Sono anni che le amministrazioni di centrosinistra praticano politiche scolastiche a sostegno della composizione di classi che equilibrano le differenze, ad esempio riguardo al genere (maschi e femmine), alla disabilità, alla cittadinanza. Una composizione eterogenea ed equilibrata della classe ha un valore educativo in sé, che rende più efficace il metodo didattico ed enfatizza la missione educativa: cosa che invece non può accadere in una situazione di squilibrio, vale a dire con la presenza predominante di un genere o di ragazzi in condizione di handicap o di alunni stranieri, che conduce alla ghettizzazione della diversità.
Un equilibrio auspicabile e positivo che, rispetto alla presenza nelle classi di alunni stranieri, il ministro Gelmini dichiara di voler raggiungere ponendo il tetto del 30 per cento. Davanti a questa proposta, sorgono due interrogativi: come si calcola il presunto tetto? e con quali risorse umane e finanziarie lo si rispetta?
La circolare emanata dalla Gelmini contiene alcune proposte condivisibili. Si ispira al principio della flessibilità ed esclude dal tetto del 30 per cento i figli di immigrati nati e cresciuti in Italia (di fatto italiani per lingua e comportamenti, ma ai quali è ancora negata la cittadinanza); prevede laboratori linguistici e percorsi personalizzati di lingua italiana; prevede la possibilità di frequentare un corso intensivo di italiano propedeutico all’ingresso nella classe di pertinenza. Insomma, un approccio simile a quello adottato, ad esempio, dall’amministrazione comunale di Carpi, la città nella quale vivo.
Da tempo, infatti, il Comune di Carpi ha stipulato un accordo con l’amministrazione scolastica sulle iscrizioni che, intervenendo sullo stradario, consente di distribuire gli alunni in modo uniforme e di mantenere le classi numericamente più basse, così da poter inserire gli alunni che arrivano in corso d’anno. Il Comune di Carpi ha poi siglato un secondo accordo per l’istituzione di uno Sportello Unico che accoglie i bambini extracomunitari che arrivano durante l’anno (in media dai 100 ai 120 ogni anno, tra i 6 e i 12 anni) e li inserisce a scuola in base alla residenza e al numero di bambini stranieri già presenti, per classe e per scuola. L’attività dello Sportello Unico si completa con quella delle mediatrici culturali e del gruppo intercultura, per accompagnare il ragazzo straniero nel processo di integrazione scolastica. A tal fine, si utilizza anche un libro in cui si spiegano, nella lingua madre, la struttura scolastica, le regole, gli adempimenti, gli orari ecc.
Io credo che sia questa la strada da seguire: governare il fenomeno con lungimiranza invece di baloccarsi nel fissare rigide quote di bambini stranieri per classe stabilite sulla base della cittadinanza dei genitori piuttosto che sulla storia personale degli alunni, sulla loro comprensione linguistica, sul loro curriculum scolastico. Occorre cioè liberare la discussione dalle tossine ideologiche, che non sono mancate in questo dibattito da parte della Lega, e sostenere quei modelli di politiche scolastiche e di accoglienza che in questi anni si sono rivelati efficaci.
Ma per fare vera integrazione – e non propaganda – servono risorse umane e finanziarie, non tagli. Integrare costa. Costa la mediazione linguistica, i corsi di italiano aggiuntivi, il sostegno al diritto allo studio. Non è un caso se il progetto “Reti di accoglienza”, presentato lo scorso anno dal Comune di Carpi per destinare quattro docenti in più all’accoglienza e all’integrazione è rimasto lettera morta a causa dei tagli agli organici, che hanno posto fine anche alla bella esperienza di un docente distaccato destinato all’intercultura.
Insomma, sulle risorse casca l’asino. Dalla risposta che il governo ha dato ieri in aula alla Camera all’interpellanza urgente presentata dal PD per sapere come e con quali risorse il governo intende sostenere il suo progetto di integrazione, si svela l’inesistenza dei finanziamenti necessari e promessi con annunci roboanti, come quello dei 20 milioni di euro per corsi pomeridiani di italiano per gli stranieri. Ma questi soldi dove sono?
A domanda, il Governo risponde che le risorse stanno nel fondo per l’arricchimento dell’offerta formativa della legge 440, dimenticandosi di dire però che il fondo suddetto è già finalizzato ad una pluralità di interventi ed è stato tagliato dalla finanziaria da 140 a 60 milioni di euro per il prossimo anno scolastico. Così come sono state tagliate per oltre 200 milioni le risorse relative alle attività per il funzionamento della scuola e per garantire l’autonomia scolastica. Il Governo aggiunge, con impudenza, che i progetti mirati all’insegnamento della lingua italiana possono avvalersi delle “risorse professionali interne o di rete offerti e/o organizzati dal territorio”. In parole povere: arrangiatevi, e se non ci riuscite chiedete ai Comuni!
In conclusione, in questi giorni di inteso battito sugli alunni stranieri – coincidente con i fatti di Rosarno, guarda caso – abbiamo assistito nell’ordine: ai proclami televisivi inviati dal Governo agli alleati per rinsaldare la coalizione (il tetto del 30%) e ai cittadini per fare campagna elettorale (20 milioni a disposizione dei corsi di italiano); all’invio alle scuole della circolare sull’integrazione che, nel merito, afferma anche principi e misure condivisibili, pure distanti dai proclami suddetti (non è un caso che l’indagine condotta dall’università di Modena mostri un’alta adesione degli insegnanti della scuola dell’infanzia e della primaria al “tetto” e ai corsi preparatori di lingua italiana, ma un altrettanto netto contrasto alla creazione delle classi differenziate per italiani e stranieri); infine, alla dichiarazione del Governo, resa nell’aula di Montecitorio, sul fatto che al momento non c’è un euro a disposizione.
E allora, ai processi d’integrazione tanto sbandierati dalla Gelmini, quali gambe saranno date per diventare operativi? Vuoi vedere che è tutta propaganda?
Pubblicato il 15 Gennaio 2010