economia, lavoro

Sempre più nuovi poveri ma “invisibili”, di Paolo Griseri

L´Ires Cgil: il 10% delle famiglie detiene il 44,5 per cento della ricchezza nazionale La commissione sull´esclusione sociale: cresce il numero di chi è in difficoltà. Il Cies: “Si nascondono per la vergogna e non sanno farsi aiutare” . Sono spesso italiani, hanno una vita solo apparentemente normale, non di rado sono single. Non lo confessano volentieri ma sanno di vivere tutti i giorni sull´orlo del precipizio sociale: non tanto poveri da meritare l´assistenza dei servizi pubblici, non tanto ricchi da potersela cavare da soli. Appartengono a quella che la Commissione di indagine sull´esclusione sociale, presieduta da Marco Revelli, chiama «l´area grigia dei nuovi poveri». Gente che riesce ancora a racimolare un lavoro saltuario, non sempre in nero, ma non è in grado di pagare l´affitto. E che, a differenza degli immigrati, non ha gli strumenti per sopravvivere nel mondo dei poveri: «Non sanno a quali associazioni e a quali sportelli rivolgersi – scrivono i ricercatori – sono impreparati di fronte agli imprevisti causati dal brusco calo del reddito». Perché alla povertà sono arrivati da poco tempo, per loro è un mondo nuovo da conoscere oltreché una realtà da cui fuggire il prima possibile. Soprattutto, perché si vergognano: non accettano di mostrare in pubblico la loro indigenza. Come i cassintegrati Fiat dell´80 che continuavano a uscire di casa alla mattina per nascondere alla famiglia l´onta di aver perduto il lavoro.
Cose che accadono nell´Italia della crisi dove l´Ires Cgil segnala (sono dati diffusi ieri) che il 10 per cento delle famiglie italiane detiene il 44,5 per cento della ricchezza nazionale mentre «aumenta la distanza tra i ricchi e i poveri». Sull´altro lato della scala sociale, il 50 per cento delle famiglie, partendo dalle più povere fino ad arrivare a una parte del ceto medio, ha a disposizione solo il 9,8 per cento della ricchezza. In media, nel 10 per cento dei più ricchi ogni famiglia ha a disposizione più di un milione e mezzo di euro mentre il 50 per cento ha in media 68 mila euro a disposizione.
L´indagine della Commissione Revelli segnala che accanto all´11 per cento delle famiglie italiane che vive al di sotto della soglia di povertà c´è un 7,9 per cento di quasi poveri, quelli che vivono sull´orlo del precipizio, quelli che si vergognano. E che si inventano ogni stratagemma per nascondere l´indigenza. Racconta alla Commissione un operaio della Fiat Mirafiori: «C´è molta gente che mi viene a parlare di debiti: cessioni del quinto dello stipendio, pignoramenti di un terzo o un quinto dello stipendio, dipende. C´è molta gente che si inventa anche delle cose pur di prendere dei soldi dal Tfr. Per dire, si fanno fare preventivi dai dentisti, vanno la prima volta poi basta non ci vanno più e con quei soldi pagano l´affitto o addirittura li usano per mangiare, per fare la spesa; c´è gente che va a chiedere prestiti anche da 100 o 50 euro, gente che mi chiede in fabbrica se ho 10 euro da prestare, che poi non li vedi più».
Non tutti ricorrono al trucco del dentista. Altri, più banalmente, finiscono nelle mani degli usurai o delle mille finanziarie che a tassi più o meno legali finiscono per gravare con le loro rate sugli stipendi spesso dimezzati dalla cassa integrazione. Accade addirittura, certifica la Commissione, che «persone non del tutto uscite dal mondo del lavoro, finiscano per trascorrere la notte nei dormitori dei senza fissa dimora e al mattino tornino alla loro vita normale».
La povertà che non si vede, la cenere nascosta sotto il tappeto di una vita che prosegue solo apparentemente come prima, è una delle novità della crisi di fine decennio. Se ne accorgono comunque le associazioni che operano nel sociale: negli ultimi sei mesi le richieste di aiuto alla fondazione antiusura della Crt sono raddoppiate. Naturalmente accanto a coloro che si vergognano c´è una minoranza di quasi poveri che vede nella povertà assoluta una via d´uscita: «Al padrone di casa che mi chiedeva l´affitto – racconta un intervistato dai ricercatori della Commissione – ho risposto che prima penso a dar da mangiare alla mia famiglia e poi, se potrò, pagherò gli affitti arretrati. Così, se mi sfrattano acquisisco il diritto a ottenere un alloggio popolare».
La Repubblica 31.12.09

