzialmente in mezzo al guado. Se le Province debbono continuare a vivere e ad occuparsi di alcune funzioni essenziali, come strade e scuole superiori, è indispensabile assicurare risorse congrue e ripristinarne una capacità programmatoria oggi gravemente compromessa”.
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Formazione musicale, statizzazione per gli ex pareggiati
La Commissione Bilancio della Camera ha approvato un mio emendamento al dl Manovra che prevede la graduale statizzazione degli ex istituti musicali pareggiati e delle Accademie di belle arti, provvedimento che, nel modenese, riguarda direttamente l’istituto Vecchi-Tonelli. Già nel 2013, quando si erano cominciate ad evidenziare le difficoltà economiche degli Enti locali a continuare a sostenere questi istituti, avevo presentato un disegno di legge per il loro graduale passaggio allo Stato che trova, di fatto, attuazione con l’emendamento approvato.
In Italia sono attivi ben 20 Istituti musicali pareggiati: rappresentano il 30 per cento dell’offerta accademica musicale e coinvolgono 700 docenti e circa 8.000 studenti. Una risorsa didattica fondamentale per la formazione artistica, la cui sostenibilità economica è oggi, in molti casi, compromessa. La situazione economico-finanziaria in cui versano soprattutto le Province sta compromettendo, infatti, il loro funzionamento e la loro offerta didattica e formativa, a detrimento della cultura e della diffusione delle competenze musicali. La possibilità, prevista nella proposta di legge del 2013, di procedere a una graduale statizzazione assume ora i caratteri dell’urgenza. Con questo emendamento, che raccoglie l’eredità di quel disegno di legge, si prevede, a decorrere già da quest’anno, un processo graduale di statizzazione degli Istituti superiori musicali non statali e delle Accademie di Belle Arti. Si tratta di un processo necessario per dare garanzie nel prosieguo dei progetti avviati e certezze di risorse per tutto il personale che, a vario titolo, lavora in questo prezioso ambito culturale e per gli studenti e le loro famiglie. La statizzazione avrà ricadute anche nel modenese, visto che tra gli istituti che hanno le caratteristiche per accedervi c’è anche l’istituto musicale Vecchi-Tonelli. Il percorso sarà disciplinato con decreti del ministro dell’Istruzione di concerto con il ministro dell’Economia e delle Finanze. Gli Enti locali continueranno ad assicurare l’uso gratuito degli spazi e degli immobili. Con appositi decreti saranno, inoltre, definiti i criteri per la determinazione delle relative dotazioni organiche nei limiti massimi del personale attualmente in servizio e quelli per il graduale inquadramento nei ruoli dello Stato del personale docente e non docente. Per consentire, in concreto, l’attuazione della statizzazione è stato previsto anche un apposito Fondo che sarà dotato di 7 milioni e mezzo di euro nel 2017, 17 milioni di euro nel 2018, 18 milioni e mezzo di euro nel 2019 e 20 milioni di euro a decorrere dal 2020. Le risorse previste potranno comunque già essere utilizzate per il funzionamento ordinario degli ex pareggiati e delle Accademie nell’attesa che i processi di statizzazione si vadano completando
L’Unità – No tax area per non salassare gli studenti
Oggi, sabato 27 maggio, L’Unità ha pubblicato un mio intervento dal titolo “No tax area per non salassare gli studenti”
Ve ne propongo il testo integrale:
Che l’Università per i figli sia un costo gravoso per le famiglie, soprattutto quelle meno abbienti, è purtroppo un dato di fatto nel nostro Paese. Il costo dell’affitto di una stanza, per coloro che si spostano dalla propria città d’origine, non è la sola spesa che devono sostenere: l’ostacolo primo, per tutti, sono le tasse scolastiche. E’ questa una delle ragioni per cui, in Italia, l’ascensore sociale sembra essersi fermato. In genere, può permettersi di proseguire gli studi chi proviene da una famiglia avvantaggiata, non solo sul piano economico, ma anche su quello della preparazione scolastica e culturale. Per tentare di arginare un fenomeno che ci ha fatti precipitare al fondo delle graduatorie Ocse sul numero di laureati, con grave pregiudizio per il futuro sviluppo dell’intero