"Così i bambini del terremoto disegnavano la città perfetta", di Jenner Meletti
C’è un caldo che spacca, dentro le tende arriva a 50 gradi. C’è la paura delle scosse che non finiscono mai. La più pesante è arrivata proprio a mezzanotte, in un’ora vigliacca, perché è in quel momento che decidi se dormire in casa o in macchina e la botta del 3,2 ti toglie ogni coraggio. Ma oggi, a San Carlo — il paese inghiottito dal fango arrivato dal sottosuolo — si piange per una scuola, l’elementare “padre Accorsi”. Ci sono stati tutti in questo edificio rosso costruito nel 1935 e ricostruito nel 1949, dopo i bombardamenti della guerra. In piazza, a guardare i soldati del Genio Ferrovieri di Bologna incaricati di togliere libri e banchi e zaini e gli attrezzi della palestra ci sono i nonni, i loro figli e i nipoti, che chiedono spaventati: «Ma davvero la mia scuola la buttano giù?». Due giorni ancora, il tempo del «recupero oggetti validi», poi le ruspe abbatteranno tutto. È passato un mese, dal terremoto, e il “funerale” della scuola elementare racconta il dolore di un terremoto …