Il viceministro dello Sviluppo economico Teresa Bellanova ha risposto all’interrogazione, che ho presentato insieme ai colleghi modenesi del Pd Giuditta Pini e Matteo Richetti, sui rilievi autorizzati dalla Regione per la ricerca di idrocarburi nell’area “Bugia”, nella zona del distretto ceramico, e nell’area “Fantozza”, al confine tra il carpigiano e il reggiano, operazioni contro le quali si sono schierati gli Enti locali modenesi e reggiani che si sono fatti portavoce delle preoccupazioni dei cittadini e delle associazioni del territorio. Su questi temi, anche il Ministero dello Sviluppo economico ha convenuto con la Regione sulla necessità di una sospensione del decorso temporale dei permessi rilasciati alla società Aleanna Resources, titolare delle autorizzazioni sia per l’area “Bugia” che per l’area “Fantozza”, in modo che, già dalle prossime settimane, si possano svolgere ulteriori incontri e confronti. Come parlamentari Pd crediamo sia una decisione opportuna perché i sindaci delle due province interessate dalla ricerca di idrocarburi si sono dichiarati contrari a qualsiasi intervento che possa avere impatto negativo sull’ambiente. La Regione Emilia-Romagna, alla fine di maggio, proprio in risposta alle richieste fatte dagli Enti locali, aveva già proposto la sospensione per consentire alla società di avviare, come spiegato dal Mise, “un adeguato programma di comunicazione e confronto con la cittadinanza in merito alle attività programmate e alle tutele previste nel corso delle medesime attività”. A quel punto, ai primi di giugno, anche la società ha presentato al Mise istanza di sospensione, richiesta a cui il Ministero ha assentito a fine giugno. Si dovranno svolgere, a breve, quindi, incontri nei territori tra le amministrazioni competenti, la società, le istituzioni locali e la cittadinanza finalizzati, come chiarito dal Ministero nella risposta alla nostra interrogazione, “alla ricerca di possibili soluzioni condivise sul tema”. I sindaci avevano espresso preoccupazioni per la presenza, nei territori interessati dalle prospezioni, di un delicato equilibrio tra aree protette, città d’arte ed agricoltura di qualità, a cui si aggiunge, per la zona del carpigiano, l’essere inserita nel cratere sismico del terremoto del 2012. Un surplus di attenzione e approfondimento è, quindi, non solo opportuno, ma necessario, tenuto conto anche del fatto che l’Ufficio Mise di Bologna non ha autorizzato alcun lavoro in campo in quanto, per entrambe le aree, aveva chiesto una documentazione integrativa a cui la società Aleanna non ha ancora dato risposta.
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Serve ancora l’antifascismo? Riflessioni su nuovi e non sanzionati rigurgiti autoritari
I saluti romani al cimitero monumentale di Milano, la lista di chiara ispirazione fascista (con tanto di consiglieri comunali eletti) a Sermide-Felonica, il lido fascista a Chioggia, ma anche la pioggia di insulti via social in calce all’annuncio della pastasciutta antifascista del 25 luglio a Castelfranco Emilia. Non sono episodi isolati, ma il riflesso di un quadro sociale complessivo che sembra aver sdoganato idee e rimandi a un’ideologia che pensavamo condannata dalla nostra storia recente. Piero Ignazi, oggi, su Repubblica racconta di una crescente fascinazione verso “una figura di autorità che metta a tacere tutti”, figlia della incertezza del quadro sociale ed economico, ma anche, aggiungo io, della smemoratezza di un’Italia che sembra incapace di ricordare correttamente il proprio passato. Oggi approda in Aula alla Camera la proposta di legge, a prima firma del collega Fiano e da me sottoscritta, che punta a inserire nel codice penale il reato di propaganda del regime fascista e nazifascista. Com’è noto, per ora l’apologia di reato è prevista solo dalla Legge Scelba del ’52, peraltro molto spesso disattesa. Con la proposta Fiano il reato è punibile con la reclusione da 6 mesi a 2 anni, con l’aggravante per il web. Secondo una recente indagine dell’Anpi, infatti, sarebbero ben 500 le pagine Fb che, nel nostro Paese, fanno esplicito riferimento al fascismo e diffondono contenuti razzisti e autoritari. Da una parte, comportamenti e oggettistica ispirati al ventennio della dittatura fascisti vengono percepiti come poco più che folkloristici, dall’altra fenomeni internazionali, come la globalizzazione delle merci e dell’economia e fenomeni migratori dall’Africa e dal Medio Oriente, vengono vissuti come invasioni che mettono in pericolo l’identità nazionale. Tutto questo contribuisce a creare un clima potenzialmente pericoloso, nostalgico di un’epoca non più riconosciuta, in larghe fasce dell’opinione pubblica, per quello che è stata tirannica, anti-democratica ed oppressiva. Non a caso i 5 stelle in Commissione hanno definito paradossalmente la proposta Fiano come liberticida, e dalla destra si urla al reato d’opinione. La nostra Repubblica è nata dalle ceneri della dittatura e oggi, più che mai, occorre ribadire i valori di libertà, democrazia e uguaglianza sanciti dalla nostra Costituzione. Di tutto questo parleremo, sabato prossimo, a Carpi, alla Festa de l’Unità tra gli alberi, nel corso del dibattito dal titolo “L’antifascimo serve ancora?”. In quell’occasione io, come auspico tanti altri, risponderò convintamente “Sì”, anche per ricordare il sacrificio dei tanti giovani che hanno lottato per garantirci, di nuovo, diritto di parola e di dissenso.
