Licenziare è più facile, la giusta causa non serve più. Il Senato ha approvato definitivamente una norma che, zitta zitta, aggira l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e lascia ad un arbitro la decisione di decidere se un licenziamento sia giusto o no. L’arbitro decide «secondo equità ».
L’attacco all’articolo 18 questa volta è avvenuto in sordina, mentre le proteste, l’attenzione e le energie vengono spese per salvare posti del lavoro a rischio per la crisi. In pratica già nel contratto di assunzione e in deroga ai contratti collettivi, si stabilisce che in caso di contrasto, il datore di lavoro e il lavoratore si affidano ad un arbitrato. «È una scelta » dice il ministro Sacconi. Ma non occorre essere dei geni per capire che un disoccupato che voglia lavorare mette la firma e accetta l’arbitrato. L’opposizione e la Cgil parlano di controriforma. Guglielmo Epifani ha annunciato di essere pronto a rivolgersi alla Corte costituzionale, «così si rende il lavoratore più debole ». Era stata proprio al Cgil, mesi fa a dare l’allarme su quanto stava accadendo. Della settimana scorsa invece l’appello dei giuslavoristi, tra questi Tiziano Treu, senatore Pd: «L’articolo 18 potrebbe diventare un optional», denuncia chiedendo al ministro Sacconi, insieme al collega Pietro Ichino, di non usare impropriamente il nome di Marco Biagi, autore della norma a detta del titolare del Welfare. «L’articolo 31 del disegno di legge delega – spiega invece Treu – prevede due possibilità per ricorrere all’arbitrato. La prima attraverso contratti collettivi: le parti possono stabilire i limiti in cui l’arbitrato può essere esercitato. Poi, però, se le parti falliscono, può intervenire il ministro per decreto. C’è poi una seconda possibilità consentita dalla norma volute dal governo e dalla sua maggioranza. Ecioè che il singolo lavoratore accetti un accordo secondo cui il proprio contratto di assunzione preveda il ricorso all’arbitrato per risolvere le controversie». Questo nel disegno originale non c’era. Maurizio Sacconi è dunque riuscito laddove aveva fallito nel 2002, allora era sottosegretario, ma regista assoluto delle politiche del lavoro tento di abrogare l’articolo 18. A fermarlo furono 3 milioni di persone che il 23 marzo seguirono in piazza Sergio Cofferati in difesa dell’articolo 18, appunto, e contro il terrorismo. Quattro giorni prima, infatti, Marco Biagi era stato assassinato dalle Br. La Cgil quella battaglia la portò a termine senza Cisl e Uil che avendo firmato il Patto per l’Italia avevano annacquato il contrasto alle politiche del governo. I sindacati sono divisi anche stavolta. I leader di Cisl e Uil, pur contrariati sembrano criticare più il metodo che il merito: «La politica regoli se stessa», dice Raffaele Bonanni, «i temi sociali vanno affidati alle parti, altrimenti sono palloni che si sgonfiano». Sulla stessa linea è Luigi Angeletti, «il tema deve essere oggetto di confronto tra le parti».
L’Unità 04.03.10
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Il Senato dice sì al ddl delle polemiche. Pd e sindacati: “Aggirato l’articolo 18”
Via libera all’articolo 31 sul lavoro che contiene norme per risolvere le controversie nelle aziende. Ira delle sigle, Sacconi cita Marco Biagi.
A otto anni dal duro scontro tra la Cgil e il governo Berlusconi sull’art.18, si riaccende la polemica sulla norma dello Statuto dei Lavoratori che prevede il reintegro del lavoratore licenziato senza giusta causa nelle aziende con più di 15 dipendenti. A farla scoppiare la parte sull’arbitrato del disegno di legge delega sul lavoro, che il senato ha oggi approvato in via definitiva, trasformandola in norma di legge. L’opposizione e la Cgil non hanno dubbi: è un attacco all’art.18; tesi respinta con forza dal ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, convinto si tratti dell’ «ennesima prova della malafede di chi vuole sempre accendere la tensione sociale». E una polemica – a suo parere – dal sapore elettoralistico: «in due anni di iter parlamentare nessuno ha mai gridato allo scandalo. Oggi, in vista delle elezioni, si grida alla lesa maestà», dice Sacconi che aggiunge: «Questo testo è il frutto di un intenso lavoro parlamentare e ha un origine: l’autore fu Marco Biagi», il giuslavorista ucciso il 19 marzo del 2002 dalle Br. Pochi giorni dopo dello stesso anno (il 23 marzo) la Cgil guidata da Sergio Cofferati riuscì a portare in piazza, a Roma, 3 milioni di persone a difesa dell’art.18. Oggi il leader Cgil Guglielmo Epifani parla di ’controriformà e si dice pronto a presentare ricorso alla Corte Costituzionale.
Insomma, le premesse per una nuova battaglia sembrano esserci tutte. Contrariati appaiono anche Cisl e Uil, ma i toni sono diversi: «la politica regoli se stessa», dice il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, perchè i temi sociali vanno affidati alle parti; il tema deve essere oggetto di confronto tra le parti, afferma il numero uno della Uil, Luigi Angeletti. Insorge pure l’opposizione: per l’ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano, «si introduce un nuovo ’correttivo chirurgicò che questa volta però lascia il segno»; secondo il presidente dell’Idv, Antonio Di Pietro, «si fomenta la violenza contro il mondo del lavoro», e annuncia la convinta partecipazione allo sciopero generale della Cgil del 12 marzo.
