Era la giornata delle chiavi da appendere alle transenne del corso per tornare a chiedere, come domenica scorsa, la riapertura del centro storico, dopo il sisma dello scorso 6 aprile. Ma i manifestanti, almeno un migliaio, hanno raggiunto quell’ universo di vicoli e vicoletti, della zona rossa dell’Aquila, da dieci mesi interdetti.
Vicolo dopo vicolo, a piccoli gruppi, sono tornati in luoghi che possono solo ricordare come erano prima del 6 aprile. Hanno calpestato traverse, con case sventrate, dove le macerie non sono state neanche raggruppate e porte e finestre sono spalancate, in balia di chiunque. Fuori dai riflettori, hanno espresso la loro indignazione contro i ritardi nella rimozione delle macerie, e la loro protesta si è rivolta contro l’informazione che, secondo loro, non rende giustizia di una realtà drammatica. Ha aderito anche la presidente della provincia, Stefania Pezzopane.
A farne le spese una troupe del Tg1, guidata dalla giornalista Maria Luisa Busi, all’Aquila per un servizio per il settimanale di approfondimento Tv7. Gli aquilani li hanno apostrofati a suon di «scodinzolini, scodinzolini!», accusando l’emittente nazionale di aver diffuso un’immagine falsata della situazione in Abruzzo. La giornalista dirà poi di comprendere la situazione «perchè quel che ho visto in questi giorni con i miei occhi, è molto più grave di come talvolta è stato rappresentato: migliaia di persone sono ancora in albergo, le case non bastano e la vera ricostruzione non è partita».
Proprio questo è quello che la gente ha contestato al sindaco dell’Aquila, Massimo Cialente, tirando in ballo anche la questione delle macerie per cui, domenica prossima, è annunciata una nuova manifestazione. Una rivendicazione che è di tutti: dai giovani in piedi sui cumuli di macerie, con striscioni e cartelli, alle mamme con il passeggino a spasso tra via Sassa e via Patini e, ancora, gli aquilani più anziani radunati in un angolo di piazza Palazzo a cantare: «L’Aquila bella mè, tu che me sci vist’ è nasce tu che mi sci vist’ è cresce, te vojo revedè». Il resto del centro, però, è silenzio: nessuno davanti alle macerie in quella che è stata la propria casa o la propria scuola ha il coraggio di dire una parola di troppo.
«È il regalo più bello che potevo farmi per il mio compleanno di domani – commenta Donatella Capulli, tra i manifestanti – perchè non avrei mai sperato di poter tornare oggi qui, dove sono nata».
L’Unità 21.02.10
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L’Aquila: la protesta delle chiavi dei cittadini nel centro storico
A una troupe del Tg1 «Scodinzolini! Scodinzolini!». La Busi prende le distanze: «Qui la situazione è grave»
L’AQUILA – Replica della manifestazione della scorsa settimana all’Aquila. Un migliaio di cittadini hanno forzato la zona rossa del centro storico – chiusa dall’epoca del terremoto – e hanno appendeso le chiavi dei propri appartamenti che devono ancora essere ristrutturati. Una protesta simbolica per la ricostruzione del centro storico del capoluogo abruzzese, fortemente danneggiato dal sisma del 6 aprile dello scorso anno. Stavolta però i manifestanti non si sono accontentati di varcare le transenne per raggiungere piazza Palazzo, ma hanno proseguito raggiungendo via Sallustio, una delle arterie principali e poi tutti i vicoli interdetti ai cittadini da dieci mesi.
SINDACO CONTESTATO – Insieme ai manifestanti questa volta c’era anche il sindaco Massimo Cialente e la presidente della Provincia, Stefania Pezzopane. Cialente, vice commissario della ricostruzione, è stato contestato da alcuni partecipanti per i ritardi negli interventi nel centro storico e nella rimozione delle macerie. Il centro era presidiato dalle forze dell’ordine, che però non sono intervenute visto il carattere pacifico della manifestazione.
