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"Figli e lavoro: due regioni, due storie diverse" di Daniela Del Boca e Alessandro Rosina

La natalità in Italia continua a essere bassa. Ma anche in un anno così generalmente depresso come il 2009, c’è chi ha resistito meglio e chi ha ceduto di più. La fecondità cresce in Emilia Romagna e scende ancora in Campania. Ovvero cala nella regione nella quale l’occupazione femminile è più bassa e sale nell’unica regione italiana che in proposito ha già superato gli obiettivi di Lisbona. Un risultato paradossale a prima vista, che si spiega con la ben diversa quantità e qualità dei servizi di conciliazione tra lavoro e famiglia.

La fecondità italiana stenta a rialzare la testa. Secondo le stime appena rilasciate dall’Istat, nel 2009 c’è stato addirittura un piccolo peggioramento rispetto all’anno precedente. Poca cosa: 1,41 contro 1,42. Però, indica che non stiamo facendo molto per uscire dal tunnel della denatalità. Ma anche in questo ambito, in un anno così generalmente depresso come il 2009, c’è chi ha resistito meglio e chi ha ceduto di più. Da questo punto di vista, i due casi estremi sono stati la Campania e l’Emilia Romagna.

I FIGLI IN EMILIA E IN CAMPANIA

Storicamente, la fecondità è sempre stata più elevata in Campania rispetto all’Emilia Romagna. Dopo il punto più basso del 1995, l’Emilia Romagna è stata però tra le regioni che con più determinazione hanno invertito la rotta, mentre la Campania ha continuato a segnare il passo.
La forbice si è chiusa nel 2008, sul valore di 1,45 figli in media per donna. L’anno dopo sono proprio tali due realtà a rivelarsi tra le più dinamiche. In particolare, ciò che deprime la fecondità lo fa in modo ancor più accentuato in Campania, che scende a 1,42, ciò che protegge e sostiene le scelte riproduttive si esplica ai suoi maggiori livelli soprattutto in Emilia Romagna, che sale a 1,47. Nessuna regione italiana presenta incrementi più negativi della prima e più positivi della seconda.
Non può essere però un caso che la fecondità risulti in maggiore depressione proprio nella regione nella quale l’occupazione femminile italiana è più bassa (27,3 per cento in Campania), e sia invece in maggior crescita nell’unica regione italiana che ha già superato gli obiettivi di Lisbona (62,1 per cento in Emilia-Romagna). Risultato paradossale e inspiegabile se non letto assieme alla ben diversa quantità e qualità di servizi di conciliazione tra lavoro e famiglia – asili nido in primis – che, come ben noto, caratterizzano le due realtà geografiche.
In Emilia Romagna non solo il numero di nidi offerto è cresciuto fino a raggiungere (quasi ) gli obiettivi suggeriti dall’Unione Europea – 33 per cento. Ma sono anche aumentate le opportunità (orari e tipi diversi). Mentre crescono i servizi non diminuisce la qualità, che resta d’esempio per l’Europa e non solo (vedi le punte di Reggio Emilia). (1) In questa regione la fiducia delle famiglie è in crescita come mostrano anche le liste di attesa.
La Campaniaè invece tra le regioni con il più basso numero di posti offerti (meno del 6 per cento di copertura) e solo nel 7,8 per cento dei comuni sono previsti servizi per l’infanzia contro quasi l’80 per cento in Emilia. La Campania è, tra l’altro, la regione che ha approvato più tardi il piano nidi per il triennio 2007-09.
Il confronto tra questi due estremi evidenzia ulteriormente come partecipazione delle donne al mercato del lavoro e maternità possano crescere assieme, anche in anni difficili, in presenza di adeguate politiche. (2)
Un dato che dovrebbe far riflettere il sottosegretario Giovanardi e chi usa la crisi come pretesto per tergiversare ulteriormente rispetto alla realizzazione di solide, strutturali e durature misure di aiuto alle famiglie. Se è nei momenti di crisi che si vedono i veri amici, dobbiamo allora pensare che questo governo non sia molto amico delle famiglie.
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