Paese e non solo delle vite dei singoli studenti, il Partito democratico sta cercando di incidere con misure innovative e specifiche che stanno entrando proprio ora a regime. La Legge di Stabilità 2017, per la prima volta in Italia, ha introdotto la no-tax area per gli studenti che provengono da famiglie con meno di 13mila euro annui di Isee. Significa che questi ragazzi, naturalmente se si mantengono attivi negli studi, non pagano le tasse scolastiche non solo durante gli anni della laurea triennale, ma anche qualora affrontino il biennio magistrale. Le difficoltà economiche, com’è noto, oggi però riguardano non solo le famiglie che erano tradizionalmente più in affanno, ma anche quel ceto medio impoverito dalla crisi economica globale che non riesce più a garantirsi il passato tenore di vita. Proprio come un aiuto nei loro confronti è stato introdotto anche il calmieramento delle tasse universitarie per chi ha un reddito Isee che va dai 13mila ai 30mila euro annui. E’ stato inoltre reso strutturale l’incremento, già anticipato nel 2016, di 50 milioni di euro del fondo statale che integra le risorse regionali per le borse di studio: 210 milioni di euro annui in totale che verranno utilizzati per tentare di superare la figura, tragicamente burocratica, dell’ “idoneo senza borsa”, ovvero dello studente che avrebbe le condizioni per poter accedere alle agevolazioni previste per il sostegno al diritto allo studio, ma che, non essendoci le risorse, di fatto, rimane senza il dovuto. Quelle citate sono misure concrete che alcuni Atenei, penso a quello di Bologna ad esempio, stanno già integrando con ulteriori provvedimenti interni. Il sostegno al diritto allo studio è non solo costituzionalmente sancito, ma rappresenta una delle leve che lo Stato può muovere per garantire nuove energie, e quindi nuove speranze, al sistema Paese.
per chi è interessato ecco il pdf della pagina del quotidiano:
L’Unità
Il balsamico trentino non è prodotto tradizionale
Anche il prodotto trentino vuole fregiarsi del titolo di “aceto balsamico”: è in corso, infatti, la 27esima revisione annuale dell’elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali e tra le imminenti novità ci sarebbe proprio l’introduzione dell’ “aceto balsamico trentino” che, nella denominazione, richiama i prodotti emiliani la cui qualità è tutelata, ovvero l’aceto balsamico tradizionale di Modena Dop, l’aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia Dop e l’aceto balsamico di Modena Igp. Contro questa evenienza si sono schierati i deputati emiliani del Pd, in particolare, per il modenese, io e il collega Davide Baruffi: abbiamo infatti firmato una interrogazione al ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali Maurizio Martina. Il Consorzio di tutela dell’aceto balsamico di Modena chiamato a esprimere le sue osservazioni nel corso dell’istruttoria ministeriale, ha contestato il fatto che le metodiche di produzione del cosiddetto aceto trentino rispecchino i requisiti previsti dallo specifico decreto ministeriale del 1999 che fa rientrare nell’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali solo quelli le cui metodiche siano praticate “in maniera omogenea e secondo regole tradizionali e protratte nel tempo, comunque per un periodo non inferiore ai venticinque anni”. Tra l’altro, sono ancora in corso alcune vertenze giudiziarie sul corretto uso dei termini “aceto balsamico” e “balsamico” per prodotti comparabili all’Igp modenese il cui esito potrebbe incidere direttamente sulla questione della corretta denominazione del prodotto trentino. La Corte di giustizia dell’Unione europea ha, infatti, stabilito che sia il giudice nazionale a decidere sull’uso legittimo di singoli elementi di una denominazione composta, sulla base anche della normativa comunitaria. In attesa delle decisioni di merito, riteniamo, quindi, opportuno che la denominazione “aceto balsamico trentino” non venga inserita nell’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali, aprendo il varco a possibili fraintendimenti nelle scelte del consumatore finale con i prodotti della tradizione emiliana così apprezzata nel mondo.
Come si gestiranno le attese di vincitori e ricorrenti?