CIALENTE – «Con l’atmosfera che si sta creando a livello nazionale per le inchieste sugli appalti, sta partendo un meccanismo negativo e problematico per la ricostruzione», ha detto il sindaco. «Bisogna mettersi nei panni dei dirigenti del Comune dell’Aquila, che sono intimoriti di fronte a un sistema che interviene al primo sbaglio o, addirittura, interviene senza sapere chi ha sbagliato o meno». Ma secondo il sindaco, i cittadini hanno ragione a protestare: «Gli aquilani esprimono la loro rabbia e hanno ragione: c’è una preoccupazione crescente per i ritardi e nulla è stato fatto per affrontare il problema del lavoro». Il primo cittadino aquilano riconosce che la rimozione delle macerie è oggi il problema principale: «Da soli non ce la possiamo fare, non è possibile smaltire 4 milioni di tonnellate di macerie come se fossero sacchetti di immondizie. Neanche la Protezione civile è stata in grado di risolvere il problema, ma se non si rimuovono le macerie non è possibile la ricostruzione».
CONTESTATA TROUPE DEL TG1 – Decine di persone hanno contestato anche una troupe del Tg1 guidata da Maria Luisa Busi per un servizio per il settimanale di approfondimento Tv7. I manifestanti, parafrasando il direttore del Tg1 Augusto Minzolini, hanno gridato «Scodinzolini! Scodinzolini!» accusando l’emittente di avere diffuso un’immagine falsata della situazione in Abruzzo. Maria Luisa Busi, che ha ammesso una contestazione «molto forte nei confronti del Tg1», ha preso le distanze: «Capisco la situazione e capisco gli aquilani. Posso dire che io sono qui per fare il mio lavoro onestamente e non posso rispondere dell’informazione a livello generale che il Tg1 ha fatto dopo il terremoto. Posso solo dire che quello che ho visto all’Aquila in questi giorni con i miei occhi, è molto più grave di come talvolta è stato rappresentato: migliaia di persone sono ancora in albergo, le case non bastano e la ricostruzione non è partita». Il segretario aquilano del Pd, Michele Fina, ha espresso in una nota “solidarietà” “alla giornalista Maria Luisa Busi” e a chi lavorava con lei “per essersi trovati nel bel mezzo di una contestazione durante lo svolgimento del proprio lavoro” ma sottolinea che «ovviamente le critiche non erano rivolte a chi oggi si è recato a L’Aquila per raccontare l’ennesima manifestazione pacifica organizzata dai cittadini aquilani, ma al direttore del Tg1 Minzolini che negli ultimi mesi ha letteralmente scherzato con la nostra tragedia».
Il Corriere della Sera 21.02.10
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Quelle chiavi appese alle transenne “Rimuoveremo da soli le macerie”, di Jenner Meletti
La prima volta nella zona rossa: “Tutto è rimasto come 10 mesi fa”. “Domani compio gli anni e mi sono fatta un regalo: ho rivisto la casa nella quale sono nata” “Per molti è stato uno shock scoprire che nulla è stato fatto. Eppure la tv dice il contrario”
Torneranno anche domenica prossima. «E saremo armati: di badili, secchi, carriole. Cominceremo a portare via le macerie e le metteremo in una discarica. Vogliamo vedere se avranno il coraggio di denunciarci». C´è un po´ di sole, quando tutto comincia. Appuntamento ai Quattro Cantoni, dove i ragazzi si incontravano per i primi appuntamenti e gli adulti per le chiacchiere e l´aperitivo. Prima, quando l´Aquila c´era. «Mettiamo le chiavi delle nostre case appese a questa rete. Diventeranno il simbolo della nostra protesta. Racconteranno a tutti che noi vogliamo tornare fra le nostre mura». Bastano pochi minuti per capire che oggi sta accadendo qualcosa di nuovo. Non ci sono le «solite» due o trecento persone dei comitati «3.32» o «Un centro storico da salvare», che da mesi gridano a tutti la rabbia di una città rimasta senza centro storico. Mille persone attaccano le loro chiavi alle reti (chiavi che sono simboliche, ovviamente, perché nel centro già entrano i ladri e non c´è bisogno di aiutarli) e altre persone arrivano. Ecco, le barriere vengono spostate e si entra a piazza Palazzo, dove i muri rotti di Comune e Provincia si guardano in faccia. Si discute, in questo che da sempre è il luogo degli incontri e della politica. Il sindaco Massimo Cialente viene messo sotto accusa e cerca di difendersi. Ma altre persone continuano a entrare nella piazza. Per la prima volta gli aquilani – almeno duemila – «violano» la zona rossa per poter tornare almeno qualche minuto davanti alla loro casa.
