E’ il Giorno della memoria. Memoria dell’Olocausto, memoria dell’orrore compiuto dall’uomo sull’uomo. Una memoria necessaria più che mai oggi per ricordare il passato e vigilare sul presente.Senza radici comuni i popoli non possono avere un presente degno della loro storia e tanto meno costruire un futuro. Oggi ricordiamo i 6 milioni di ebrei vittime del nazismo, gli orrori di quello sterminio, le persecuzioni e i campi di concentramento. “Senza memoria non c’è futuro. E la memoria della Shoah dovrà rimanere per sempre come monito per tutta l’umanità affinché mai più sia raggiunto quell’abisso”.
E’ con queste parole che Pier Luigi Bersani interviene nelle celebrazioni della ‘Giornata della memoria’.
“E’ nostro dovere tramandare, soprattutto alle nuove generazioni, la storia tragica della Shoah per non dimenticare e perché ciò che è stato ancora oggi
interroga le nostre coscienze. Non dimenticare l’abisso per non dimenticare che odio e pregiudizio sono le cause che l’hanno determinato. Per questa ragione – prosegue Bersani – chi è chiamato, nella politica come nella società, ad assolvere una responsabilità deve sentire su di sé l’impegno morale di non alimentare mai questi sentimenti; deve sentire l’urgenza morale di unire e non di dividere, di aiutare la comprensione reciproca di quell’insieme di persone che chiamiamo umanità”.
“Le tante iniziative previste oggi, in tutta Italia, per celebrare la ‘Giornata della Memoria’ per ricordare la persecuzione e lo sterminio del popolo ebraico, i deportati militari, civili e politici nei campi di sterminio nazisti, siano quindi motivo per riflettere sul valore della dignità e del rispetto dei diritti umani di ogni singola persona”.
Napolitano: “Non dimenticare ciò che è stato perchè non abbia mai più a ripetersi”.
Il Capo dello Stato in occasione delle celebrazioni del Giorno della Memoria, ha inviato un messaggio al Presidente della Fondazione del Memoriale della Shoah di Milano, Ferruccio De Bortoli, per la posa della prima pietra del Memoriale della Shoah di Milano in cui esprime il suo “apprezzamento per avere portato a compimento il non facile percorso necessario per dare inizio ad un’opera che ritengo altamente significativa, quale luogo di testimonianza di un evento tragico che dovrà per sempre rimanere quale monito nella memoria delle generazioni future. Ricordo con commozione la visita che ebbi modo di compiere tre anni fa in quel cupo sotterraneo della Stazione di Milano che era punto di partenza per il viaggio dei treni blindati diretti ai campi di sterminio nazisti, dove vennero atrocemente eliminati più di ottomila italiani di religione ebraica: uomini e donne di ogni età, vecchi e bambini, scoperti ed arrestati in Italia con l’attiva e consapevole complicità della Repubblica Sociale. Peccheremmo di colpevole indifferenza se non adempissimo quello che ci si presenta come un dovere: non dimenticare ciò che è stato, in una fosca stagione della nostra storia. Così come non dimentichiamo il grande stuolo dei giusti italiani che, a rischio della loro stessa vita, contribuirono a salvare molte migliaia di ebrei, non soltanto italiani. Fu la loro un’opera di riscatto per il nostro popolo”.
Ma quanti hanno perso al vita sotto il nazismo in una strage meticolosamente portata avanti per anni?
Le stime sono le seguenti:
Ebrei 5 – 9 milioni.
Polacchi non ebrei 1,8 – 2 milioni
Rom e Sinti 220 – 500 mila
Disabili e Pentecostali 200 – 250 mila
Testimoni di Geova 2 – 5 mila
Dissidenti politici 1,5 – 2 milioni
Slavi 1 – 2,5 milioni
Prigionieri di guerra Sovietici 2 – 3 milioni.
TOTALE 12,25 – 17,75 MILIONI di esseri umani.
Numeri da ricordare ai dementi che hanno deturpato con scritte antisemite, svastiche e celtiche il Museo della Liberazione a Roma, in via Tasso. Sono comparse nella notte parole contro l’Olocausto e la Giornata della Memoria, subito condannate.