Pur tra polemiche e distinguo, il reato di tortura è finalmente legge anche in Italia
Il testo di una legge è sempre il frutto di un compromesso tra le diverse posizioni espresse dal Parlamento, che poi riflettono le tante posizioni presenti nella società. Anche la legge approvata ieri dalla Camera in via definitiva, che introduce, per la prima volta, nel nostro ordinamento il reato di tortura, è frutto di una mediazione fra posizioni diverse. Perché l’Italia ha dovuto aspettare quasi 30 anni dalla ratifica della Convenzione Onu per legiferare sull’argomento? Per diverse ragioni. Tra queste, ad esempio, il fatto che non pochi, nel nostro Paese, ritengano che introdurre nell’ordinamento il reato di tortura significhi legare le mani alle forze dell’ordine quando devono effettuare arresti, procedere contro i violenti o con indagini particolarmente insidiose. È una valutazione grossolana ed erronea: sono convinta che chi indossa una divisa abbia piena coscienza del fatto che questo non consegni loro il tesserino dell’impunità, così come ben sappiamo che quello di cui si occupa la nuova legge sono casi marginali nel grande lavoro quotidiano delle forze dell’ordine. Ma, come ricordato anche ieri durante la discussione in Aula, casi di eccessi e di abusi ci sono stati e devono essere rigorosamente puniti. L’altro fronte della critica al provvedimento appena varato parte da presupposti opposti: la formulazione scelta sarebbe troppo generica e richiederebbe da parte della vittima un grado di attivazione tale da escludere dal novero dei reati concretamente punibili alcuni dei casi di cronaca più eclatanti di questi ultimi anni, a partire dalle acclarate torture alla Caserma Diaz durante il famigerato G8 di Genova. Nella lettera al quotidiano Repubblica, il relatore della legge, l’avvocato Franco Vazio, spiega perché si tratta di un timore infondato. Spiega Vazio: “Il reato sussiste quando, di fronte ad atti di “violenze” o “minacce gravi” o “crudeltà”, le condotte siano plurime, oppure, anche nel caso di un solo atto di violenza, minaccia grave o crudeltà, quando esso comporti un “trattamento inumano e degradante per la dignità umana”. La norma precisa che il fatto deve essere commesso mediante più condotte, “ovvero” deve comportare un trattamento inumano e degradante per la dignità umana; pertanto è evidente che la seconda alternativa si riferisca proprio al caso in cui la condotta sia unica, altrimenti è chiaro che sarebbe stato inutile prevedere una ipotesi alternativa rispetto a quella della pluralità delle condotte. Alla luce di ciò, poiché gli accadimenti della Diaz di Genova sono stati definiti dalla Corte Europea come “… torture e trattamenti inumani e degradanti…” essi sarebbero certamente coperti dal reato così come ora formulato, anche se consistiti in una sola azione di violenza, minaccia o crudeltà”.