Informazioni certe per evitare che le ipotesi più fantasiose trovate sul web tolgano il sonno ai vincitori (in particolare a quelli già assunti in ruolo) del concorso del 2016 per l’assunzione di docenti. È con questo spirito che ho presentato una interrogazione, sottoscritta dai colleghi del Gruppo Pd in Commissione Cultura, per avere risposte sulle prove suppletive che l’amministrazione ha dovuto organizzare – le prove scritte si sono concluse ieri – a seguito di numerose ordinanze cautelari, spesso collettive, del Consiglio di Stato (appellato dai ricorrenti dopo le ordinanze del Tar favorevoli all’Amministrazione). Sia chiaro: non vi è alcuna intenzione di interferire con le decisioni dei giudici, che devono ancora esprimersi nel merito, come non vi è alcuna volontà “ostativa” nei confronti dei ricorrenti. Ciò che si vuole conoscere, allo stato attuale, sono i criteri – eventualmente determinati dai ricorsi medesimi – adottati dagli Uffici scolastici regionali per l’ammissione alle prove suppletive e gli indirizzi che l’Amministrazione intenderà assumere nei confronti dei vincitori delle prove “ordinarie” (già assunti o in attesa di immissione in ruolo) nel caso in cui i ricorrenti, in presenza di una sentenza di merito favorevole, ottenessero un punteggio conclusivo delle prove concorsuali utile per posizionarsi nella parte alta della graduatoria, inserendosi – come dispone il TAR – a pettine tra i precedenti vincitori. E se i posti messi a bando non fossero sufficienti per soddisfare le attese degli uni e degli altri? È un’ipotesi che non può essere esclusa a priori e alla quale occorre prestare attenzione fin da ora, al fine di individuare per tempo le modalità che consentano di non vanificare le attese di tutti coloro i quali si sono sottoposti con esito favorevole a procedure concorsuali.
A seguire, il testo integrale dell’interrogazione
Interrogazione a risposta in commissione 5-11410 presentato da GHIZZONI Manuela testo di
Lunedì 22 maggio 2017, seduta n. 801
GHIZZONI , COSCIA , MALPEZZI , ROCCHI , SGAMBATO , CAROCCI , BLAZINA , IORI e MANZI .
— Al Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca . — Per sapere – premesso che:
il comma 109 dell’articolo 1 della legge n. 107 del 13 luglio 2015 ha previsto un nuovo concorso per titoli ed esami finalizzato al reclutamento del personale docente;
i posti messi a bando sono stati 63.712 con la previsione di assegnarli nel corso del triennio 2016/2018;
il comma 110 della suddetta legge stabilisce che, per ciascuna classe di concorso o tipologia di posto, possono accedere alle procedure concorsuali esclusivamente i candidati in possesso del relativo titolo di abilitazione all’insegnamento;
successivamente allo svolgimento delle prove scritte, sono pervenute numerose ordinanze cautelari — spesso collettive — del Consiglio di Stato, le quali, riformando le ordinanze del Tar rese in favore dell’amministrazione e appellate dai ricorrenti, hanno ordinato all’amministrazione di indire prove scritte suppletive cui ammettere i ricorrenti;
conseguentemente, con nota 835 del 9 gennaio 2017, il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca ha attivato le procedure necessarie per lo svolgimento delle prove suppletive del concorso ordinario rivolto ai docenti in possesso di ordinanze o sentenze favorevoli;
alcune di dette ordinanze hanno ammesso alle prove suppletive ricorrenti iscritti a classi di concorso per cui erano stati attivati, negli anni antecedenti l’indizione della procedura concorsuale, percorsi ordinari per il conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento, in particolare, le Scuole di specializzazione per l’insegnamento secondario e due cicli di Tirocinio formativo attivo: i ricorrenti, hanno quindi ottenuto una sentenza favorevole pur non dimostrando un effettivo «impedimento oggettivo» al conseguimento del pre-requisito normativamente richiesto (abilitazione);
pertanto, l’ammissione di questi ricorrenti parrebbe disattendere la giurisprudenza del giudice amministrativo di prime cure e non sembrerebbe tener conto neppure della disciplina transitoria contenuta nel decreto del Presidente della Repubblica 14 febbraio 2016, n. 19;
il Tar del Lazio impone l’inserimento «a pettine» dei ricorrenti che, a sentenza di merito eventualmente positiva, risultassero vincitori: questo orientamento sembrerebbe non tener conto del principio tempus regit actum in virtù del quale l’atto processuale è soggetto alla disciplina vigente al momento in cui viene compiuto, sebbene successiva all’introduzione del giudizio;
stante la situazione di incertezza creatasi, parrebbe urgente una pronunzia del Consiglio di Stato a camere congiunte per dare risposte definitive in ordine alle attese dei vincitori delle prove ordinarie e dei ricorrenti –:
