Pietra tombale sul pluralismo dell’informazione. Il governo non salva le testate di idee, opinioni, cooperative e non profit: nessun emendamento nel decreto Milleproroghe. Nonostante le rassicurazioni di Giulio Tremonti. Dopo un pomeriggio di stop-and-go sul provvedimento in Senato, in serata è arrivato il maxiemendamento su cui è stata chiesta la fiducia che si voterà oggi. L’ennesima. Evidente che il governo non si fida della sua stessa maggioranza. Testo blindato: modifiche impossibili.
Anche quella sull’editoria, che pure aveva trovato un sostegno trasversale, su cui si era esposto anche il presidente della Camera Gianfranco Fini. Non solo restano in piedi le norme infilate con un blitz in Finanziaria, che cancellano il diritto soggettivo delle aziende ad accedere ai contributi diretti. C’è di più. C’è anche un comunicato di Palazzo Chigi in cui si annuncia un taglio ai contributi di circa il 20% sui fondi del 2010, che saranno erogati secondo un nuovo regolamento da stilare in estate dopo gli Stati generali dell’Editoria, convocati per giugno. Insomma, il sistema passato è cancellato. Per ora c’è l’assenza del diritto e meno fondi «per via della crisi», dichiara Paolo Bonaiuti.
Un binomio mortale, che getta nella crisi decine di aziende già pronte a chiedere cassa integrazione e stato di crisi. Se non cambia nulla alla fine dell’anno delle 92 testate finanziate dal fondo ne resteranno in piedi sì e no la metà, azzarda qualche addetto ai lavori. Con un danno grave al pluralismo dell’informazione. Tra le testate colpite compaiono infatti giornali importanti per la loro storia e la loro diffusione, come l’Unità, il loro forte rapporto con i lettori come il Manifesto. Ma anche nuove e ricche esperienze editoriali, che sperimentano nuovi modelli di comunicazione. Ci sono le cooperative e le imprese senza scopo di lucro e le testate delle minoranze linguistiche. Un universo variegato, che ha difficoltà ad accedere alla ricca torta della pubblicità. Tra questi anche giornali «finti», aperti solo per intercettare i contributi: per questo esiste la forte determinazione alla riforma del settore. Ma non certo con la spada di Damocle del rischio chiusura sulla testa.
Il rischio maggiore non sta tanto nelle minori risorse (dovrebbero scendere a circa 130 milioni, dai 170 utilizzati per il 2008), che comunque hanno copertura, come ha deliberato la commissione Bilancio del Senato. Il vero attacco sta nell’abolizione del diritto soggettivo. Grazie a quel sistema, infatti, ciascuna testata godeva della certezza di poter accedere a una somma stabilita, in base a certi criteri. Questa certezza – fondata appunto sul diritto soggettivo al sostegno – consentiva alla testata di iscrivere a bilancio il contributo pubblico, o di utilizzarlo come garanzia su prestiti bancari fin quando il contributo non fosse stato effettivamente erogato. I finanziamenti infatti vengono sbloccati nell’anno successivo a quello di riferimento. In questi mesi si attende il contributo relativo al 2009, che in via di principio dovrebbe essere erogato secondo il vecchio sistema, ma che il governo intende invece calcolare secondo il nuovo.
Eliminato il diritto soggettivo, si adotta il sistema della «torta» da distribuire tra i vari richiedenti. Una «fetta» a ciascuna testata. Il fatto è, però, che fino a fine anno non si conosce la consistenza della «fetta», perché non si sa tra quanti soggetti si dovrà spartire la torta. Questo impedisce alle imprese di iscrivere cifre in bilancio o di accedere a crediti bancari. Ecco perché è una scelta mortale, un vero accanimento che non produce risparmi, ma solo stati di crisi. Non sembra una grande trovata per un ministro dell’Economia che voglia combattere gli effetti della crisi.
Il fronte dei giornali di opinione e il sindacato dei giornalisti non rinuncia alla battaglia parlamentare, nonostante la blindatura del governo. Ora la battaglia si sposta alla camera e se anche lì il governo dovesse tirare dritto, si utlizzerà il decreto annunciato dal ministro Scajola per lo sviluppo. Ma di quel decreto non si è vista ancora traccia.
da www.unita.it, del 10 febbraio 2010
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da www.manifesto.it
Saliamo sul tetto
Berlusconi impone il voto di fiducia sul maxiemendamento che sancisce la fine del diritto soggettivo al contributo pubblico del quale finora hanno goduto il manifesto e un centinaio di testate no profit e di partito, tra cui L’Unità, Liberazione, Il Secolo d’Italia, la Padania, Avvenire, Europa e tanti altri. Il manifesto da trentanove anni (aprendo la via ad altri quotidiani) vive e combatte senza padroni e padrini alle spalle, con pochissima pubblicità e con la sola forza dei suoi lettori e abbonati. Questa è una condanna a morte, né più né meno. Non intendiamo mollare, protesteremo, combatteremo, andremo in piazza, saliremo sui tetti se necessario. Chiameremo i nostri compagni di sempre e i cittadini democratici a sostenere la nostra resistenza.
Il pretesto dell’affossamento della libertà di stampa è che bisogna risparmiare, mentre si buttano soldi a man bassa in corruzione pubblica e privata. È un attacco mortale ai quotidiani no profit, alla libertà di stampa e alla democrazia del paese. Il capo di questo governo è padrone di una fetta enorme dell’informazione italiana e comanda su gran parte di quella pubblica e di quella privata di cui non è direttamente proprietario. Comincia dai piccoli e deboli per poi mettere in riga e addomesticare i forti. Per tutte queste ragioni, che riguardano la libertà del paese e non soltanto la vita del manifesto, chiediamo a tutti, a partire dal parlamento, dalle forze politiche e dagli altri quotidiani, anche nostri avversari, solidarietà, sostegno e iniziative comuni. Siamo furiosi, ma fiduciosi nella possibilità di una risposta forte a chi ci vuole giustiziare.