Emergenza continua: così funziona il “sistema gelatinoso” La protezione civile dell’era Bertolaso è una multinazionale che ha gestito in due lustri dieci miliardi. La grande abbuffata da Pompei a padre Pio con gli appalti riservati solo a pochi intimi. Molti privati si sono arricchiti, così come alcune aziende che negli anni hanno partecipato alla spartizione dei grandi affari. Emergenza continua. Per L’Aquila – devastata dal terremoto – come per le bufale campane ammalate di brucellosi. Per la drammatica esplosione di un vagone carico di gas alla stazione di Viareggio ma anche per il Congresso europeo delle famiglie numerose o per le regate della Louis Vuitton Cup. La protezione civile dell’era Bertolaso è una multinazionale da 700 dipendenti che nei nove anni sotto la guida del suo potentissimo capo-dipartimento ha cambiato volto e moltiplicato la sua potenza di fuoco. Le catastrofi e le loro conseguenze restano, se così si può dire, il suo core business. Ma un’escalation di ordinanze della presidenza del Consiglio – 330 del Governo Berlusconi dal 2001 al 2006, 46 dell’esecutivo Prodi e più di 250 dal ritorno del Cavaliere a Palazzo Chigi – ha portato sotto il cappello del super-commissario degli appalti tricolori un po’ di tutto: i lavori per mettere in sicurezza gli scavi di Pompei come i festeggiamenti per il quattrocentesimo anniversario della nascita di San Giuseppe da Cupertino, le piscine dei mondiali di Nuoto e persino la riesumazione delle sacre spoglie di Padre Pio.
La fabbrica delle emergenze, vere o presunte, muove soldi. Stanziamenti totali in due lustri: 10 miliardi. Si tratta solo di una stima, visto che solo il 22% delle ordinanze governative quantifica gli stanziamenti pubblici. Denaro speso a pioggia. Senza troppi controlli. Spesso in deroga, in nome della cultura emergenziale, a piani regolatori e a norme di trasparenza degli appalti. Sotto lo scudo spaziale della protezione civile – insieme a opere necessarie come le case de L’Aquila e alle cattedrali nel deserto della Maddalena (327 milioni ad oggi gettati al vento) – sono finite così le iniziative più esotiche: i provvedimenti necessari per sistemare il traffico a Napoli, i rifiuti di Palermo, il via vai di gondole e vaporetti a Venezia, l’anno giubilare paolino, le rotonde per i Mondiali di ciclismo a Varese.
Milioni su milioni capaci di creare autentiche fortune private quasi dal nulla. Prendiamo i bilanci delle società i cui nomi sono emersi nell’inchiesta di Firenze. La Anemone di Grottaferrata – che ha costruito il palazzo delle conferenze per il mancato G8 sardo e alcune piscine per i mondiali – ha visto il suo giro d’affari decollare dai 10 milioni del 2007 ai 37 del 2008 “in forza – spiega la relazione di gestione del gruppo – di appalti della pubblica amministrazione”. La fiorentina Giafi del gruppo Carducci, battuta sul filo di lana da una società di Anemone nel maxi appalto da 62 milioni per il Parco della Musica nell’ambito delle celebrazioni per i 150 anni d’Italia (altra pseudo-catastrofe a gestione protezione civile) si è consolata con i lavori per l’albergo ricavato per il G-8 dall’ex ospedale della Maddalena. I suoi ricavi sono raddoppiati in due anni a 88 milioni. E il bilancio racconta bene di chi è il merito: “Il governo in carica – recita testuale – mostra di aver preso coscienza del fatto che bisogna colmare il gap infrastrutturale del paese”.
Un’emergenza che, come tale, va trattata dalla Protezione civile. Con tutto il decisionismo e la disinvoltura usciti dalle intercettazioni telefoniche di questi giorni. Un boom di entrate (+50% in due anni) hanno realizzato pure la Igit – cui la Bertolaso Spa ha affidato la ristrutturazione dell’aeroporto perugino di Sant’Egidio (25 milioni) e quella (da 58 milioni e secretata) del carcere di Sassari – e la Archea associati, lo studio fiorentino dell’architetto Marco Casamonti, dalle cui telefonate è partita l’inchiesta della magistratura. Proprio l’inchiesta ha cominciato a delineare lo scenario di intrecci tra gli alti burocrati delle opere pubbliche e alcune imprese che sono entrate in un sistema “gelatinoso” come lo ha definito il gip nell’ordinanza: quello che ha assicurato appalti facili e ha permesso di gonfiare i costi dei lavori. La diversificazione ha finito però per drenare un po’ della liquidità destinata alla gestione delle emergenze reali. Bertolaso negli ultimi nove anni ha dovuto occuparsi dei viaggi di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, del congresso eucaristico di Osimo e dei giochi del Mediterraneo.
I suoi attuatori finali come Angelo Balducci hanno dovuto mettere la firma sotto note spese che con l’affare delle catastrofi naturali, in apparenza, hanno ben poco a vedere. A Pratica di Mare, per realizzare la scenografia un po’ kitsch necessaria al successo del summit Nato-Russia del 2002, la protezione civile ha speso 36 milioni, tra cui 74mila euro per “facchini e trasporto statue”, un milione per spuntare a regola d’arte prati e siepi e 42mila euro per i cartelli necessari alla viabilità. Il risultato paradossale è che a furia di emergenze farlocche rischiano di venir meno – complice lo stato dei conti pubblici – i soldi per quelle reali. Bertolaso ha già messo nero su bianco i suoi dubbi.