Per chi volesse ulteriori informazioni allego il dossier sulla nuova legge approntato dall’Ufficio legale della Camera. 215_ReatoTortura
Università, venerdì sarò a Roma con i Gd per partecipare a “Facciamolo sapere”
“Facciamolo Sapere”: è questo il titolo scelto dai Giovani democratici per l’assemblea nazionale dedicata al sistema universitario e, più in generale, all’accesso per i giovani al mondo dei Saperi. Si tratta di una giornata di confronto e approfondimento che si terrà a Roma, venerdì 7 luglio, presso la Sala conferenze della Lega Autonomie. La mattinata sarà dedicata agli interventi di coloro che, negli ultimi mesi, hanno lavorato a proposte innovative per il settore, mentre il pomeriggio sarà riservato all’assemblea vera e propria e ai lavori di gruppo. Tra i relatori invitati, il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta, autore della proposta di riconoscimento ai fini fiscali del periodo contributivo legato agli studi universitari per i nati tra il 1980 e il 2000, e io, in quanto promotrice del pacchetto di misure a sostegno del diritto allo studio universitario confluito nell’ultima Legge di stabilità. Mi fa piacere che i Giovani democratici abbiamo apprezzato il valore di misure come la no-tax area per i redditi fino a 13mila euro e il calmieramento delle tasse universitarie per le famiglie con un reddito Isee fino a 30mila euro. E’ un grande cambiamento che ha messo in moto un circolo virtuoso. Alcune grandi università del Nord, infatti, come Bologna e Pavia, hanno già adottato le nuove norme migliorandole e riparametrandole alla propria popolazione studentesca. Il sostegno allo studio universitario anche per gli studenti provenienti dalle fasce sociali meno abbienti è una leva importante per far tornare a crescere il nostro Paese.
Donne: tra quelle che fanno il sindaco e quelle alle quali si chiede di reggere l’ombrello
Modelli che si perpetuano, improvvisi balzi in avanti e qualche retromarcia. Il mondo delle donne visto dalla cronaca di questi giorni ci consegna un bilancio in chiaroscuro. L’ultima tornata amministrativa registra un arretramento nel numero di donne elette sindaco: 101 su 836 Comuni (il 12%, che scende al 9% se si considera solo i capoluoghi di provincia). Nell’editoria, d’altro canto, si assiste ad un vero e proprio boom di libri per bambini dedicati alle figure delle “grandi” donne, quelle che hanno messo il proprio impegno per sconfiggere gli stereotipi, far valere i propri talenti e la propria forza di volontà. Da Ipazia a Samantha Cristoforetti, passando per Rosa Parks, donne di tutto il mondo, modelli positivi da proporre alle bambine e ai bambini per provare a costruire un futuro che riconosca finalmente pari dignità ad entrambi i generi. E, poi, questa storia delle donne “reggi-ombrello” a Sulmona. Una opinabile scelta degli organizzatori (poco previdenti? molto maschilisti? inutilmente servili verso gli importanti relatori presenti?), ma secondo il famoso detto che “un’immagine vale più di cento parole”, questa immagine ci consegna un doppio messaggio. Tutti i relatori, quelli che hanno il compito di spiegare e approfondire, sono uomini. Tutti i portatori di ombrello, quelli a cui è affidato il compito di “cura”, sono donne. Non sappiamo se alcuni uomini, o alcune donne si siano sentiti in imbarazzo dalla scelta degli organizzatori, sicuramente qualcuno (sia uomini che donne) avrebbe volentieri preferito prendersi qualche goccia di pioggia, se avesse potuto vedere dall’esterno quale quadro d’insieme andavano rappresentando. Preferisco comunque pensare che il nostro Paese stia crescendo giovanissime generazioni a cui finalmente vengono proposti modelli di comportamento non stereotipati, ma è indubbio che la realtà odierna è molto più vicina alla foto di Sulmona: tante donne che portano un ombrello e troppo poche che fanno il sindaco.
Stalking, un po’ di chiarezza sulle nuove norme e sulla loro applicazione concreta
E’ un reato odioso, che colpisce innanzitutto le donne, e che, purtroppo non in pochi casi, travalica nell’aggressione e nel femminicidio. Mi riferisco allo stalking, in merito al quale sta crescendo l’allarme, io penso solo in parte fondato, per la presunta depenalizzazione del reato, determinata dalla recente revisione del processo penale. Provo a spiegare il merito del dibattito e le sue ricadute normative: non sono una giurista, ma ho consultato anche tecnici del diritto, oltre che essermi confrontata con i colleghi che stanno seguendo il tema nei suoi vari aspetti. E proprio per questo, tutti i contributi tesi a chiarire o a evidenziare problemi saranno ben accetti poiché stiamo parlando di questione “sensibile”, che merita la massima attenzione (ed eventualmente una modifica ove gli elementi di criticità, o anche solo quelli di opportunità più complessiva, dovessero prevalere). L’invito è, comunque, di parlarne, di approfondire, di capire meglio anche le modalità con cui le norme, anche buone norme, vengono poi applicate nel concreto.