Ad entrare nel merito della norma il vice presidente della commissione lavoro di palazzo Madama, Tiziano Treu, tra i firmatari dell’appello dei giuristi contro il disegno di legge del governo. «L’art.18 potrebbe diventare un optional», denuncia l’ex ministro chiedendo a Sacconi, insieme al collega Pietro Ichino, di non usare impropriamente il nome di Biagi.
«L’art.31 del ddl – afferma Treu – prevede due possibilità per ricorrere all’arbitrato. La prima attraverso contratti collettivi: le parti possono stabilire i limiti in cui l’arbitrato può essere esercitato. Poi, però, se le parti falliscono, può intervenire il ministro per decreto. C’è poi una seconda possibilità consentita dalla norme volute dal governo e dalla sua maggioranza. E cioèche il singolo lavoratore accetti un accordo secondo cui il proprio contratto di assunzione preveda il ricorso all’arbitrato per risolvere le controversie». Ma per Sacconi, si potrà ricorrere all’arbitrato solo se il lavoratore lo vuole. E, rispetto all’ obiezione che un giovane pur di strappare l’assunzione accetterebbe qualsiasi cosa, risponde: «non si deve pensare che il lavoratore sia un minus habens».
Epifani: noi falsi? Il governo dica solo se abbiamo ragione o no. Sacconi non dice la verità
In questo nuovo schema, imboccata la strada dell’arbitrato, non si può più rivolgersi al giudice
La Stampa 04.03.10
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“Lavoratori più deboli e ricattabili, ricorreremo alla Corte costituzionale”
La contrattazione servirà per definire le procedure, non a modificare quello che stabilisce questa legge, di ROBERTO MANIA
Un lavoratore “più debole e “ricattabile””: sarà questo – dice Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil – l’effetto della nuova legge sul processo del lavoro voluta dal governo. E contro questa legge annuncia che la Cgil ricorrerà alla Corte costituzionale.
Perché la Cgil ritiene ancora più grave questa iniziativa legislativa rispetto a quella del 2002 sull’articolo 18 che scatenò la protesta?
“Perché è una norma di carattere generale che interviene sul complesso delle procedure per la difesa dei diritti dei lavoratori. Nella prima versione della legge era addirittura prevista l’obbligatorietà del ricorso all’arbitrato che poi è diventato facoltativo. Tuttavia il punto vero è che nel momento dell’assunzione il datore di lavoro può chiedere a un lavoratore di rinunciare alla via giudiziale per la tutela dei propri diritti. E, in quel particolare momento, il lavoratore è più debole e più “ricattabile”. Per questo potrebbe accettare la proposta precludendosi per tutta la durata del rapporto di lavoro di ricorrere al giudice”.
Il ministro del Lavoro Sacconi ha parlato di una polemica da parte dei “soliti noti” (tra questi sicuramente la Cgil) che confermerebbe “la malafede di chi vuole sempre accendere la tensione sociale”. Lei sta cercando lo scontro sociale?
“Non capisco perché Sacconi parli di malafede. Questa non è una questione di malafede e buonafede. Sacconi dovrebbe dire se ciò che sostiene la Cgil è vero o meno”.
Comunque maggioranza e governo spiegano che spetterà ai contratti fissare i paletti per l’accesso all’arbitrato. Non crede che in sede contrattuale potranno essere apportati miglioramenti?
“La contrattazione servirà per definire le procedure ma non certo a modificare quello che stabilisce la legge.
Sarà una contrattazione molto vincolata e, dunque, non libera”.
Ma il ricorso all’arbitrato non è per i lavoratori un’opportunità in più per difendersi?
“Lo era prima di questa legge. In questo nuovo schema una volta imboccata la strada dell’arbitro non si può più andare dal giudice. Sacconi non dice la verità”.
La legge è in Parlamento da quasi due anni: perché non ve ne siete accorti prima?
“Non è vero che non ce ne siamo accorti. Abbiamo sollevato il problema molto tempo fa. Intorno alle nostre posizioni si sono ritrovati giuristi moderati come Romagnoli e Treu. La stessa Associazione nazionale dei magistrati ha condiviso le nostre preoccupazioni. È il ministro Sacconi che non vuole rendersi conto che la sua scelta renderà più deboli i lavoratori. Tanto più – e in questo ha ragione Bersani – in una fase di crisi come l’attuale. La legge non solo è sbagliata ma è anche fuori tempo”.
Farete ricorso alla Consulta?
“Lo stiamo valutando. L’impressione è che ci sia più d’una norma in contrasto con la Costituzione”.
Non trova che l’opposizione sia stata un po’ assente in questa vicenda?
“Aver portato a casa un dibattito parlamentare sulla crisi economica è un buon risultato. Certo su questa legge non c’è stata quella forza, anche sul piano culturale, che sarebbe stata necessaria”.
La prossima settimana, il 12 marzo, ci sarà lo sciopero generale della Cgil. Non ha provato a coinvolgere anche Cisl e Uil visto che nelle ultime settimane hanno alzato i toni critici nei confronti del governo?
“Sul fisco avevamo lavorato a una proposta comune poi Cisl e Uil hanno organizzato un’iniziativa col governo e gli imprenditori. Ora sento che Angeletti, Bonanni e pure la Marcegaglia chiedono un cambio di fase. È quello che chiediamo noi che, però, siamo anche conseguenti e facciamo lo sciopero per l’occupazione, per una diversa politica sul fisco e sui migranti”.
La Repubblica 04.03.10
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