Berlusconi imbavaglia la tv pubblica: stop alle trasmissioni di approfondimento durante la campagna elettorale, “sono solo un pollaio”. Intanto il governo taglia i fondi alla stampa: oltre 100 testate alla canna del gas. Il PD promuove una mozione bipartisan. Bersani: “Ecco cosa fa chi vuole ovattare la realtà e nascondere i problemi”.
Fine delle trasmissioni. Di quelle a tema politico, almeno. È questo l’ultimo attacco di Silvio Berlusconi alla libertà d’informazione. Bollando l’approfondimento televisivo come “pollaio catodico da sostituire con tribune elettorali”, il premier ha approfittato delle elezioni regionali in arrivo per liberarsi di programmi (e giornalisti) scomodi, come Ballarò di Giovanni Floris, Annozero di Michele Santoro e In ½ ora di Lucia annunziata. All’indice anche le trasmissioni d’inchiesta, come Mi manda Raitre di Andrea Vianello e Report di Milena Gabanelli. Certo, la mannaia della censura si abbatterà anche su fedelissimi come Bruno Vespa e Maurizio Belpietro, ma il cavaliere è disposto a sacrificare qualche pedina in cambio di un religioso silenzio.
Quel “pollaio” che infastidisce il premier. Il presidente del consiglio approfitta della presentazione del nuovo libro del conduttore di Porta a Porta per tuonare: “La par condicio è da abolire , è una legge liberticida”. Certo: contrasta con la sua libertà di fare tutto ciò che vuole. Non contento, va avanti: “E’ il pollaio della tv. In Italia abbiamo trasmissioni in cui non c’è confronto, ma risse”. E già. Lo sa bene lui che in una memorabile puntata di Porta a Porta offese Rosy Bindi definendola “più bella che intelligente”, un argomento che oltre ad essere degno di un maleducato è chilometri luce distante dal dibattito politico di cui oggi il premier si fa paladino.
la protesta dei conduttori. I giornalisti Rai non ci stanno e hanno chiesto di essere ascoltati subito, nel Cda che impegnerà i vertici oggi pomeriggio. Lo scopo è fermare l’assurdo regolamento che dovrebbe vedere la luce proprio oggi e contro cui l’Usigrai ha già indetto lo sciopero. Le nuove norme sono state approvate in commissione di Vigilanza martedì alle 23, con un colpo di mano del Pdl, mentre il PD per protesta e per far si che non si raggiungesse il numero legale, si è allontanato dall’aula. Nonostante tutto, la maggioranza è riuscito ad approvare le nuove regole che, se si tradurranno in pratica, metteranno la parola fine su gran parte del palinsesto d’approfondimento delle reti pubbliche. Ai conduttori sarà “concesso” di parlare d’altro. Insomma, è l’inizio di una nuova era, l’ “era Minzolini”, quella in cui mentre la crisi impazza e gli esponenti politici finiscono in manette, si parla della fioritura del ciliegio giapponese…
Pier Luigi Bersani boccia la scelta del governo: “La decisione va rivista, perché tocca profili di libertà. Non bisogna fare di ogni erba un fascio. La preoccupazione dei Radicali e’ storica, veder garantito l’accesso. Quella della maggioranza e’ di chi vuol ovattare la realtà e nascondere i problemi. Non vedo incompatibilità tra il mantenimento di trasmissioni di approfondimento giornalistico, affidate alla responsabilità del conduttore e all’osservazione della Vigilanza, e l’apertura nel palinsesto di finestre elettorali con tutte le forze in parità di accesso”.
Per il capogruppo PD alla Camera Dario Franceschini si tratta si un’ ”esplosione totale del conflitto di interesse. E’ cosa di una gravità assoluta perché si restringono totalmente gli spazi, nella loro idea che più c’e’ confronto libero e più e’ pericoloso. È un’altra esplosione totale del conflitto di interessi perché quelle che vengono cancellate sono trasmissioni che portano entrate pubblicitarie alla Rai e siccome valgono per tv pubblica e non per reti private, che sono di proprietà del Presidente del Consiglio e potranno continuare a fare quello che ritengono, si fa danno alla Tv pubblica e al contempo si cerca di zittire tutti”.
Anna Finocchiaro, capogruppo PD al Senato dichiara: “Sono rimasta molto male sentendo ieri il presidente Berlusconi. Innanzitutto perché ha dato una rappresentazione della politica, parlando di pollai, che francamente non e’ ammissibile, ma non e’ questo il punto. Io credo che il premier abbia voluto dire e’ meglio che non si discuta di politica in televisione. E’ meglio che i confronti non abbiano luogo e io questo lo trovo francamente inaccettabile”.
Per Giorgio Merlo, vicepresidente della Vigilanza Rai, è “un danno che si tradurrà in calo di ascolti, riduzione del pluralismo, riduzione degli introiti pubblicitari accompagnato da trasmissioni sostanzialmente inguardabili. Insomma un regolamento, quello approvato dalla maggioranza di destra della Vigilanza, che ha l’obiettivo, neanche troppo mascherato, di ridurre il pluralismo e colpire la cuore la credibilità e l’autorevolezza del servizio pubblico”.