Matteo Orfini, responsabile Cultura della segreteria nazionale del Pd, le bolla come “una vergogna. La città di Roma si è sempre distinta per la sua generosità, il suo altruismo e per un autentico antifascismo e non merita
che la sua storia venga infangata da atti come quelli compiuti oggi. Chi osa offendere la memoria della Shoah offende l’umanità intera. Chi ha avuto la codardia di compiere un gesto simile sappia che non può dirsi figlio di
questa città”.
Mentre il deputato PD Michele Meta chiede di scongiurare la ricerca del capro espiatorio: “Quei quattro fascisti che hanno imbrattato i muri del Museo della Liberazione di via Tasso hanno perso non solo la memoria ma anche la dignità di cittadini e meritano una dura condanna da parte delle istituzioni e dei romani. Nella giornata del ricordo delle vittime del nazifascismo – prosegue Meta -, riaffiorano rigurgiti di intolleranza che credevamo ormai sepolti. Non sappiamo bene se ciò è il frutto dello sfilacciamento progressivo dei valori costituzionali nel Paese, sostenuto spesso ad arte da alcuni rappresentanti della destra e dalla Lega, ma siamo certi della sempre maggiore intolleranza nei confronti degli immigrati, degli omosessuali e dei “diversi” che ha rappresentato in passato l’anticamera di terribili tragedie. Dobbiamo evitare in ogni modo che ad una società addormentata e distratta da falsi problemi – conclude Meta-, con una crisi economica dalle conseguenze gravissime, vengano dati in pasto capri espiatori, e impegnarci per isolare ogni tentativo di intolleranza e discriminazione”.
“Senza radici comuni ed una memoria condivisa i popoli non possono avere un presente degno della loro storia e tanto meno costruire un futuro – dichiara il Vice Presidente del Senato Vannino Chiti nel giorno in cui si fa memoria della Shoah – A distanza di tanti anni da quell’atroce tragedia – sottolinea Chiti – abbiamo il dovere di impegnarci affinche’ le giovani generazioni sappiano cosa accadde al popolo ebraico in quella stagione di barbarie” (la dichiarazione completa nell’area stampa).
I Giovani Democratici dell’Emilia-Romagna ricordano
come il 27 gennaio 1945 “fu chiaro ed inoppugnabile davanti al mondo, l’inumano genocidio di milioni di ebrei.
Il popolo ebraico non fu l’unico oggetto delle persecuzioni perpetrate dal folle totalitarismo nazista: omosessuali, rom, dissidenti politici, disabili, prigionieri sovietici, polacchi, slavi e minoranze religiose furono le vittime di una cieca intolleranza e di uno smisurato odio. Questa Giornata dovrà rimanere per sempre impressa nella nostra Memoria, per ricordarci il male assoluto che il nazismo ed i suoi ideali rappresentarono. Un monito quanto mai attuale, dal momento che l’intolleranza, il pregiudizio, la violenza razziale, religiosa ed omofoba non sono state estirpate, ma sopravvivono anche nel presente. La paura e l’avversione per il diverso, ricominciano ad aleggiare anche nella civile Europa, testimoniandoci come spesso la ragione dell’essere umano sia insufficiente per scongiurare il prevalere dell’odio”. E promettono: “Finché avremo fiato vigileremo affinché una simile tragedia non debba mai ripetersi”.
I Circoli del Partito Democratico di Casaletto Lodigiano, Caselle Lurani, Castiraga Vidardo e Valera Fratta (LODI) ci hanno inviato la riflessione che pubblichiamo di seguito:
Il 27 gennaio del 1945 le truppe dell’Armata Rossa, durante la loro avanzata verso Berlino, arrivarono nella cittadina polacca di Oświęcim (Auschwitz) e si trovarono di fronte al suo tristemente famoso campo di sterminio, liberandone i pochi superstiti, rivelando al mondo l’orrore del genocidio nazista.
Con la Legge 20 luglio 2000 n. 211, il Parlamento Italiano ha aderito alla proposta internazionale di dichiarare il 27 gennaio come la giornata in cui commemorare le vittime del nazismo e ricordare tutti coloro che, a rischio della propria, hanno salvato altre vite.
Quando l’Armata Rossa fece il suo ingresso nel campo di concentramento di Auschwitz, emerse, in tutta la sua drammaticità, l’orrore per l’olocausto di un popolo; le immagini, immortalate dagli operatori sovietici e mostrate al processo di Norimberga, come prova contro i crimini nazisti, sconvolsero il mondo intero, che prese finalmente coscienza dell’agghiacciante e sistematico stermino di ben 6 milioni di ebrei, teorizzato da Hitler nel suo “Mein Kampf” e coscienziosamente messo in pratica, dopo la conquista del potere.
