Le scuole pubbliche in Italia sono sottoposte ad una energica cura dimagrante su tutti i fronti: orari, offerta formativa, pulizia e manutenzione, materiali didattici, sostituzioni in casi di assenza. La cosa riguarda soprattutto la scuola, dall´obbligo all´università, ma tocca anche le scuole materne.
Il tempo pieno alle elementari è stato ridotto, soprattutto in quelle regioni (e probabilmente singoli quartieri) in cui viceversa una forte, qualificata, temporalmente consistente offerta formativa sarebbe più necessaria per contrastare gli effetti, sullo sviluppo cognitivo e delle competenze dei bambini e ragazzi, del disagio e della povertà. Un po´ in tutta Italia, ci sono scuole che a febbraio non hanno già più soldi per pagare i supplenti. Pazienza se qualche docente si ammala un po´ a lungo, o se per disgrazia una insegnante decide di avere un figlio. I colleghi faranno i turni di presenza per coprire le classi rimaste scoperte, con quali esiti formativi per gli studenti è immaginabile. Ci sono scuole che mandano circolari ai genitori perché si facciano carico della carta igienica e della cancelleria minuta e talvolta anche di lavoretti di manutenzione e di segreteria. Il volontariato dei genitori non è più una benvenuta integrazione alla dotazione di base. È una necessità per mantenere almeno quella dotazione.
Le responsabilità non sono tutte di questo governo, ovviamente. Anche gli insegnanti e i dirigenti scolastici hanno le loro responsabilità nell´avere creato un sistema spesso anarchico, non trasparente, e non valutato nella sua efficacia. Così come coorti successive di genitori troppo spesso sembrano essersi accontentate – o addirittura aver preteso – del fatto che i figli venissero promossi, piuttosto che interrogarsi sulla qualità della offerta formativa. Chi lo fa, se ne ha i mezzi sceglie oculatamente la scuola e la classe. O si rivolge al privato di qualità. La responsabilità di questo governo tuttavia è quella di aver fatto della questione della spesa, o meglio dei tagli, il criterio principale del proprio intervento. Così, appunto, si taglia il tempo scuola, come se tutti avessero a casa genitori senza impegni lavorativi, biblioteche ben fornite, computer, risorse per le attività integrative. E in un contesto in cui gli edifici scolastici sono spesso fatiscenti, al punto che ogni tanto qualcuno ci rimette la pelle, e sorveglianza e pulizia già al limite del necessario e della decenza, il ministero pretende un taglio del 25%.
Le nuove generazioni sono avvisate. Negli altri paesi si discute dell´investimento nell´educazione ad una età il più precoce possibile come forma non solo di investimento in capitale umano, ma di riduzione delle disuguaglianze provocate dalla origine di nascita. Il nostro invece mostra tutto il proprio disinteresse, offrendo un servizio che, a prescindere dalla buona volontà e competenza professionale dei singoli insegnanti, è di bassa qualità a partire dalle condizioni materiali. Lo stesso disinteresse c´è anche nei confronti dei più piccoli. Si destinano poche risorse agli asili nido, e soprattutto si assiste passivamente al loro mancato utilizzo proprio da parte delle regioni che ne hanno meno, in cui la diffusione della povertà tra i bambini è più alta e le disuguaglianze nelle competenze cognitive più elevate, quindi più necessario intervenire precocemente. Lo ha documentato di recente proprio un rapporto del Dipartimento per la famiglia.
A fronte di questo accanimento nei confronti della scuola pubblica, il governo ha fornito viceversa rassicurazioni alla Chiesa cattolica sul finanziamento alle sue scuole. Sorge il sospetto che non siamo solo di fronte ad uno scambio indecente tra legittimazione politica e riconoscimento di un monopolio etico-educativo (che coinvolge anche altri temi). Siamo di fronte anche alla progressiva squalificazione della scuola pubblica a favore di quella privata, che in Italia è soprattutto scuola cattolica. Il terreno è stato ampiamente preparato dall´ingegneria linguistico-legislativa messa in opera dal governo Prodi. Ad esso di deve la trasformazione delle scuole private (incluse quelle materne) cattoliche in “scuole paritarie”, per aggirare il dettato costituzionale che ne vincola l´esistenza all´essere “senza oneri per lo stato”. Ora siamo, temo, di fronte all´atto finale. Quanto più la scuola pubblica sarà squalificata e privata di risorse, tanto più diventerà la scuola di chi non può scegliere altrimenti, dei poveri, degli immigrati.
La Repubblica 24.02.10
Pubblicato il 24 Febbraio 2010