se, rispetto alla partecipazione di candidati alle prove suppletive non abilitati per classi di concorso per le quali siano stati svolti percorsi abilitanti, l’amministrazione abbia potere di verifica dei requisiti;
quali iniziative intendano assumere nei confronti dei vincitori delle prove ordinarie (assunti o in attesa di immissione in ruolo) che si trovassero in numero eccedente rispetto ai posti messi a bando a seguito dell’inserimento dei vincitori delle prove suppletive, al fine di non vanificare le attese di tutti coloro i quali si sono sottoposti con esito favorevole a procedure concorsuali. (5-11410)
A 25 anni dalla strage di Capaci e da quella di via D’Amelio
Se pensiamo di vivere adesso momenti difficili è perché, troppo spesso, rimuoviamo, come Paese, le burrasche che già abbiamo attraversato. Il tempo (per fortuna) tende a sbiadire i ricordi e gli affanni, ma l’intervista a Marianna, la figlia dell’ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, ci riporta con drammatica intensità a quel 23 maggio del 1992 quando, sull’autostrada A29, all’altezza dello svincolo per Capaci, Cosa Nostra mise fine alla vita e all’opera di uno dei magistrati simbolo della lotta alla mafia Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo, e di tre agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Sono passati 25 anni, ma nel racconto di Marianna Scalfaro tutto è ancora nitido. Il disorientamento del Paese che già stava vedendo crollare il sistema politico fino ad allora conosciuto sotto i colpi dell’indagine di Mani Pulite; la sfida aperta di Cosa nostra allo Stato che sembrava, in quel frangente, impotente e prossimo alla sconfitta; le potenze straniere che mettevano in agenda la possibilità di un non meglio precisato golpe in Italia; le interminabili sedute a vuoto del Parlamento alla vana ricerca di un accordo sul nome del futuro presidente della Repubblica; il colpo di reni della politica che, nel giro di due giorni dopo la strage, si ritrovò nel nome di un politico e magistrato di alta dirittura morale (il Pertini cattolico lo definirà Sartori) a cui affidare la reazione necessaria in un frangente di gravissima tensione sociale; e, poi, dopo neanche due mesi, la strage di via D’Amelio con la morte di un altro simbolo del Pool antimafia Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta. Furono mesi difficilissimi, ma altri uomini seppero dimostrare coraggio e determinazione al servizio dello Stato – i primi nomi che vengono alla mente sono ancora quelli di magistrati come Gian Carlo Caselli, Ilda Bocassini e Antonino Caponnetto – e sapemmo rialzarci. Come ci ricorderà anni dopo un altro magistrato del Pool antimafia Giuseppe Ayala: “Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”.
Sisma, a cinque anni da quel terribile 20 maggio
Che la parete destra della vostra camera da letto possa ricordarvi il terremoto ogni volta che vi si posa lo sguardo potrebbe apparire strano, ma è quanto capita a me. Quel muro (peraltro sconosciuto perché il 19 maggio 2012 fu per me anche giorno di trasloco) che oscillava paurosamente nel cuore della notte del 20 maggio fu la prima cosa che individuai, mentre il frastuono assoluto che ci aveva strappato al sonno rendeva il tutto ancora più incomprensibile. Ciascuno di noi ha il “proprio ricordo” di quei lunghi secondi di paura pura: non si appannano con il passare del tempo. A 5 anni di distanza hanno la stessa cristallina limpidezza del loro formarsi. Hanno perso semmai la coltre di paura (beh, non proprio tutta) che li ha ammantati a lungo, levata dalla voglia di andare avanti, a riprenderci il futuro. 5 anni sono un periodo adeguato per fare un bilancio di quanto fatto dal sisma: le regioni e gli altri enti territoriali coinvolti stanno mettendo in fila quanto fatto e di certo si può dire che non siamo stati con le mani in mano, pur nella consapevolezza che ancora tanto resta da fare (qui il link alla pagina della Regione Emilia-Romagnahttp://www.regione.emilia-romagna.it/notizie/primo-piano/sisma-5-anni-dopo-9-famiglie-su-10-rientrate-nelle-loro-case-nessuno-piu-nei-prefabbricati ). Personalmente, potrei fare un bilancio degli esiti dell’impegno che dal maggio 2012 ha assorbito molta della mia attività parlamentare (anche al decreto legge ora all’esame della Camera abbiamo presentato cinque emendamenti che riguardano le necessità del sisma dell’Emilia). Ma questo post ha un altro obiettivo: vuole solo ricordare quel momento, che ha cambiato la vita di tutti noi. E dedicarlo a tutte le comunità del Centro Italia che hanno poi vissuto la stessa tragedia, con esiti ancora più devastanti, accompagnandolo con un invito a “tenere a botta”. Noi siamo con voi.