L’antisemitismo, però, non è un’invenzione tedesca.
L’odio nei confronti degli ebrei ha le sue origini nell’antichità, è una forma di razzismo con motivazioni religiose, nel “Terzo Reich” trova un’espressione particolarmente violenta e orribile : il tentativo dell’eliminazione di massa di tutto un popolo.
Ricordare ciò che è stato, il delirio collettivo in cui sono caduti molti Paesi europei, è il tentativo di costruire un futuro libero da simili orrori, ma non è una garanzia di pace e di democrazia, non basta crogiolarsi nella memoria, bisogna agire ogni giorno, bisogna educare alla tolleranza e alla pace noi stessi e le giovani generazioni.
Undici milioni di persone sono passati attraverso i campi di concentramento, non erano tutti Ebrei, c’erano perseguitati politici, asociali, omosessuali, zingari, criminali comuni, testimoni di Geova, per ognuno di loro un numero e un pezzetto di stoffa colorata a segnare l’origine e il destino.
Se non cerchiamo di smontare i meccanismi che alimentano l’odio razziale, che giustificano la catalogazione degli uomini e il riconoscimento dei diritti sulla base di presunte appartenenze rischiamo di ricommettere gli stessi errori, magari rinnovati nella forma, agiti in sintonia con i tempi e con le nuove situazioni, ma alimentati dalla stessa cieca paura che annebbia la ragione, che ti fa dire: è necessario, è spiacevole ma è necessario, proprio non possiamo fare diversamente..
La paura, una paura che fa chiudere gli occhi, che giustifica gesti e azioni che non consentiamo neppure contro i nostri amati animali domestici, perché razzista non è chi riconosce le differenze, ma chi nega al diverso l’appartenenza all’umanità.
Anche allora si levarono voci di protesta, qualcuno usò il suo potere e le sue risorse per salvare vite, molti pagarono un prezzo altissimo, oggi sono eroi,di qualcuno di loro non abbiamo neppure il ricordo, ma non sono bastati.
Per fermare la barbarie ci vuole un’onda d’urto, non bastano qualche dibattito televisivo più o meno accesso, qualche immagine raccapricciante, qualche vescovo o prelato che ci ricorda che siamo tutti figli dello stesso Padre.
Le parole, le immagini, perfino la religione, tutto più essere strumento da piegare ai propri desideri,
da usare per giustificare l’ingiustificabile, l’unica consapevolezza è che siamo tutti uomini e la violenza contro noi stessi non può appartenerci.
Lo stesso Primo Levi, in quello che è considerato il suo testamento, un anno prima della sua morte, ribadiva come i germi della catastrofe ancora si annidano nella nostra epoca, e che resta sempre costante il rischio che quella catastrofe si riproponga: “E’ avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire“.
Diversi anni dopo aver lasciato il campo di sterminio, Primo Levi inseguito dai fantasmi si toglie drammaticamente quella vita che aveva difeso con tutte le sue forze durante gli anni della deportazione, le sue pagine e le sue poesie sono la sua preziosa eredità.
Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un si o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.
www.partitodemocratico.it
******
Auschwitz, preghiere e ricordi
per celebrare il giorno della Memoria
In Italia manifestazioni e convegni, il premio Nobel per la pace Wiesel parla alla Camera
VARSAVIA – Ci sono gli ex internati del campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, i reduci dell’Armata rossa che 65 anni fa liberarono il campo, studenti da tutta Europa, e molte personalità politiche, tra cui il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Insieme nel luogo che è divenuto il simbolo del ricordo dell’1,1 milione di vittime dell’Olocausto, nel giorno della Memoria che coincide con l’anniversario della liberazione del campo.
Le sirene di Auschwitz risuoneranno di nuovo alle 14,30 per marcare l’inizio delle cerimonie in quello che fu il più grande campo di sterminio installato dai nazisti nella Polonia occupata.
I partecipanti alle commemorazioni si raccoglieranno davanti al memoriale di Birkenau per recitare il kaddish (la preghiera ebrea dei morti) e preghiere ecumeniche e per ascoltare i discorsi ufficiali. Tra il 1940 e il 1945, circa 1,1 milioni di uomini, donne e bambini, di cui un milione di ebrei provenienti da tutta Europa, sono morti in questo luogo.
