A Giuseppe Graviano è sempre piaciuto mandare messaggi. Lo ha fatto nei modi consoni ad una capomafia: minacciando e blandendo. L’ultima sua apparizione pubblica dell’11 dicembre scorso al processo dell’Utri è emblematica: parlerà quando starà meglio. Nè una conferma nè una smentita a Gaspare Spatuzza che ha fatto i nomi di Berlusconi e dell’Utri come garanti di un patto con la mafia. Ma Giuseppe Graviano, condannato per le stragi del ‘92-’93, uscito da poco dall’isolamento, nell’estate del 2002 è stato tra i protagonisti di un fitto carteggio, forse di una vera e propria trattativa, che oggi secondo alcuni ha ripreso quota. Il 14 luglio 2002 Graviano scrive una lettera a Fifetto Cannella, anche lui al 41bis per le stragi. «Ma è più importante la Cappella Sistina o il museo Egizio di Torino?», chiede il boss. Cosa ha in mente
Madre natura? (Come viene chiamato dai picciotti a lui più fedeli). La risposta degli apparati di sicurezza è immediata: l’8 agosto, vengono rafforzate le misure di controllo in Vaticano.
In quella stessa estate del 2002 sono altre lettere a girare tra le carceri del 41 bis: i boss parlano di arte e sport, di Formula 1 e della squadra del Milan. Proprio i Graviano chiedono di avere una maglia della squadra milanese. Un rapporto dello Sco della Polizia interpreta questi segnali: al 41 bis qualcuno è in attesa di una risposta a precise richieste rivolte a uomini vicini al fronte berlusconiano, mentre la sigla utilizzata per Formula 1 – segnala lo Sco – appare identica a FI, Forza Italia e il riferimento al museo Egizio di Torino riguarderebbe il giudice torinese Caselli. Sono tutti frammenti di una lunga trattativa che ha come oggetto il 41 bis. Ad aprire il fronte di lotta era stato sempre nel 2002 Luchino Bagarella con una proclama minaccioso: «Siamo stanchi di essere usati come merce di scambio tra le varie forze
politiche», urla il capomafia. Qualcuno, secondo Bagarella, non ha mantenuto i patti. Ed i canali con la politica Cosa nostra in quel periodo ne ha tanti. Luigi Giuliano, camorrista, viene citato da esponenti radicali come esempio di vittima di trattamento disumano: diventato collaboratore di giustizia, Giuliano rivela che le sue malattie erano inventate e che esiste un piano per agganciare i politici, inviare messaggi e ricatti e ottenere un trattamento carcerario più favorevole. Evenienza che si era verificata quando nel luglio del 2002 una lettera firmata da 31 mafiosi, tra cui i Graviano, viene affidata al segretario dei radicali Capezzone; in essa si lanciavano avvertimenti agli avvocati difensori che diventati parlamentari, tutti nelle file del Polo, «ci hanno dimenticati».
La strategia di Cosa nostra viene analizzata dal Sisde che in un rapporto afferma che, «vista l’inefficacia delle proposte di «pacificazione», i capi di Cosa Nostra in carcere potrebbero aver deciso di reagire con gli strumenti criminali tradizionali colpendo obiettivi ritenuti paganti.
L’informativa fa due nomi di possibili obiettivi: Marcello Dell’Utri e Cesare Previti. Poi nel dicembre del 2002 il 41bis diventa legge e il governo Berlusconi ha buon gioco, ancora oggi, nel rivendicare questo successo. Ma è una vittoria di Pirro: due anni dopo la commissione antimafia segnala che il carcere duro per i mafiosi è un lontano ricordo.
E siamo ad oggi, a Giuseppe Graviano che al processo Dell’Utri dice: «Quando il mio stato di salute me lo permetterà , sarà mio dovere rispondere a tutte le domande che mi verranno poste». E alla luce della fine del suo isolamento carcerario, Madre natura potrebbe essere chiamato a testimoniare. Forse a spiegare il suo pensiero sulle stragi consegnato ai giudici fiorentini qualche mese fa: «Trovate i veri colpevoli. Si parla sempre di colletti bianchi, colletti grigi, colletti… e sono sempre innocenti questi… ve la faccio dire io da chi sa la verità». Una minaccia o una promessa?
L’Unita 03.01.10
Pubblicato il 3 Gennaio 2010