Alcoa, bloccato l´aeroporto di Cagliari, tafferugli con la polizia. Più di due milioni di italiani sono senza lavoro. Tra loro è altissimo il numero di giovani che trovano sbarrato l´accesso al mondo produttivo. E se le donne resistono perché per lo più occupate nei servizi, sono gli uomini a pagare il prezzo di una crisi occupazionale annunciata. Gli economisti questa volta (e forse non era difficile), ci hanno visto giusto. Attenti, ripetevano, perché gli effetti della crisi finanziaria arriveranno nel 2010, scaricandosi sul mondo del lavoro.
La fotografia dell´Istat è impietosa: il tasso di disoccupazione a fine dicembre 2009 è salito all´8,5%. Un anno prima era al 7%. Se ne sono andati in fumo 306.000 posti. Tra i giovani dai 15 ai 24 anni i senza lavoro arrivano a toccare un tasso del 26,2%, maggiore della media dell´Eurozona, che si “ferma” al 21%. Numeri che non si vedevano dal 2004 e che forse sarebbero stati peggiori se in questi mesi sindacati e imprese non avessero puntellato i posti con il ricorso alla cassa integrazione o ai contratti di solidarietà. Ma non sempre funziona. All´Alcoa, che produce laminati (una ex partecipazione statale passata a una multinazionale Usa), gli americani vorrebbero chiudere e licenziare. L´energia gli costa troppo e dopo mesi di proteste ieri gli operai hanno bloccato l´aeroporto di Cagliari, riaperto solo dopo l´intervento del governo, che ha promesso un incontro il 2 febbraio. Ma tra operai e polizia ci sono stati tafferugli.
L´Alcoa è uno dei tanti dossier che si stanno accumulando sul tavolo del ministro del Lavoro Maurizio Sacconi. Che certo è preoccupato, ma meno di altri colleghi europei. Nell´Europa dell´euro il tasso di disoccupazione è infatti più elevato che in Italia, al 10%, come ha comunicato ieri l´ufficio statistico della Ue (era all´8,2 un anno prima, a dicembre 2008). Le ultime stime che arrivano da Eurostat parlano di oltre 23 milioni di senza lavoro nell´Ue a 27, di cui 15 nella zona euro.
Drammatica la situazione in Spagna, dove il tasso di disoccupazione è salito al 19,5% e in un anno sono andati in fumo un milione di posti di lavoro. Va meglio invece in Germania, Danimarca, Gran Bretagna che non superano il 7%, mentre la Francia fa peggio dell´Italia, con un tasso del 10%.
«Sarà un anno difficile», ha commentato il ministro del Lavoro, sottolineando però come l´Italia abbia una situazione migliore dell´Europa. Preoccupati i sindacati, tutti. «È evidente – attacca la Cgil – che le scelte del governo, nonostante la propaganda, non corrispondono alle necessità del Paese». Fammoni, segretario nazionale di Corso d´Italia, chiede «il blocco dei licenziamenti», ma anche «il prolungamento delle tutele e l´ampliamento a chi ne è privo». Per la Cisl è necessario aprire un tavolo con il governo per affrontare la crisi, mentre la Uil chiede l´introduzione di meccanismi di premialità per quelle imprese che garantiscono il mantenimento della base occupazionale. L´unica strada per evitare «una macelleria sociale».
La Repubblica 30.01.10
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Senza lavoro 2 milioni di italiani , di Vittorio De Benedictis
A Genova forte aumento dei sussidi di disoccupazione (più 45%) e mobilità (53%)
Per la Cgil i dati «sono gravissimi» e bisogna «ampliare subito le tutele e bloccare i licenziamenti». Il segretario confederale Fulvio Fammoni guarda soprattutto ai «giovanissimi, all’enorme bacino di lavoro nero, all’emergenza Mezzogiorno». Oltre due milioni di disoccupati. Il tasso dei senza lavoro in Italia, nel dicembre 2009, è schizzato all’8,5% il più alto dal 2004. Il prezzo maggiore è pagato dai giovanissimi, quelli che rientrano nella fascia d’età tra i 15 e i 24 anni: sono privi di occupazione 26 ragazzi su cento. Gli uomini sono più in difficoltà delle donne perché sono loro in maggioranza a lavorare nelle industrie, il settore più colpito.
Anche Genova lancia segnali preoccupanti: la sede locale dell’Inps, nel 2008 aveva ricevuto 6.455 richieste di sussidi di disoccupazione. L’anno scorso le domande sono balzate a 9.379: un aumento del 45%. Nello stesso periodo le richieste di mobilità sono passate, sempre a Genova, da 327 a 501 con un incremento del 53,2%.