In mattinata, il Congresso ebraico europeo terrà una conferenza a Cracovia, nel sud della Polonia a circa cinquanta chilometri dal campo, a cui il presidente americano Barack Obama inverà un messaggio video. In contemporanea, i ministri europei dell’istruzione rifletteranno sui metodi di insegnamento ai giovani delle lezioni di Auschwitz.
In questa che l’Onu ha dichiarato universalmente Giornata della memoria, verrà anche inaugurata una mostra in Russia sulla liberazione del campo, che è l’unico tra i campi di sterminio nazisti ad essere stato preservato così come fu abbandonato dai nazisti in fuga di fronte all’avanzata dell’Armata rossa. Oggi è divenuto un museo, tornato di recente nelle cronache per il trafugamento dell’insegna di ferro posta all’ingresso (“Il lavoro rende liberi”), poi ritrovata. Altri campi installati in Polonia, come Sobibor, Treblinka o Belzec, vennero completamenti distrutti dai nazisti. Il museo di Auschwitz, che comprende le circa 300 baracche in cui vivevano reclusi gli internati e le camere a gas in cui vennero sterminati, è stato visitato da 1,3 milioni di persone nel 2009.
In Italia. Numerose le iniziative, oltre ai treni organizzati da sindacati e scuole alla volta di Auschwitz. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano presiederà alle celebrazioni ufficiali a Roma, il cui momento culminante sarà il discorso alla Camera del premio Nobel per la pace Elie Wiesel alla presenza del capo dello Stato e del presidente della Camera Gianfranco Fini.
Preghiere in sinagoga, mostre storiche e spettacoli teatrali, convegni e concerti in tutta Italia. Il momento più solenne si svolgerà al Quirinale quando, alla presenza del capo dello Stato Napolitano, il sottosegretario alla presidenza del consiglio Gianni Letta consegnerà le medaglie d’onore ai cittadini italiani deportati e internati nei lager nazisti. Cerimonie e celebrazioni si svolgeranno in tutte le città d’Italia, a partire da Milano, Torino, Bologna, Genova, Firenze, Bari e Cosenza. Sempre al Quirinale, si tiene poi la premiazione delle classi vincitrici del concorso “I giovani ricordano la Shoah”. Ancora a Roma, il comitato “Memoria, dialogo, pace” organizza un dies memoriae a cui parteciperanno mons. Rino Fisichella, il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, l’ambasciatore d’Israele Ghideon Meir e il ministro della Gioventù Giorgia Meloni. Il presidente del Senato celebrerà l’evento alle risiere di San Sabba. In serata, alle 20.30 alla sinagoga di Roma, i sopravvissuti ebrei ai lager incontrano insieme la comunità ebraica di Roma con il loro presidente Riccardo Pacifici e il rabbino Di Segni.
La Repubblica 27.01.10
******
La bambina del binario 21, di FABIO POLETTI
L’ultima superstite milanese torna sul luogo da cui partì il treno per Auschwitz
Il viaggio di Liliana Segre non è ancora finito. Anche se oggi ha ottant’anni, i capelli candidi, gli occhiali che le danno un’aria da anziana signora finalmente in pace, si sente ancora «la nonna di me stessa», come racconta nel film di Andrea Jarach «Binario 21».
Su quel binario nei sotterranei bui della stazione Centrale, a Milano, dove per decenni sono rimaste assopite coscienze insensibili a offese mostruose, Liliana Segre è tornata ieri. E anche se non era la prima volta, per lei, è stata un’occasione speciale. C’è venuta per inaugurare quel monumento, si spera inchiodato per sempre a un binario morto – un vagone piombato, il filo spinato là in alto -, che ricorda quelli che non tornarono da Auschwitz e i troppi che nei campi vennero deportati partendo dalla stazione di marmo lucido che Mussolini volle a dimostrare la «grandezza dell’Impero».
Era una bambina, Liliana Segre, quando partì. Aveva tredici anni e non sapeva ancora che essere ebrea, anche se italiana, fosse una colpa grave. Su quel treno, il 30 gennaio 1944, erano in seicentocinque. Quattrocentosettantasette tra i quali suo padre furono uccisi all’arrivo ad Auschwitz. Altri 108 morirono prima della liberazione e dell’arrivo dei russi. Alla fine della guerra torneranno in venti. Troveranno per anni porte chiuse, insensibili al dolore e alla memoria. La prima stesura del libro di Primo Levi «Se questo è un uomo» venne rifiutata dagli editori. Liliana Segre aspetterà cinquant’anni, prima di farsi «memoria» da sé.