Lo stanziamento per il suo dipartimento nel 2009 è stato “solo” di 1,6 miliardi di euro. “Soldi che non bastano per prevenire e gestire le emergenze del futuro”, assicura il bilancio dell’ente, lamentando il taglio del 18% dagli 1,9 miliardi disponibili l’anno precedente. All’orizzonte incombono l’Expo 2015 in odore di commissariamento, le Olimpiadi 2020, il Gran Premio d’Italia di Formula 1 a Roma. Servono nuovi soldi pubblici. Le emergenze d’oro, in Italia, non finiscono mai.
La Repubblica 13.02.10
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“I predatori dell’emergenza”, di Vittorio Emiliani
Calpestano tutto, e nessuno si ribella. Ha ragione chi dice: dopo un secolo e mezzo di vita, l’Italia scivola ogni giorno verso la barbarie. La sensazione che solo certe imprese potessero “passare” nella ricostruzione dell’Aquila circolava. Le intercettazioni ora confermano che c’era chi rideva per i grassi affari che sentiva avvicinarsi mentre la polvere era alta sulle macerie e sotto di esse giacevano morti e feriti. Trecentosette morti. Non v’è dubbio che la ricostruzione post-terremoto sia un’emergenza ed esiga regole differenti da quelle ordinarie. E però regole. Certe e trasparenti. La ricostruzione dell’Irpinia richiese una commissione d’inchiesta parlamentare, presieduta da Scalfaro. Però sui restauri di beni culturali, curati dal soprintendente Mario De Cunzo, non vi fu ombra. Come sulla ricostruzione di Napoli (commissario Maurizio Valenzi, capo dell’ufficio tecnico Vezio De Lucia): neanche un avviso di garanzia. «Anzi – ricorda De Lucia – ricevemmo l’elogio della commissione Scalfaro e dei magistrati». Lo stesso per la vasta area del sisma umbro-marchigiano del 1997 e per quella del più lontano terremoto del Friuli.Nonè vero quindi che i commissariamenti portino con sé le degenerazioni che stanno emergendo ora, con l’ormai consueto contorno di escort.
Qui c’è di più e di peggio: qui siamo di fronte alla costruzione di un vasto arcipelago di “zone franche” dove norme, procedure, controlli, trasparenze ordinarie non esistono più, e dove ogni cosa è predeterminata, non dall’intero governo, ma dal presidente del Consiglio. Tutto nasce infatti da una sigla:Opcm. Ordinanza del presidente del consiglio dei ministri. Un decreto legge dovrebbe pur sempre essere convertito dalle Camere. L’Opcm parte da vari spunti e dà luogo all’emergenza e al commissariamento.
È successo per i Mondiali di nuoto, che stavano per affogare e che, col medesimo arrestato Angelo Balducci quale commissario, si sono svolti lasciando impianti nuovi del tutto incompleti, seri sospetti di abusi e una scia di inchieste giudiziarie. Per l’area archeologica di Roma si è costruito a tavolino un terrificante quanto improbabile scenario di crolli commissariando tutto (anche Ostia che sta benissimo). La raffica di Opcm, di ordinanze, riguarda anche situazioni dubbie come la creazione della “grande Brera”, commissario Mario Resca, fresco direttore generale alla valorizzazione, per lavori da50 milioni. Di cui avrà, oltre allo stipendio annuo di 160.000 euro lordi, il 5%. Cifra sbalorditiva che i “normali” soprintendenti, anche i più stimati, non hanno visto in tutta una onorata carriera. L’ordinanza del presidente del Consiglio plana ovviamente su alcune colossali torte immobiliari, come l’Expo 2015 di Milano. Ci sono ritardi? Si commissaria. E nell’ordinanza si elencano le normative ordinarie che “saltano”: quelle sulle valutazioni di impatto ambientale, sugli espropri, sui vincoli derivanti dai piani urbanistici e di pubblica utilità, sulle procedure per le bonifiche (e sì che a Milano è in atto una maxi- inchiesta sulla bonifica di Montecity a Rogoredo, implicato Giuseppe Grossi, bonificatore a oltranza, con una decina di Ferrari in garage, socio per la centrale elettrica di Casei Gerola del Mario Resca di Brera), via anche quelle su appalti e sub-appalti nonché le norme del Codice del paesaggio, e quindi niente più Soprintendenze a operare molesti controlli. Tutto avverrà in regime di “deroga integrale”. Finalmente! Con la Protezione Civile SpA – in mano alla presidenza del Consiglio e quindi al duo Berlusconi&Bertolaso, con Tremonti tagliato fuori – il cerchio si chiude. In una sola persona si concentrano tre ruoli: politico (sottosegretario o magari ministro), amministrativo (capo dipartimento) e operativo (capo della Protezione civile). Inusitata concentrazione di poteri “in deroga” alle leggi sulla trasparenza e quindi sulla concorrenza e, insieme, palese privatizzazione di un bel pezzo di Pubblica Amministrazione. Non basta (ma Bossi e i suoi “dormono all’umido”?, come in Lombardia). Con ciò le Regioni sono in un angolo e con esse ogni embrione di Stato federale. Per i rischi idrogeologici sono stati appena nominati tre supercommissari, lo stesso avverrà per il nucleare. L’accentramento non è più nelle mani del governo,ma del duo Berlusconi& Bertolaso. Il Parlamento? Lavori a convertire i decreti legge del governo. Poi si vedrà.
L’Unità 12.02.10