L’Italia, se si guarda alle statistiche, non è messa peggio di altre nazioni europee. A volersi consolare, in Spagna il tasso dei senza lavoro sfiora il 19 per cento, l’Irlanda tocca il 13,3 per cento, la Francia è al 10 che è poi la percentuale media di disoccupazione in Eurolandia. Sotto di noi, la Germania (tasso del 7,5 per cento). Ma non c’è molto di cui stare allegri se guardiamo ai 2 milioni 138 mila disoccupati registrati alla fine di dicembre del 2009, 57 mila in più rispetto a novembre, quasi 400 mila se si guarda al dicembre 2008.
Il ministro Maurizio Sacconi si consola sottolineando come l’Italia «abbia una situazione migliore dell’Europa» ma ribadisce che per il «2010 le previsioni sono di un anno difficile per i quali il governo ha comunque risorse sufficienti». Sull’argomento si apre lo scontro politico con Massimo Donadi, capogruppo dell’Idv alla Camera, che spara sul governo, «immobile di fronte a certe cifre drammatiche che danno la dimensione della crisi». Dice Donadi: «Servirebbe un piano di rilancio dell’economia ma il governo è talmente irresponsabile da rimanere inerte, a parte negare la crisi e lanciare qualche slogan di tanto in tanto».
L’urlo di dolore si alza anche dalla Confapi che rappresenta 120 mila imprese. Paolo Galassi, presidente nazionale: «La crescita dei disoccupati è dovuta alla crisi delle aziende più piccole: non dimentichiamo che la quasi totalità dei lavoratori in Italia è impiegata in un’industria piccola o media». Di fronte alla crescente difficoltà delle famiglie italiane per il sindacalista della Uil Guglielmo Loy «occorre premiare quelle aziende che non licenziano». Per la Cgil i dati «sono gravissimi» e bisogna «ampliare subito le tutele e bloccare i licenziamenti». Il segretario confederale Fulvio Fammoni guarda soprattutto ai «giovanissimi, all’enorme bacino di lavoro nero, all’emergenza Mezzogiorno». Parte poi la stoccata al Governo: «Qualcuno avrà il coraggio di commentare: stiamo meglio di altri, il peggio è passato, è già stato fatto tutto il necessario». Il sindacalista sostiene che l’Italia sia «a uno snodo chiave: molte imprese sono a rischio chiusura, altre usano impropriamente la crisi per ristrutturare: Il rischio per il lavoro, se le scelte saranno queste, sarebbero ancora più gravi».Ecco perché la Giorgio Santini segretario Cisl – dopo aver sottolineato che il tasso di disoccupazione è rimasto al di sotto della media Ue grazie all’utilizzo e all’estensione di della cassa integrazione e dei contratti di solidarietà – chiede un nuovo accordo tra governo, regioni e parti sociali». Insomma, un patto per rilanciare le imprese e il lavoro.
Vittorio De Benedictis
Il Secolo XIX 30.01.10
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Eurispes: «Sono in Italia gli stipendi più bassi tra i paesi industrializzati»
Gli stipendi italiani sono tra i più bassi dei Paesi industrializzati. Lo rivela il Rapporto Eurispes Italia 2010. «Dalla classifica 2008 relativa alle economie che fanno parte dell’Ocse emerge che, a parità di potere d’acquisto, l’Italia occupa il ventitreesimo posto sui trenta paesi monitorati, con un salario medio netto annuo che ammonta a 21.374 dollari, pari a poco più di 14.700 euro». Tra i paesi con il maggior salario medio netto annuo per un lavoratore senza carichi familiari si collocano tra i primi dieci: Corea del Sud (39.931 dollari), Regno Unito (38.147), Svizzera (36.063), Lussemburgo (36.035), Giappone (34.445), Norvegia (33.413), Australia (31.762), Irlanda (31.337), Paesi Bassi (30.796) e Usa (30.774). Il nostro Paese con 21.374 dollari occupa invece la ventitreesima posizione, collocandosi dopo quegli altri paesi europei con retribuzioni nette annue che si aggirano in media intorno ai 25mila dollari, tra i quali: Germania (29.570), Francia (26.010), Spagna (24.632), e superando invece solo: Portogallo (19.150), Repubblica Ceca (14.540), Turchia (13.849), Polonia (13.010), Slovacchia (11.716), Ungheria (10.332) e Messico (9.716). La distanza dell’Italia dal vertice della classifica è considerevole, essendo la differenza tra i salari piuttosto elevata: i dipendenti italiani percepiscono infatti uno stipendio annuo netto inferiore di 18.557 dollari rispetto ai coreani, 16.773 dollari in meno rispetto agli inglesi e più di 14.600 dollari rispetto a svizzeri e lussemburghesi. Abissi ci separano anche da Norvegia, Irlanda, Paesi Bassi, Germania, Austria, Svezia, Grecia, Belgio e Francia. Volendo fare un paragone con gli altri cittadini europei, il lavoratore italiano percepisce un compenso salariale che è inferiore del 44% rispetto al dipendente inglese, guadagna il 32% in meno di quello irlandese, il 28% in meno di un tedesco
L’Unità 30.01.10
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