Procedo per punti, per provare a rendere massima la chiarezza espositiva.
- Con la recente riforma, nel codice penale è stata introdotta la fattispecie dell’estinzione del reato per condotte riparatorie: in sostanza, si prevede l’estinzione del reato nel caso di un imputato che ripara il danno cagionato (mediante restituzione o risarcimento) prima dell’apertura del dibattimento nel processo di primo grado e che ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato.
- L’estinzione (non la depenalizzazione) del reato per condotte riparatorie si applica solo nelle situazioni in cui è prevista la procedibilità sulla base di querela soggetta a remissione: in altre parole, solo quando il querelante può ritirare la denuncia.
- Per il reato di stalking si procede sulla base della querela della vittima ma è previsto che essa possa essere rimettibile (cioè ritirata) solo davanti ad un giudice in sede processuale. Questa è una precisa forma di tutela della vittima (opinione non condivisa da coloro i quali ritengono che questa procedura limiti l’autodeterminazione della donna: opinione che non condivido) poichè sarà quindi un giudice a verificare se la querelante vuole ritirare la denuncia perché impaurita o soggetta a indebite pressioni e non, invece, perché i motivi iniziali sono andati, per ragioni diverse, scemando. Le recenti polemiche si sono innestate proprio su questo aspetto: essendo lo stalking un reato a procedibilità per querela soggetta a remissione, molti si sono preoccupati del fatto che le vittime potrebbero vedere estinguere il reato del quale hanno sofferto (il passato è d’obbligo poiché, come detto, l’annullamento può essere contemplato a fronte dell’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato) mediante un semplice risarcimento. Per fugare queste preoccupazioni occorre proseguire l’approfondimento normativo, oltre al fatto che il risarcimento in un caso di stalking è molto difficile da quantificare, e già questo potrebbe costituire un deterrente all’abuso della fattispecie. Ma di maggiore importanza è il fatto che la querela per il reato di stalking è comunque irrevocabile(e quindi non può rientrare nel caso dell’estinzione del reato) se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate(e si fa un po’ fatica a immaginare un caso di stalking che non derivi dalla persistenza della molestia) secondo le previsioni dell’articolo 612 del codice penale, cioè se “la minaccia è grave, o è fatta in uno dei modi indicati nell’articolo 339“, vale a dire commessa con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbolico, o valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte.
- Come anticipato, molti commenti si concentrano sul secondo aspetto e cioè che solo i casi di stalking agiti con la violenza (mediante, ad esempio, un’arma o con il volto travisato) sarebbero esclusi dall’estinzione della pena, mentre sorvolano sulla prima parte dell’articolo 612 e cioè sull’esercizio della minaccia “grave”, che pertanto configura il reato con querela irrevocabile.
- Il significato di minacce reiterate e gravi lo ha spiegato la V^ Sezione penale della Corte Suprema di Cassazione (con la sentenza n. 2299, del 20 gennaio 2016) a partire dal reato stesso che, lo ricordo, si qualifica “con condotte reiterate, minaccia o molesta in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”. In questa sentenza la Suprema Corte ha quindi stabilito che i contenuti della gravità delle minacce profferite “sono adeguatamente sottolineati nell’imputazione con riguardo sia al tenore letterale delle espressioni intimidatorie” (ha più volte minacciato la parte offesa di volerla uccidere in qualunque luogo essa si trovasse) che “al contesto in cui le frasi venivano formulate” (sia presso l’abitazione che sul luogo di lavoro), tanto da incidere significativamente sulla libertà morale della vittima. La Corte, in modo ancora più esplicito, ha stabilito che il giudice nel valutare la irrevocabilità della querela deve basarsi sulla gravità delle minacce e non solo sull’uso di armi o di travisamenti… In altre parole, se per il comportamento dello stalker la vittima vive in uno stato di ansia e di insicurezza per la propria incolumità, è costretta a cambiare abitudini di vita per non sentirsi in pericolo, se insomma la minaccia è vissuta e percepita come tale anche se non c’è uso delle armi e violenza fisica, allora si è di fronte a una minaccia grave, che comporta la irrevocabilità della querela ed esclude per ciò stesso l’applicabilità dell’estinzione del reato per condotte riparatorie.
