Insieme all’esigenza di ottenere entrate fiscali aggiuntive, una delle principali giustificazioni avanzate a difesa dello scudo fiscale è che i capitali rientrati in patria grazie ad esso potranno finanziare le imprese italiane a corto di mezzi propri (e altrui). Il cavallo potenzialmente assetato avrebbe finalmente a disposizione l’acqua per bere.
Ad esempio il 29 settembre scorso il ministro Tremonti ha giustificato l’idea dello scudo fiscale in questi termini: “La casistica fondamentale alla quale pensiamo di fare riferimento è funzionale a mantenere l’attività di impresa, a non chiudere i capannoni e a non mandare via gli operai”. Questa è la previsione/auspicio del ministro, ma la questione è di carattere schiettamente empirico: in quale misura lo “scudatore-ter” utilizzerà davvero i capitali rientrati per impiegarli nelle imprese italiane?
Sarebbe bello utilizzare i dati relativi alle due edizioni precedenti dello scudo per rispondere in maniera rigorosa a questa domanda. Purtroppo il requisito dell’anonimato preclude in partenza questa possibilità, almeno a livello di dati individuali. In assenza di dati empirici affidabili l’unica strada percorribile è quella di usare in maniera sensata la teoria economica.
Vi sono due casi diversi da prendere in considerazione. In primis, è importante avere un’idea di quale sia la propensione dello “scudatore-ter” a investire – o reinvestire – nella propria impresa. Se i capitali rimpatriati sono frutto di evasione fiscale a livello dell’impresa stessa, la scelta di abbassare fraudolentemente il carico fiscale è anche indice di una scarsa volontà di ricorrere all’autofinanziamento. Non è inverosimile che la scelta di evasione sia stata compiuta in tempi di vacche grasse, con lo scopo ulteriore di “mettere al sicuro” i profitti creati allora. Se ciò è vero, è più difficile credere che lo scudatore-ter abbia una particolare propensione a reinvestire oggi nella propria impresa, dato che i tempi sono oggettivamente più difficili. Il punto è stato evidenziato anche da Alessandro Profumo, amministratore delegato di Unicredit, in un recente convegno a Bergamo: “[…] Il capitale finanziario era in Svizzera. Se rientrano in tre mesi 100 miliardi, il capitale non era dentro alle imprese. E qui ci sarebbe una riflessione da fare.” Da questo punto di vista ci sembrano più probabili investimenti immobiliari, e in effetti i precedenti scudi del 2001 e del 2003 potrebbero avere dato il loro contributo alla crescita dei valori nelle grandi città come Roma e Milano.
In secondo luogo, la previsione di Tremonti potrebbe avverarsi per il tramite degli scudatori-ter che agiscono come risparmiatori ed investono in imprese italiane da loro non controllate. Per una volta l’analisi economica sembra arridere al ministro (che forse non la ricambierà). Gli economisti Ken French e Jim Poterba hanno mostrato come gli individui tipicamente soffrano di un “home bias”, cioè tendono a concentrare i propri investimenti su imprese domestiche. Una buona notizia per il cavallo assetato? Bisogna fare qui due considerazioni. Innanzi tutto questa propensione agli investimenti domestici potrebbe non essere del tutto razionale, in quanto il rischio sarebbe minore attraverso una maggiore diversificazione degli investimenti a livello internazionale, specialmente nel caso di un’economia relativamente piccola come l’Italia. In secondo luogo resta da vedere se questo home bias valga anche per lo scudatore-ter medio. Ebbene, i dati a livello di investitore individuale discussi da Annette Vissing-Jorgensen (1) mostrano come questa tendenza ad investire in maniera sproporzionata nelle imprese nazionali è tanto più bassa quanto più elevata la ricchezza e il livello di conoscenza finanziaria dell’investitore stesso. Fino a prova contraria, lo scudatore-ter potrebbe essere ragionevolmente immune da questo tipo di distorsione. A prescindere dalla collocazione geografica del proprio gestore.
La questione relativa alla percentuale di capitali scudati che andranno a beneficio delle imprese italiane si connette naturalmente al tema dell’ammontare totale di capitali che verranno rimpatriati. Sotto questo profilo, la natura di condono fiscale dello scudo, di cui hanno già discusso in maniera diffusa e precisa Silvia Giannini e Maria Cecilia Guerra su lavoce.info (2), ha certamente contribuito a renderlo appetibile. In effetti, secondo le ultime indiscrezioni l’ammontare totale di capitali “scudati” dovrebbe aggirarsi intorno ai 100-110 miliardi di euro. Dall’altra parte, al fine di convincere il pubblico che lo scudo sia l’ultima possibilità per evitare sanzioni pesantissime, il ministro Tremonti si è espresso in termini chiari: “[…] chi continuerà a tenere i soldi in Svizzera sappia che sono soldi morti” (3). Peccato che la lungimirante intervista risalga al dicembre 2001, in occasione del primo scudo.
1. Annette Vissing-Jorgensen [2003] “Perspectives on Behavioral Finance: Does “Irrationality” Disappear with Wealth? Evidence from Expectations and Actions”, NBER Macroeconomics Annual. Disponibile qui:
http://www.kellogg.northwestern.edu/faculty/vissing/htm/vissing_nberma_article.pdf
2. “Un’amnistia di fatto dietro lo scudo fiscale”, 29/9/2009, disponibile qui:
http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001302.html
3. “I soldi in Svizzera? Sono morti. Il segreto bancario cadrà nel 2002”. Intervista a Giulio Tremonti, di Ferruccio de Bortoli, Corriere della Sera, 23/12/2001.
da www.nelmerito.com