«Oggi al binario 21 ho chiesto a tutti che si alzassero in piedi. Non volevo che onorassero solo chi, come me, è sopravvissuto ai campi. Volevo che si ricordassero di quelli che non sono più tornati. Sono arrivata a ottant’anni per vedere questo momento. Spero di avere la forza di esserci anche tra due, quando sarà finito il monumento» dice lei, che si sente una voce tra tante: identica a quella che avrebbero avuto quei 6 milioni di deportati se fossero tornati a casa.
Ebrei, antifascisti, antinazisti, omosessuali, comunisti, prigionieri politici, zingari, onorati e finalmente ricordati con una legge voluta dal Parlamento solo nel 2000. Una legge che finalmente istituisce il 27 gennaio, data in cui vennero abbattuti i cancelli di Auschwitz, «Giorno della Memoria».
«Questo è un Paese dalla memoria corta. È sempre fastidioso fare i conti con il proprio passato. Per anni i libri di storia si sono fermati alla prima Guerra mondiale. Il silenzio è stata una costanza. L’indifferenza è molto peggio della violenza», dice oggi Liliana Segre. Parole simili a quelle usate per raccontare cosa accadde un giorno di dicembre, quando tradita da una guardia di confine svizzera che la ricaccia in Italia insieme al padre, venne reclusa a San Vittore nel braccio degli ebrei voluto dalle leggi razziali.
Ricorda un giorno da bambina, Liliana Segre, nel libro scritto da Emanuela Zuccalà «Sopravvissuta ad Auschwitz»: «A calci e pugni fummo caricati su un camion e portati alla stazione Centrale. La città era deserta. I milanesi non provarono alcuna pietà per noi: restarono in silenzio dietro le loro finestre».
Adesso, invece, i milanesi ricordano. Nei sotterranei bui della stazione ci sarà un monumento per non dimenticare. Dal binario 21 ogni anno – e anche oggi – partono treni verso Auschwitz carichi di studenti delle scuole superiori. «Qualche volta sento dire che ci sono le “gite” ad Auschwitz. Io, quei viaggi, preferisco chiamarli pellegrinaggi. Sono utili, è chiaro. Ma un po’ mi dispiace quando sento che nel programma è compresa anche la discoteca la sera, perché la gita non diventi troppo pesante per i ragazzi».
Dopo cos’ha visto e vissuto, adesso che ha ottant’anni, Liliana Segre non ha più tempo per diplomatici giri di parole. Il vento dell’oblio non la tocca. Ma davanti a polemiche che ogni anno spuntano dal calendario e da memorie distorte si è fatta meno sensibile. Negare certe pagine del diario di Anna Frank perché troppo crude la scuote come la leggerezza di chi parla a vanvera di Olocausto: «Mi è capitato di leggere romanzetti in cui si raccontava di Auschwitz… Fare diventare di moda la Shoah è come negarla».
Solo ai negazionisti, agli ostinati che non credono a quell’orrore, Liliana Segre non vuole rispondere: «Non è importante quello che io penso di loro. Vorrei sapere cosa loro pensano di me. Cosa pensano di quella bambina che salì su un treno al binario 21 e che, di quel giorno, ricorda allora ogni immagine, ogni odore, ogni voce».
La Stampa 27.01.10
******
Così le leggi razziali distrussero la scienza, di Pietro Greco
Oggi è la giornata della memoria. Ed è bene non dimenticare nessuna delle tragiche conseguenze che l’odio di razza ha prodotto in Europa a partire dal 7 aprile 1933. Non perché prima di quella data l’odio razziale non allignasse nel continente. Ma perché quel giorno in Germania l’odio assume una veste giuridica ed ebrei (ma anche zingari e poi portatori di handicap e persone ritenute antisociali) iniziano a essere discriminate per legge, creando le premesse per lo sterminio di massa.
La legge cui ci riferiamo riguarda il «ripristino dell’impiego nel pubblico servizio» che, col «paragrafo ariano», obbliga tutti coloro che ariani non sono a lasciare gli incarichi pubblici. Ciò comporta un grosso problema soprattutto per la comunità ebraica. Nei mesi successivi e con una serie di provvedimenti tra loro tristemente coerenti medici, insegnanti, giuristi ebrei sono costretti lasciare ospedali, scuole, tribunali.
