La mappa delle candidature per il voto amministrativo di marzo è diventata, ormai, la più efficace rappresentazione della vera forza dei partiti in Italia. Una sciagurata legge elettorale per la Camera e per il Senato, infatti, ha trasformato i parlamentari in personaggi nominati dalle segreterie romane, rompendo la dipendenza dal territorio nel quale formalmente si presentano.
Ecco perché la battaglia di questi giorni per scegliere gli aspiranti alla carica di presidente di Regione o di sindaco, nei Comuni dove sono previste elezioni abbinate, finisce per svelare una radiografia politica del nostro Paese assai illuminante.
Se, per questa volta, si limita l’osservazione allo schieramento di centrodestra, balza subito agli occhi la persistenza, dopo quasi vent’anni, della straordinaria anomalia nel rapporto tra la leadership di Berlusconi e il suo partito. La decisione di candidare Renato Brunetta a sindaco di Venezia, uno dei ministri più popolari del governo, ma anche uno dei rappresentanti più vicini all’anima originaria di Forza Italia, quella radicalmente liberista e populista, sembra costituire l’eccezione che conferma la regola di una estrema debolezza del partito di Berlusconi nel radicamento territoriale italiano. Con un contrasto clamoroso tra il consenso e il potere del presidente del Consiglio nel governo del Paese e la capacità di imporre in Regioni e Comuni la leadership degli uomini più a lui vicini.
Le candidature nelle regioni più rappresentative del Nord confermano questa opinione: la cessione alla Lega del Piemonte e del Veneto costituisce un segnale, sia d’immagine sia di concreto potere, fortissimo. Anche perché l’ennesima presenza di Roberto Formigoni alla conferma sulla poltrona più importante del Pirellone di Milano rafforza l’impressione di una posizione autonoma dell’attuale «governatore» lombardo, forte di un sistema di potere e di una ideologia politica sostanzialmente lontani dal nucleo fondante di Forza Italia.
Quando si allarga lo sguardo verso il Centro e il Sud, la sensazione non cambia: nel Lazio, la regione più importante dell’Italia di mezzo, la candidata, Renata Polverini, è stata indicata da An e dal suo grande sponsor Gianfranco Fini, così come riconducibile ad An è Giuseppe Scopelliti che corre per la presidenza della Regione Calabria. Anche in Campania, Stefano Caldoro, arriva a Forza Italia piuttosto tardi, solo dopo una lunga e importante militanza tra i socialisti. Infine, se si arriva alla Sicilia, il caso Lombardo acuisce l’impressione di una grande difficoltà del partito di Berlusconi nel rappresentare, sul territorio, l’equivalente forza del suo leader in campo nazionale.
E’ vero che questa anomalia conferma tutti gli stereotipi che hanno sempre accompagnato «la discesa in campo» di Berlusconi, dalle famose accuse sul «partito di plastica», sul partito proprietario e personale. Soprattutto conferma la debolezza nel reclutamento del ceto dirigente e nella capacità di affermazione politica sul territorio. Tutti problemi irrisolti e finora mascherati dalla prorompente e pervasiva personalità del suo leader. Ma la radiografia territoriale di questo partito dimostra l’inanità di tutto lo sforzo dei tanti aspiranti eredi di Berlusconi. Si rassegnino pure. Il premier ha sicuramente tanti, forse persino troppi, futuri eredi del suo patrimonio personale. Ma il suo patrimonio politico non ci sarà: neanche lui potrebbe assegnarlo. Perché anche lui sa che non si potrà trasmettere a nessuno. E, quindi, non esiste.
La Stampa 21.01.10