La lettera del Presidente della Repubblica alla signora Anna Craxi nella decennale ricorrenza della morte di quello che è stato il leader del Partito socialista e capo del Governo dal 1983 all’86, non è una missiva privata. È stata pubblicamente diffusa, come è giusto che fosse trattandosi non già di condoglianze per un lutto ma di un documento mirato – come il presidente Napolitano esplicitamente scrive – “a favorire una più serena e condivisa considerazione del difficile cammino della democrazia italiana nel primo cinquantennio repubblicano”. In realtà la lettera si occupa del periodo di cui Craxi fu uno dei protagonisti, né poteva essere altrimenti.
Quindi un pubblico documento che, oltre alla vedova di Bettino Craxi, è diretto all’opinione pubblica italiana, autorizzando pertanto una valutazione altrettanto pubblica del suo contenuto.
La lettera è ampia e si può dividere in due parti: la prima si occupa della politica di Craxi nei tre anni di presidenza del Consiglio; la seconda, assai più sommaria, della fase che è stata battezzata “Tangentopoli”. La diversa attenzione dedicata ai due argomenti è pienamente comprensibile: si voleva in questa lettera commemorare e privilegiare gli aspetti positivi e soltanto sfiorarne quelli negativi che però non potevano esser taciuti. Anche questo criterio adottato dal nostro Presidente è pienamente accettabile; fa parte di una “pietas” che non è soltanto una privata virtù ma un elemento costitutivo d’una democrazia dove convivono valutazioni diverse e talvolta non condivise né condivisibili, sulle quali la “pietas” soffonde una virtuosa tolleranza.
Tolleranza ma non oblio, che è invece incompatibile se modifica e mistifica il passato rischiando d’inquinare il presente e di compromettere il futuro.
La ricostruzione dell’azione politica di Craxi come leader socialista e per tre anni capo del governo corrisponde alla realtà, né poteva essere altrimenti essendo stata scritta da uno dei testimoni ed attori di quei fatti: la politica estera di Craxi, mirata ad una piattaforma italiana nel Mediterraneo, alla comprensione dei bisogni e dei diritti della Palestina e del mondo arabo, accompagnata peraltro dalla difesa dello Stato d’Israele. Infine una riconfermata e leale adesione all’alleanza nord-atlantica non disgiunta da iniziative volte a dinamizzare lo sviluppo dell’Unione europea.
Tutti elementi positivi, sui quali peraltro è doveroso aggiungere che ciascuno di essi, prima di Craxi, aveva costituito l’essenza della politica estera italiana con Fanfani, con Gronchi, con Aldo Moro, con Cossiga. Nessuno di quegli elementi rappresentò dunque una novità o addirittura una discontinuità, ma semplicemente una prosecuzione.
Qualche riserva si dovrebbe viceversa formulare sul rinnovamento del Concordato con la Santa Sede. Per certi aspetti fu un aggiornamento, per altri la riconferma di privilegi di tipo “temporalistico” che potevano anzi dovevano legittimamente essere invocati dallo Stato e non lo furono affatto.
Infine la grande riforma costituzionale. Craxi ne fece la piattaforma ideologica del suo pensiero ma ne dette una sola immagine: quella di un futuro e auspicato presidenzialismo. Il presidente Napolitano ci permetterà di affermare che un conto è modernizzare la democrazia parlamentare ed un conto del tutto diverso è volerla sostituire con un assetto di tipo presidenziale.
Aggiungiamo che l’azione di Craxi per realizzare l’unità della sinistra italiana nel quadro d’una democrazia compiuta non fu particolarmente efficace.
Anche il Pci ebbe notevoli responsabilità su questo mancato obiettivo (non certo Napolitano che anzi si batté coraggiosamente per realizzarlo), ma Craxi non fu da meno finendo addirittura con lo schierarsi con la parte più conservatrice della Dc.
Infine Tangentopoli. La lettera rievoca il discorso parlamentare in cui Craxi lanciò una chiamata in correità a tutti i partiti. Tutti, disse, avevano violato la legge sul finanziamento dei partiti e tutti, a cominciare dal suo, dovevano quindi assumersene la responsabilità.
Discorso senza dubbio coraggioso se ad esso fosse seguito il necessario sbocco: la chiamata di correo è l’ammissione di un reato in questo caso particolarmente grave. Chi si avventura su quel terreno prosegue dimettendosi dalle cariche che ricopre e mettendosi a disposizione dell’autorità giudiziaria. Non lo fece nessuno, a cominciare da Craxi il quale del resto non fu semplicemente il fruitore passivo del sistema di corruttela ma ne fu un attivo organizzatore con una differenza rispetto agli altri partiti di governo: il leader del Psi non si limitò a fruire delle “dazioni” ma intervenne sulle singole imprese e sulle singole loro operazioni tassandole o facendole escludere dalle gare. Tralasciamo per carità di patria i decreti in favore di Fininvest.
Detto questo, si proceda pure alla toponomastica nei Comuni che nella loro libera capacità di decidere vogliano intestare a Craxi piazze e giardini.
Altra cosa è la condivisione politica e morale, la quale non è parcellizzabile. Si condividano i meriti e si condividano le rampogne per i reati. Dopodiché c’è la “pietas” pubblica, ma non l’oblio.
La Repubblica 19.01.10