«Domani compio gli anni – dice Donatella Capulli – e oggi mi sono fatta il regalo: ho rivisto la strada dove sono nata». Via Sallustio, piazza San Pietro. Ognuno va a cercare le proprie finestre. Tutto come dieci mesi fa. Muri spaccati mostrano armadi aperti, con i vestiti ancora allineati. Una bottiglia di birra rimasta sul tavolo da quella notte del 6 aprile. Case che dietro la facciata hanno solo un mucchio di rottami. A volte è peggio. «La fontana davanti a casa mia – dice Patrizia Tocci – è stata ricoperta di lamiere, pietre, caldaie. E la colpa non è del terremoto ma di chi non ha rispetto per la nostra storia. Se questa è la cura per la nostra città allora è meglio spargere il sale sulle rovine e metterci il cuore in pace».
Per la prima volta ci sono persone in tutte le strade e in tutti i vicoli. Più ci si allontana dalla piazza del municipio, più profondo è il silenzio. Uomini e donne si tengono per mano, guardano le pietre e le rovine e ricordano quanto era bello, la domenica, passeggiare e incontrare amici. «Anche noi – dice Mattia Lolli del comitato 3.32 – siamo stati sorpresi da tanta partecipazione. Per tanti è stato uno choc. Tanti aquilani, chiusi nelle new town o negli hotel al mare, credevano ai miracoli annunciati e pensavano che qui in città, come dice la tv, tutto fosse risolto. Hanno sbattuto la faccia sulla realtà».
Per qualcuno questo sarà ricordato come «il giorno della liberazione». «Oggi migliaia di persone – racconta Eugenio Carlomagno, del comitato Centro storico da salvare – si sono liberate dalla paura e hanno deciso: dobbiamo riappropriarci della nostra città. Non a caso la rivolta è avvenuta oggi, in questo inverno di pioggia e di neve. Chiusi nelle case antisismiche, nei moduli abitativi provvisori, abbiamo capito che non sapevamo dove andare: non c´è un teatro, non c´è una biblioteca, non ci sono più i bar del centro. Ci siamo accorti di essere persone che debbono solo comprare cibo al supermercato, mangiare e guardare la televisione. Abbiamo detto basta».
Anche Stefania Pezzopane, la presidente della Provincia, ha appeso una chiave alla barriera di plastica e fil di ferro. «Simbolicamente, è quella del palazzo della Provincia. L´Aquila è un capoluogo, ci sono decine di edifici pubblici. Ricostruendo quelli, ci sarebbe un volano anche per la ricostruzione privata. Sotto il palazzo provinciale, ad esempio, ci sono tanti negozi. Siamo fermi perché agli enti locali non hanno dato nemmeno i soldi necessari per rimettere in piedi i loro edifici. Questi soldi sono stati consegnati al Provveditore alle opere pubbliche». Per la cronaca, è il funzionario che la banda di speculatori ha definito «un uomo nelle nostre mani».
Alcune strade sono sbarrate da tubi e puntellamenti. «Molte ditte hanno fretta di puntellare pure le case da abbattere – dice Eugenio Carlomagno – perché così si prenotano per la ricostruzione. “Abbiamo già messo lì i nostri tubi”, diranno al commissario. “Se volete possiamo farvi lo sconto”». Secondo Antonio Perrotti, architetto di Italia nostra e del Comitatus Aquilanus, la ricostruzione non è stata progettata e non per motivi tecnici. «Ci hanno circondato di new town, come nuovi colonizzatori. E presto ci diranno: aquilani scusateci ma per il centro non c´è un euro». Ma nel primo giorno in cui il centro torna a essere vivo, in piazza Palazzo un gruppo di anziani intona un canto di speranza. «L´Aquila bella mè/ tu che me sci vist´ ‘e nasce/tu che me sci vist´ ‘e cresce, te vojo revedè». Tu che mi hai visto nascere, tu che mi hai visto crescere, ti voglio rivedere.
La Repubblica 22.02.10