Dopo la debacle dell’assemblea regionale del Pd, il primo cittadino di Bari Emiliano accetta la richiesta del governatore uscente. Vendola propone la data del 17 gennaio, prima della decisione sull’eleggibilità dei sindaci.
Lo scontro tra il sindaco di Bari e il governatore della Puglia potrebbe non arrivare alle urne ma fermarsi alle primarie. Michele Emiliano prende atto che non si può buttare giù dalla torre Nichi Vendola senza nemmeno la verifica delle primarie. Dopo il naufragio dell’Assemblea regionale del Pd convocata lunedì, divisa tra sostenitori del sindaco e del governatore, con una manifestazione pro Vendola che si svolgeva davanti all’hotel dove si sarebbe dovuta tenere la riunione poi sospesa, il primo cittadino di Bari accetta la sfida delle primarie ma ripropone una condizione già avanzata nei giorni scorsi. Chiede infatti che l’Assemblea regionale cambi la legge che prevede le dimissioni da sindaco anche in caso di semplice candidatura per le regionali.
«A questo punto sono io che chiedo a Vendola di andare alle primarie e glielo chiedo senza acredine », fa sapere Emiliano che è pure presidente del Pd in Puglia. Vendola, finora vincitore del braccio di ferro voluto dal Pd per stringere un’alleanza con l’Udc ritenuta, chissà perché, indispensabile (a prescindere dai programmi) per vincere le elezioni, raccoglie il guanto di sfida: «Se Emiliano e il Pd scelgono la strada delle primarie, abbiamo l’occasione di tornare a fare politica normalmente». Il presidente uscente avanza un’ipotesi di data: «Facciamo le primarie il 17 gennaio, cioè prima della seduta del Consiglio regionale che potrebbe cassare la legge sulla ineleggibilità dei sindaci».
Il ragionamento di Vendola è semplice: è inutile cambiare quella legge, se prima non vediamo chi vince le primarie. Per Emiliano, l’unico interessato al cambiamento di quella norma, a questo punto è difficile non accettare la data del 17 gennaio. A fotografare con realismo la situazione è Gero Grassi, deputato del Pd, non certo un estremista dal momento che ha un passato nella Dc e nel Partito popolare: «Si deve tenere conto che parte del centrosinistra vuole difendere l’operato della giunta degli ultimi cinque anni. Le imposizioni che piovono dall’alto non portano frutti». Forse ce l’ha con Massimo D’Alema, che più di tutti nel Pd si è battuto perché Vendola non fosse confermato a guidare la coalizione di centrosinistra.
Non c’è pace neppure nel Pd del Lazio, incapace finora di trovare il proprio candidato alle regionali mentre Renata Polverini, scelta dal centrodestra, ha già iniziato la sua campagna elettorale. Nicola Zingaretti, presidente della Provincia, ha perso la pazienza: «Ci sono molti nomi che potrebbero vincere, bisogna che il gruppo dirigente scelga. Io a questo punto mi permetto di dire che c’è anche una distanza personale fra me e le scelte che sta facendo il Pd perché non condivido questo immobilismo. Chi fa il mio nome non è autorizzato a farlo». Più chiaro di così (e polemico) Zingaretti non può essere. I bookmaker danno a questo punto possibile la candidatura di Esterino Montino, Pd, “reggente” della giunta regionale del Lazio dopo lo scandalo che ha travolto l’ex presidente Piero Marrazzo.
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