- Sulla base di tutte queste premesse, penso si possa concludere che, almeno stando al dettato della norma, il reato possa estinguersi solo per i casi denunciati di stalking non grave e non reiterato (è il magistrato che lo deve valutare), qualora, naturalmente, il risarcimento sia ritenuto dal giudice adeguato e congruo. Concretamente, quanti e quali sono questi casi? Ecco un tema da approfondire, insieme alle vittime, agli operatori della giustizia, alle associazioni.
- Una questione ulteriore, non direttamente connessa al nuovo articolo del Codice penale, ma comunque molto importante quando si parla dell’applicazione pratica della normativa a difesa della vittima, è quella della preparazione adeguata di tutti gli operatori della filiera chiamati a intervenire dal momento della denuncia. Casi di cronaca, come quello recente della oncologa di Teramo, ci hanno testimoniato come, anche a seguito di denunce reiterate, i fatti possano essere sottovalutati o comunque non adeguatamente considerati nella loro potenziale pericolosità.
In conclusione – e nonostante quanto accaduto a Teramo – la cosa più importante è che le donne facciano denuncia, poiché nella stragrande maggioranza dei casi essa conduce ad una querela non revocabile. Lo so che questi fatti di cronaca hanno, purtroppo, dimostrato la denuncia non sempre è sufficiente a salvare la vita della donna perseguitata, ma le donne devono avere il coraggio e la determinazione di denunciare sempre, senza esitazioni, senza tentennamenti, e senza vergogne. Ne va della loro serenità, se non addirittura della loro vita.
ps: il testo della riforma del codice penale e del codice di procedura penale è stato presentato dal Governo a fine dicembre 2014 ed è stato apporvato in prima lettura alla Camera nel settembre 2015, dove è ritornato un anno e mezzo dopo, poiché tanto è durato l’esame al Senato. Credo sia legittimo chiedersi perché in tutto questo tempo non sia stato evidenziato il problema, dato che nel dibattito pubblico non sono certo mancate le sollecitazioni e i rilievi. Ora a pubblicazione in Gazzetta Ufficiale avvenuta sono partite le critiche, ma in precedenza, nessuno (politici, avvocati, rappresentanti delle Camere penali) aveva mai sollevato il problema. Lo sottolineo a monito di tutti noi! Ogni norma è rivedibile, ma sarebbe più opportuno intervenire in sede di esame delle Camere e non a emanazione avvenuta.
Formazione artistica, pari dignità dei percorsi Afam e di quelli universitari
Mercoledì 28 giugno, il quotidiano Il Manifesto ha pubblicato un intervento di Vincenzo Vita che porta di nuovo all’attenzione dell’opinione pubblica un tema da troppo tempo trascurato, quello dell’equipollenza dei corsi dell’Alta formazione artistica e musicale (Conservatori, Ex Istituti Musicali pareggiati come il nostro Vecchi-Tonelli, Accademie di belle arti, Istituti di industrie grafiche nonché l’accademia di danza e quella di arte drammatica) con quelli universitari: la finalità diretta è l’accesso ai concorsi pubblici ma è innegabile che si tratta di intervento teso a certificate la “pari dignità” dei percorsi formativi del settore AFAM a quelli universitari. La norma c’è, risale addirittura alla legge istitutiva del settore AFAM, cioè al 1999, ma necessitava di un decreto attuativo mai emanato: pertanto nel 2012 è intervenuto il Parlamento con l’approvazione di una apposita norma, ma che ha avuto esiti effettivi solo per quanto riguarda l’equipollenza dei diplomi di I livello con le lauree (entrambi triennali). Purtroppo così non è per i diplomi accademici di II livello (da rendere equipollenti alle lauree magistrali) perché sono attivi in forma meramente sperimentale non essendo ancora stato emanato il decreto attuativo, previsto fin dal 2005, che li renda ordinamentali. Insomma una storia “tipicamente italiana” e sulla quale mi sono impegnata (e ringrazio Vita di aver voluto citare la mia risoluzione presentata in Commissione Cultura) con l’obiettivo di trovare una soluzione definitiva entro la fine di questa Legislatura. Devo dare atto alla ministra Fedeli di aver saputo affrontare con determinazione diverse questioni (penso alle otto deleghe della legge 107 del 2015 così come al contratto sulla mobilità degli insegnanti). Anche sulla base di questo suo atteggiamento risoluto, io penso che, dopo anni di attesa, ci sia la concreta speranza che la questione possa essere risolta.
Per chi è interessato allego l’intervento di Vincenzo Vita su Il Manifesto Il Manifesto
mentre qui trovate il testo della risoluzione http://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=7/01282&ramo=CAMERA&leg=17