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"L'Italia rassegnata", di Ferdinando Camon

Ho ospite in casa un amico straniero, un francese. Passiamo giornate e serate insieme. E guardiamo la tv. Il suo sguardo ha cambiato il mio. Lui, straniero, guarda con eccitazione notizie delle quali io, italiano, neanche m’accorgo. A Favara è crollata una casa, due bambine sono morte, carabinieri e magistrati si son riuniti per vedere se c’è qualche problema: il crollo è colposo? è colpevole? ci sono case nuove non assegnate? perché? ci sono responsabilità? Ieri sera trapelava che non c’era nessun indagato. Perché? Bisogna vedere a chi spettava la sicurezza a suo tempo, a chi il controllo degli edifici, a chi l’assegnazione degli alloggi. Per me, italiano, è tutto normale. È stato così nel passato, lo è nel presente, lo sarà nel futuro. Non ho mai pensato di lasciare ai miei figli un’Italia senza mafia, senza camorra e senza ‘ndrangheta. Mafia, camorra e ‘ndrangheta qui sono e qui resteranno. Edilizia e mancati controlli formano un binomio fisso. Morte di inquilini e nessun indagato è la prassi. Sud e disgrazie vanno insieme. Dal Sud diranno: come Nord ed evasione. Ma certo, hanno ragione. Ma l’amico straniero mi fa mille domande: se una casa è legalmente abitata e crolla, invece di cercare se ci sono dei colpevoli, non bisognerebbe cercare chi sono? Gli edifici hanno un costruttore: costui non resta agli atti? Gli edifici sono stati collaudati? Il collaudatore risulta agli atti? Provo a dirgli: ma a Perugia i collaudi non si trovavano… Lui osserva: un documento che non si trova, o non c’è o è nascosto. Fa un ragionamento elementare, che sta al terremoto di Perugia come i pareri di Perpetua al problema di don Abbondio. E cioè: per fare un edificio pubblico si bandisce una gara, affidata la costruzione non si permettono varianti, stabiliti i tempi non si ammettono ritardi, finiti i lavori si passa al collaudo, e il collaudatore non deve spartire interessi col costruttore. Sono cinque punti. Ne è stato infranto qualcuno a Perugia? Il sospetto è: tre, quattro, a volte tutti. Più uno: anche i tempi della ricostruzione urgente sono stati scavalcati.

Il tg procede, va sulle case abusive di Ischia. Arriva la squadra dello sfratto, e si scatena l’inferno: non solo la famigliola insediata nella prima casupola da buttar già, ma altre trecento persone organizzano barricate: pietre, bottiglie, spranghe, bastoni. Il vicequestore finisce al pronto soccorso. Domanda: ma è una sola casa abusiva? No, seicento. Costruite in una notte? No, da tempo. Mesi? No, dieci anni. Prima che faccia un’altra domanda, lo precedo: in tante città ci sono case abusive vecchie di mezzo secolo. E non solo al Sud. Risultano al catasto? No. Risultano alle foto aeree? Sì. E perché non sono censite? Non lo so. Pagano l’Ici? Mai pagata. Noi italiani non vediamo queste illegalità, perché non sono rare, sono normali. Ognuno di noi ha una quindicina di amici, va al cinema con loro, con loro in pizzeria. Sa benissimo quanti e quanto evadono. Se una famiglia ha quattro case, son quattro prime case, intestate a padre, madre, figlio, figlia. Applicano una morale condivisa da gran parte degli italiani: lo Stato non mi riguarda, io ho soltanto la mia famiglia, sono onesto se faccio l’interesse della mia famiglia. Se un padre ha dei problemi con le tasse, la famiglia lo ama di più. Tutti son convinti che mafia, camorra e ‘ndrangheta non verranno mai distrutte, perché chi dovrebbe distruggerle spartisce i loro interessi. Se cambi governo, il nuovo governo subentra al precedente anche negli interessi. Siamo rassegnati. Ad Haiti son cadute le case dei poveri, perché eran fatte male, le case dei ricchi sono ancora in piedi. Noi italiani lo abbiamo capito in due giorni. Qui in Italia abbiamo lo stesso problema da mezzo secolo, ma la rassegnazione ci rende ciechi.
La Stampa 29.01.10

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