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Scuola, il Pd e l’«operazione nostalgia» del governo- Dopo Panebianco, di Mariapia Garavaglia

Caro Direttore, l’editoriale di Angelo Panebianco sul Corriere di ieri dedicato alla scuola e al Pd colpisce per la risoluta certezza delle tesi esposte. L’editorialista non ha dubbio alcuno: negli ultimi mesi, il centrodestra, grazie all’azione del ministro Gelmini, ha messo a punto un’efficace riforma della scuola, di cui tutti si sono accorti, tranne quegli esponenti del Pd eternamente votati all’antimodernità e schiavi dei sindacati. Fa invidia avere idee così chiare su un argomento tanto complesso. Personalmente, mi occupo di scuola da decenni, avendo iniziato la mia carriera come insegnante, e mai, sottolineo mai, pur conoscendo l’istituzione scolastica dal di dentro, sono riuscita a trarre conclusioni così perentorie, come quelle esposte nell’articolo. Ma questa è una questione di sensibilità individuale. Nell’editoriale c’è molto di più. Proverò dunque a muovere alcuni rilievi «tecnici». Tralascio la questione della «sudditanza » al sindacato, limitandomi a dire che, sulla scuola come per il caso Alitalia, il Pd si muove tentando di esprimere una sua visione di società. Ci interroghiamo cioè su come dovrebbe essere, secondo noi, il sistema scolastico nel nostro Paese o su quali siano gli interessi nazionali in gioco nella vicenda della compagnia di bandiera. I sindacati esprimono invece gli interessi dei lavoratori. Mi sembra che la differenza di posizione e di ruolo sia chiara ed evidente.
Venendo al punto centrale dell’articolo, la questione del maestro unico, assurta a cartina di tornasole della tesi sostenuta, vorrei per prima cosa far notare che tale riforma è stata decisa e discussa in tante sedi, tranne in quella appropriata, cioè in Parlamento. Il ministro dell’Istruzione, fra grembiuli e voti in condotta, nelle sue tante interviste rilasciate nel corso del-l’estate, ha parlato anche di questo, innestando un’operazione «nostalgia» che ha dello stupefacente. Ricordo anche io con piacere la mia maestra «unica» e le sarò sempre grata. Detto questo, l’Italia in cui sono cresciuta è un po’ diversa da quella attuale. Dal bianco e nero, la società è ora a colori, tanti e variegati, da internet all’i- phone. Con tutta la buona volontà, non invidio coloro che quotidianamente devono spiegare una realtà molto più complessa ai bambini di oggi, rispetto a quella in cui mi sono formata. Mi sembra discutibile confondere il buon tempo che fu con la validità di una scelta pedagogico- didattica. Nell’articolo si afferma anche che la riforma del 1990 che introdusse più docenti nelle classi elementari fu una mera operazione «consociativa». Ma lo sa chi ha scritto l’editoriale che la riforma del ‘71 aveva già introdotto due maestri per il tempo pieno? Che il tempo pieno, quella cosa che, al di là di ogni considerazione pedagogica, consente a molte famiglie con mamme che lavorano di tenere i figli fino alle 16.30 a scuola, ha avuto impulso e sviluppo proprio grazie alla legge del ‘90? E infine vorrei ricordare che la pluralità degli insegnanti significa tre su due classi.
Certo, a chi si presenta al Paese facendo annunci e slogan, riempiendo le frasi di parole come «merito» e «valutazione», si è tentati di dare ragione. Peccato che per noi del Pd, la parola merito abbia anche un altro significato, oltre a quello sacrosanto riferito alla meritocrazia. Noi vorremmo poter entrare «nel merito», per discutere in Parlamento di politica scolastica e di progetto educativo. Il governo ha risposto con un decreto taglia spesa che toglie alla scuola quasi 8 miliardi di euro. Dopodiché, si possono fare tanti discorsi e sostenere che con questi tagli si migliora la scuola, non si compromette il tempo pieno, si aumentano gli stipendi dei docenti (?). Tuttavia bisogna essere cauti per non confondere una manovra economica con la riforma della scuola. Tra l’altro, mi rimane incomprensibile perché si parta dalla «riforma» della scuola elementare che, nelle classifiche internazionali, figura ai primi posti. Attendo i commentatori alla prova della «riforma» degli altri ordini e gradi della scuola.

L’Unità, 29 Settembre 2008

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