Nelle università l’impatto delle leggi razziali è devastante. In pochi mesi 1.200 professori ebrei – il 14% dell’intero corpo docente della Germania – sono costretti a lasciare il loro incarico. Cacciati via. Per il momento Hitler acconsente alla richiesta del presidente von Hindenburg e concede una deroga ai veterani di guerra e ai figli dei caduti in guerra. Ma ben presto anche queste eccezioni verranno superate. Cosicché, nei cinque anni successivi, saranno cacciati via dalle università altri 1.600 ebrei. In totale tra il 1933 e il 1938 saranno 2.800 i professori cacciati via: un terzo dell’intero corpo docente.
Gli effetti sulla scienza tedesca e, più in generale, europea sono devastanti. Nel solo 1933 il 20% dei matematici, dei fisici, dei chimici e dei biologi tedeschi erano ebrei: una percentuale enorme, se si considera che la popolazione ebrea in Germania non superava il mezzo milione di persone ed era pari ad appena l’1,5% della popolazione.
Erano ricercatori di grande qualità. Come dimostra la storia dei premi Nobel. Tra il 1901, anno di istituzione del premio, il 1932 erano stati assegnati esattamente 100 Nobel scientifici. La Germania ne aveva vinti 33, contro i 18 della Gran Bretagna e i 6 degli Stati Uniti. Di quei 33 ben 8 (un quarto) erano stati vinti da scienziati ebrei.
Ebbene tutte queste persone, compresi gli 8 Nobel, lasciarono la Germania. La gran parte emigrarono in Gran Bretagna o negli Stati Uniti. La perdita per la cultura scientifica tedesca fu enorme e mai più riparata. Basta, ancora una volta, dare uno sguardo alla storia dei Nobel per averne un’indicazione. Tra il 1933 e il 1960 sono assegnati un altro centinaio di Nobel scientifici a Stoccolma. La Germania ne vince solo 8, contro i 21 della Gran Bretagna e i 52 degli Stati Uniti.
Qualcosa di profondo è cambiato. L’asse scientifico del mondo non è più centrato sulla Germania e neppure sull’Europa, ma si è ormai posizionato oltre Atlantico. Per questo gli americani Jean Medawar e David Pyke hanno intitolato Hitler’s Gift, il regalo di Hitler agli Stati Uniti, il loro libro che ricostruisce la storia degli scienziati ebrei perseguitati dai nazisti.
Anche in Italia ci sono stati effetti analoghi. Ben ricostruiti da uno storico attento, come Pietro Nastasi. Quando il governo Mussolini promulga nel 1938 le leggi razziali anche in Italia, 99 professori ordinari ebrei sono costretti a lasciare il loro incarico. Poiché il corpo docente italiano è costituito da 1356 professori ordinari, si tratta di una perdita secca del 7,3%. Da considerare come gli ebrei in Italia fossero appena 50.000, lo 0,15% della popolazione.
Agli ordinari vanno aggiunti 191 liberi docenti (per la gran parte, 117 a medicina). La scienza in Italia è meno sviluppata, ma dei 99 ebrei cacciati dalle università 22 appartengono a facoltà scientifiche e altri 22 a facoltà mediche. Quanto alla libera docenza, 137 dei 191 ebrei cacciati lavorano in facoltà scientifiche.
La perdita è, ancora una volta, incommensurabile. In ogni campo. Vengono mandati via matematici di valore assoluto, come Federigo Enriques o Tullio Levi-Civita. Maestri straordinari, come il biologo Giuseppe Levi che a Torino ha tra i suoi allievi tre futuri premi Nobel (Salvatore Luria, Renato Dulbecco e Rita Levi Montalcini). Ma è forse la fisica a subire il danno peggiore. In Italia esistevano due gruppi di assoluto valore mondiale, quello di Enrico Fermi a Roma, considerato al top planetario nel campo della fisica nucleare, e quello di Bruno Rossi a Padova, considerato tra i primi due o tre al mondo nel campo della fisica dei raggi cosmici.
Entrambi i gruppi si dissolvono all’impatto con le leggi razziali. E non è un caso che entrambi e leader – Enrico Fermi e Bruno Rossi – emigreranno negli Usa, diventando giganti della fisica americana. È stato il Mussolini’s Gift agli Stati Uniti d’America.
L’Unità 27.01.10