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Nelle grandi imprese occupazione ancora giù, di R. Ma.
A ottobre l´Istat segnala un calo del 3,7%, il peggiore dal 2002. Reggono solo i servizi Nelle macro aziende ci sono state 38,2 ore di cig per ogni mille lavorate. Crolla l´occupazione nella grande industria. A ottobre – secondo l´ultima rilevazione dell´Istat – gli occupati nelle aziende manifatturiere con più di 500 addetti sono calati in un anno del 3,7 per cento, il dato peggiore dal 2002. Meno drammatica, per quanto sempre seria, la caduta in tutto il sistema delle grandi imprese: -1,9 per cento. A tenere, anche in questa crisi, è ancora il settore dei servizi dove la discesa si è limitato a uno 0,9 per cento nell´anno, mentre tra settembre e ottobre c´è stato un leggere incremento dello 0,1 per cento. Il terziario conferma così la sua tendenziale funzione di tampone rispetto all´emorragia di posti di lavoro proveniente dal comparto industriale.
I dati di ieri dell´Istat sottolineano che l´uscita dalla recessione non coincide con la fine dell´emergenza occupazione, per quanto – secondo i tecnici – si registri una «stabilizzazione» del lavoro nelle grandi imprese e un´attenuazione del ricorso alla cassa integrazione guadagni (cig).
Tuttavia, il 2010 è destinato a registrare ancora una diminuzione dei posti di lavoro, in particolare nell´industria. Con la frenata della crisi, infatti, gli imprenditori cominciano a intravedere una prospettiva meno nebulosa: si intuisce quali saranno i mercati che ripartiranno strutturalmente per primi e quali i cambiamenti da apportare nella propria azienda, in termini di innovazioni sul prodotto e sul processo produttivo, oltreché sulla riqualificazione della forza lavoro. In sostanza inizia una fase di ristrutturazione che il più delle volte coincide con una riduzione delle stesse capacità produttive. Da questo punto di vista la decisione della Fiat di Sergio Marchionne di chiudere nel 2012 lo stabilimento siciliano di Temini Imerese, proprio con l´obiettivo di ridurre la capacità produttiva del gruppo, è esemplificativa. Dunque proseguirà il ricorso massiccio alla cassa integrazione (a ottobre nelle macro aziende ci sono state 38,2 ore di cig per ogni mille lavorate), con una variante rispetto ai mesi passati: una quota sempre più rilevante di lavoratori difficilmente rientrerà nella stessa fabbrica. C´è il rischio, poi, di un “effetto catena” tra grandi e piccole imprese.
In questa prospettiva, sindacati e opposizione sono tornati a chiedere una riforma degli ammortizzatori sociali. Sbagliato – sostengono – aspettare la primavera (è stato il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, a annunciare il timing nei giorni scorsi) per presentare la riforma degli ammortizzatori sociali mentre si continua a perdere posti un po´ in tutti i settori produttivi. E si torna anche a parlare di politica industriale. Lo ha fatto ieri l´ex ministro Cesare Damiano (Pd): «È necessario che il governo ripresa un´iniziativa sui temi della politica industriale e sul contrasto della delocalizzazione dei siti produttivi».
Dai dati dell´Istat emerge che i cali più consistenti si sono verificati nelle industrie farmaceutiche (-8,3 per cento al lordo della cassa integrazione), in quelle dell´elettronica (-7 per cento). Interessanti due variazioni con il segno positivo: nelle attività professionali, scientifiche e tecniche (+1,8 per cento), nel commercio e nelle attività di noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese (+1,3 per cento).

La Repubblica 31.12.09