Le forbici del governo sulla carta stampata. Ma il premier non si accontenta di mettere il bavaglio alla televisione pubblica. Ben presto toccherà piangere anche alla carta stampata, o quantomeno a quelle testate che vivono totalmente o in gran parte grazie ai contributi statali, quelle testate che fanno opinione, pluralismo, quelle che ormai fanno pare della storia italiana. Le stesse che Berlusconi proprio non sopporta. Rifiutandosi di apporre un emendamento ad hoc al decreto Milleproroghe, condizione precedentemente garantita da Fini e Tremonti ai direttori in rivolta, il governo condanna a morte quasi 100 testate. Da una parte, infatti, viene cancellato il diritto soggettivo ad accedere ai contributi diretti, dall’altra si opera un taglio che porterà via ai fondi per la stampa circa il 205 dello stanziamento 2010, che saranno erogati secondo il nuovo regolamento da stilare in estate, dopo gli stati generali dell’editoria.
A rischio 100 testate e oltre 4000 posti di lavoro. Oltre al taglio, che porterà il budget messo a disposizione dallo stato da 180 mln a 130 mln, a preoccupare i professionisti della carta stampata è l’abolizione del diritto soggettivo. Fino ad oggi testate no profit e d’opinione, fra cui L’Unità, Il Manifesto, Avvenire e Il Secolo d’Italia, avevano potuto contare su somme stabilite in base a criteri certi, sicurezza che consentiva alla testata di iscrivere a bilancio il contributo pubblico, o di utilizzarlo come garanzia su prestiti bancari fin quando il contributo non fosse stato effettivamente erogato. Da oggi si adotta il sistema della “torta” da distribuire tra i vari richiedenti, motivo per cui non si potrà prevedere quale cifra spetti ad una determinata testata finché non si avrà l’elenco completo delle richieste, vale a dire alla fine dell’anno. è assolutamente da escludere quindi che fondi generici e non quantificabili possano essere iscritti in un bilancio o usati come garanzia. Una spinta al fallimento e al licenziamento di massa per 100 testate, la morte certa per almeno la metà di loro.
Fnsi: sarà sciopero massiccio. Contro un attacco tanto violento, che mette a repentaglio oltre 4000 posti di lavoro, la Fnsi annuncia uno sciopero “vaso e incisivo” che potrà coinvolgere tutta la categoria dei giornalisti. C’è “massimo allarme e rabbia, almeno pari al senso di responsabilità con cui abbiamo seguito questa vicenda”. La dead line per alcuni giornali, ha aggiunto la federazione per voce del presidente Roberto Natale, è già stata “oltrepassata” e non si può perdere il treno del mille proroghe.
Il responsabile Cultura e Editoria del Pd Matteo Orfini dichiara: ”Bonaiuti deve smettere di prendere in giro il mondo dell’editoria. Due mesi fa ci ha detto che i fondi sarebbero stati confermati, oggi si accorge che in Italia c’e’ la crisi. E per affrontarla il governo cosa fa? Taglia orizzontalmente a tutti, invece di fare davvero una riforma che recuperi risorse moralizzando il settore. E’ una scelta sbagliata a cui si aggiunge la beffa: il sottosegretario sostiene che questa scelta non colpirà i piccoli giornali. Se vuole, possiamo organizzargli un giro tra le tante testate che stanno attivando la cassa integrazione. Forse riprendere contatto con la realtà aiuterebbe questo governo a combattere la crisi e non ad aggravarla”.
Una mozione bipartisan per fermare i tagli. Dal senato arriva un appello bipartisan per impedire al governo di mettere la fiducia, impedendo l’introduzione di nuovi emendamenti. Parlamentari di maggioranza e opposizione (Vincenzo Vita e Luigi Lusi del Pd, Roberto Mura della Lega, Enzo Raisi e Alessio Butti del Pdl), il presidente della Fnsi, Roberto Natale, e Lelio Grassucci di Mediacoop. Tutti, o quasi, hanno convenuto che il ‘milleproroghe’ è “l’ultimo treno”. “Se il governo non inserirà nel maxiemendamento al ‘milleproroghe’ la norma che fa slittare di un anno i tagli centinaia di testate dovranno chiudere”, ha affermato Vincenzo Vita. Nel ‘milleproroghe’ “c’è di tutto, anche i fiori di Sanremo, ma non si tutela la vita delle testate”. Lusi ha tenuto a sottolineare che un emendamento ‘bipartisan’ aveva superato lo scoglio della commissione Bilancio, proprio perché “non ha problemi di maggiori spese e di minori entrate” incontrando poi il ‘no’ del governo nella commissione di merito, la Affari costituzionali. Se la questione non dovesse risolversi si rischia, secondo Lusi, la “possibilità che il governo decida quali giornali possano vivere. Evidentemente l’impegno preso da Tremonti con il presidente della Camera, Gianfranco Fini, è carta straccia”. “Una boccata d’ossigeno ci vuole – ha affermato il leghista Mura – spero che in caso di fiducia la norma entri nel maxiemendamento. Altrimenti nel dl sviluppo sugli incentivi” che però doveva essere varato a fine gennaio e ancora non vede la luce. Poi il senatore del Carroccio ha proseguito: “Se c’è qualcuno che ha una volontà diversa e vuole chiudere i rubinetti lo dovrà anche dire”. Per Raisi, la “partita vera si gioca sul ‘milleproroghe’ e sul tema c’è tensione anche nella maggioranza. Il ‘milleproroghe è l’ultimo autobus. E se il governo non risolve la questione forse alla Camera ci saranno dei problemi”. “Se c’è una grande iniziativa di opinione, anche della rete, mediatica, persino Tremonti dovrà tenerne conto”, è l’auspicio di Vita.
Iv.Gia
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