Quando è scesa la sera hanno acceso anche un falò, un po’ per scaldarsi dopo ore al freddo. Un po’ per non spegnere la luce sulla loro protesta. Eccoli gli operai dell’Alcoa: 600 dalla Sardegna, altri 400 dal Veneto. In piazza Montecitorio per scongiurare la chiusura degli stabilimenti di Portovesme e di Fusina. Circondati da un cordone strettissimo di polizia per evitare «contatti» con Palazzo Chigi. Nella sede del governo Gianni Letta con i manager aziendali di Pittsburgh, i sindacati confederali, i ministri Sacconi, Scajola, Ronchi. Partita dura. Gli americani vogliono pagare l’energia sotto i 30 Kw-ora, Enel non è disposta a riduzioni di prezzo. E poi c’è la commissione Ue contraria a sconti concessi con agevolazioni statali. La trattativa, dunque, si gioca sulle date: chiedere all’Alcoa di non chiudere gli impianti il 6 febbraio, arrivare fino al 9 quando Bruxelles si pronuncerà sul decreto governativo che prevede agevolazioni energetiche nelle aree «svantaggiate»: Sardegna e Sicilia.
I PADRONI AMERICANI Il problema restano i padroni americani. Hanno rilevato gli stabilimenti a prezzi stracciati, raggranellato aiuti consistenti e ottenuto utili da record. Eppure non hanno alcun interesse a proseguire l’avventura italiana. Per loro chiudere Alcoa è risolvere in fretta un problema di costi. Per gli operai, invece, è la fine. È la sesta volta che tornano a Roma. Sono partiti da Cagliari lunedì pomeriggio con la nave della Tirrenia, ieri sono sbarcati alle 10.30 a Civitavecchia. C’era mare. «Ma parlavamo tra noi, ci caricavamo», raccontano. Un’odissea. Poi i pullman fino a Roma, «pagati di tasca nostra, tassandoci », e infine Montecitorio. Alla Camera il dibattito sul legittimo impedimento, sotto la disperazione di chi sta perdendo tutto. Paradossi nostrani. Vergogne da Repubblica delle banane. «Stiamo perdendo anche l’idea della speranza», spiega unoperaio giovanissimo, con la bandiera sarda dei Quattro Mori avvolta sulle spalle. Non si fermano quelli dell’Alcoa. «Non molliamo mai». Cantano come allo stadio, usano i fischietti, sparano i petardi di Natale, picchiano sui tamburi di latta. Tosti quelli dell’Alcoa. «Fare casino è l’unico modo per farci ascoltare perché siamo sardi e l’Isola è troppo lontana dagli interessi di questa gente qui». Indicano il Parlamento. Slogan, cori. «Berlusconi dove sei? Cappellacci dove sei?». Il presidente della Regione ieri ha dovuto ricevere Bertolaso alla Maddalena: più importante sponsorizzare i fantasmi del G8, dare un tocco di cipria allo sfascio, coprire lo spreco. Oltre 300 milioni di euro buttati al vento. Maestrale, per la precisione.
LE TENDE NELLA NOTTE Non mollano quelli dell’Alcoa. Montano le tende, srotolano i sacchi a pelo. «Abbiamo un biglietto di sola andata », dice un operaio anziano, metà vita trascorsa in fonderia. Sono uomini in maggioranza, molte anche le donne. E poi ci sono i veneti con le bandiere di San Marco, i «fratelli » di Fusina, che raccontano di altri tempi, quando Marghera funzionava alla grande. Nel pomeriggio arriva Bersani e viene salutato con un applauso, gli operai gli consegnano un casco, una barretta di alluminio. C’è anche Di Pietro che stringe mani, s’indigna.
Susanna Camusso, segretario confederale della Cgil, sintetizza il problema in poche battute: «L’obiettivo del tavolo è che la multinazionale americana dell’alluminio ritiri la decisione di fermare gli impianti. Questo equivarrebbe alla chiusura dei siti. E noi lo riteniamo inaccettabile. Andiamo a misurare l’autorevolezza del Governo». In serata Berlusconi ha chiamato Barroso per il sostegno della Ue. Risposta: «Priorità assoluta». Vedremo. Non sono soli quelli dell’Alcoa. Chi è rimasto a Portovesme ha raddoppiato i turni per non fermare la produzione. ACarbonia e Iglesias le scuole sono rimaste chiuse e in serata, in contemporanea con la manifestazione a Roma,il vescovo ha guidato una fiaccolata di solidarietà. Rosari e slogan, rabbia e orgoglio. Perché Alcoa, per la Sardegna, è l’ultima roccaforte. In un anno, nel Sulcis Iglesiente, hanno chiuso Euroallumina, Ila e Rockwull. Un deserto. Non c’è altro. La terra in ginocchio. «Biglietto di sola andata,non molliamo». Sarà una notte lunghissima.
L’Unità 03.02.10
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