Massimo Franchi, l’Unità.it
Fiocchi gialli al collo e tanta rabbia contro un ministro che vuole imporre i tagli del maestro unico spacciandoli per un aumento dell’offerta formativa. Una staffetta fra bambini, maestri e genitori con gli studenti delle Siss. Il “No Gelmini day” riempie le gradinate sotto il ministero di viale Trastevere in un’atmosfera di allegra, ma ferma protesta.
Ci sono quattro generazioni unite dalla voglia di difendere la scuola italiana.
La più colorita e chiassosa è fatta dai bimbi delle scuole romane, novelli contestatori con le idee più che chiare. «Io a scuola mi diverto e ci voglio andare anche il pomeriggio – dice deciso Marco, biondino di 9 anni dalla faccia sveglia -. La Gelmini vuole farmi stare a casa il pomeriggio ma io mi rompo», chiude mostrando la sua maglietta “La mia scuola dice no” e cantando lo slogan: “Gelmini non bastano gli occhialini: vogliamo il tempo per imparare e lavorare”.
Le sue insegnanti sono ancora due. La maestra più esperta di italiano, come Graziella che insegna alle elementari (ora primarie) dal 1992 dopo quasi un decennio di precariato. «Questa riforma della Gelmini è molto peggio di quella della Moratti. Qui ci sono solo tagli e si cerca di giustificarli con questa follia del maestro unico che rovinerà la vita dei bambini e delle loro famiglie. La Moratti almeno aveva un’idea simil-pedagogica, assolutamente sbagliata, ma almeno era un’idea. La Gelmini non ha neanche quella, fa quello che gli dice Tremonti: risparmiare a tutto spiano, rovinando la scuola». I tagli li conoscono a memoria e li snocciolano come una litania: «8 miliardi con la chiusura di almeno 4 mila scuole».
Poi c’è la sua collega Giovanna, più giovane, che si occupa dell’ambito matematico scientifico. «Ho una classe a tempo pieno, ora lavoro 22 ore a settimana alternando mattina e pomeriggio più quattro ore di compresenza con la mia collega. Questo ci consente di portare avanti tante attività come le uscite didattiche, le gite, i corsi di recupero. Tutte cose che con il maestro unico non si potranno più fare». Ma il suo cruccio più grande è un altro. «Io non mi sento in grado di insegnare italiano, non ho la preparazione per farlo. Ho una specializzazione per la matematica, corsi su corsi pagati di tasca mia per insegnare questa materia. Se sarò costretta ad insegnare italiano non potrò fare altro che limitarmi ai dettati, e i primi a perderci sarebbero i miei alunni».
Di questa generazione fanno parte anche le mamme. Ce ne sono parecchie, ma non tante quanto ce ne vorrebbero essere. «Molte non sono potute venire perché lavorano – spiega Alessandra, un figlio in quarta elementare a Roma centro – . Io sono qua anche per loro. Ho la fortuna di avere i nonni e di posso “parcheggiare i figli” il pomeriggio, ma sono una privilegiata: quasi tutte le mamme dei compagni di mio figlio sono già disperate, rischiano di dover cambiare lavoro o magari di perderlo. E nessuna crede alla promessa che il tempo pieno rimarrà, i conti li sappiamo fare anche noi e sappiamo che i soldi non ci sono».
Chiara è un’altra mamma combattiva che dà una lettura tutta politica della scelta del governo. «A subire di più saranno le mamme del Sud. Saranno costrette a rimanere a casa a badare ai figli e ai nonni. Al nord questo problema ci sarà meno e difatti la Lega contesta già questa riforma. È una battaglia di solidarietà, solidarietà fra donne: insegnanti e mamme».
Dopo un’ora di canti, cori e palloncini a loro si uniscono gli studenti del IX (e ultimo) ciclo delle Siss, Scuola secondaria di insegnamento superiore, la quarta generazione coinvolta in questa battaglia. Sono circa 11 mila, fra i 20 e 30 anni, vengono da tutt’Italia (ne esiste una sede per ogni regione) e da mercoledì sono un po’ più sollevati. Hanno strappato un emendamento, presentato dal Pd, che prevede il loro ingresso nelle graduatorie delle classi di concorso. Non saranno più in coda, ma a loro verranno riconosciuti i punti dell’abilitazione (42) più quelli per i dottorati e gli anni di supplenza che quasi tutti hanno. Si tratta del cosiddetto “inserimento a pettine”, ognuno secondo il loro punteggio. Alessandro, venticinquenne campano, però non si fida: «Tante volte le promesse dei vari governi sono finite in aria fritta. Senza inserimento noi eravamo certi di aver buttato tanti soldi (le tasse d’iscrizione) e due anni della nostra vita. La Gelmini voleva riconvertirci nel settore turismo. Così almeno vediamo un po’ di luce».
Una luce non molto chiara, almeno per Danilo, romano 27enne del Comitato studenti IX ciclo Siss. «Sì, se passa l’emendamento abbiamo ottenuto di diventare qualcosa: diventare precari, il massimo a cui possiamo puntare è una supplenza annuale. Ma la cattedra continua ad essere un miraggio, soprattutto per alcune classi di concorso. La mia è la 37, storia e filosofia per i licei, è la più “piena” e anche con questo passo avanti siamo in fondo alla graduatoria e non vedremo mai la luce».
Si prendono la scena, ma cercano comunque di tenere insieme la lotta. «La vostra battaglia è la nostra battaglia – esordisce urlando al megafono un portavoce dell’Anief (Associazione nazionale insegnanti ed educatori in formazione – . La scuola della Gelmini è più povera, più classista e più ingiusta: lottiamo insieme contro il maestro unico».
Bambini e mamme si allontanano alla spicciolata, i Sissini rimangono al presidio. Dalle finestre del ministero i funzionari osservano. La Gelmini prima fa finta di niente. È ad un convegno all’università Luiss. E attacca: «Ci sono due Italie, una è per una scuola di qualità, per insegnanti che vogliono essere pagati meglio ed è quella della maggioranza degli italiani. Poi – ha continuato il ministro – ci sono piccole frange che hanno deciso di non guardare i problemi, e preferiscono protestare. Io li lascio fare».
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