Difficile dire se si tratta di una vittoria o di una sconfitta. La lunga notte di Copenaghen ha prodotto un risultato inaspettato. Né una disfatta in termini negoziali, né un successo dal punto di vista delle aspettative. Solo un passo avanti. Incerto, forse. Ma decisivo. In quanto l’accordo concluso tra Usa, Cina, India, Sudafrica e Brasile per la lotta ai cambiamenti climatici, pur non essendo vincolante, coinvolge per la prima volta due degli attori (Cina e Usa), che fin ora erano rimasti ai margini del dibattito sul global warming, e li relaziona con un altro grande paese emergente, l’India, oltre che naturalmente con paesi importanti e influenti per la lotta ai cambiamenti climatici, come il Brasile e il Sudafrica.
“Abbiamo un accordo”, ha detto il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon al termine delle lunghe trattative e delle numerose resistenze e critiche mosse dai paesi più piccoli, “anche se – ammette – non è quello che tutti speravamo”. E infatti, la natura dell’intesa non può pretendere di rimanere nella storia. L’accordo di Copenaghen non è ambizioso, fornisce poche cifre, non è vincolante e prevede una scadenza per presentare, e non necessariamente per approvare, un testo giuridicamente vincolante nel dicembre 2010, a Città del Messico, dopo una riunione intermedia a Bonn. Eppure, ieri notte Barroso ha detto che si tratta di “un passo avanti”, e ha aggiunto: “Meglio un passo avanti che due indietro”.
Anche per l’esponente del PD, Ermete Realacci, presidente onorario di Legambiente l’accordo non è sufficiente” perché “è contraddittorio fissare il limite dell’aumento di temperatura al 2% senza obiettivi intermedi entro il 2050”, ed è altrettanto deludente “il fatto che non siano obiettivi vincolanti per il 2020”. Eppure un “fatto nuovo” c’è, spiega Realacci, e cioè che “tutti i Paesi importanti del mondo hanno compreso l’importanza di questa sfida”. Una nuova consapevolezza che forse fa ricordare all’Europa che deve “recuperare una leadership che sembra aver perso e in Italia la vera sfida è conciliare questo scenario con l’agenda politica ed economica”. Il che significa, conclude Realacci, “ripartire dalla green economy e da misure che affrontano alla radice il rischio legato ai cambiamenti climatici e che rilancino l’economia sulla base della qualità”.
L’accordo, un documento di appena tre pagine, fissa come obiettivo il limite di riscaldamento del pianeta a 2 gradi rispetto ai livelli preindustriali. Prevede anche degli aiuti di 30 miliardi di dollari su tre anni (2010, 2011 e 2012) per aiutare i paesi in via di sviluppo ad affrontare le conseguenze dei cambiamenti climatici, e una successiva crescita degli aiuti fino a 100 miliardi di dollari entro il 2020.
Da questo documento finale sono stati soprattutto quattro i punti controversi della proposta di accordo sul clima di cui la Conferenza Onu di Copenaghen oggi si è limitata a “prendere nota”, rendendola operativa, nonostante l’opposizione del Sudan, del piccolo Stato insulare di Tuvalu, nel Pacifico e dei latinoamericani Venezuela, Bolivia, Cuba, Nicaragua e Costarica.
Il primo punto è quello della soglia massima di aumento della temperatura media dovuta al riscaldamento globale: la seconda delle tre bozze successive di accordo prevedeva che tale soglia, oggi fissata a 2°C, venisse portata a 1,5°C. Mezzo grado di temperatura che potrebbe significare una minaccia irreversibile per diversi Stati insulari destinati letteralmente ad essere cancellati dalle mappe.
Il secondo punto che gli oppositori dell’accordo lamentano è la soppressione, nella terza bozza, dell’impegno a ridurre le emissioni globali del 50% entro il 2050.
In terzo luogo, i paesi in via di sviluppo chiedono che sia previsto nell’eventuale accordo internazionale il prolungamento del Protocollo di Kyoto oltre il 2012, con un nuovo periodo d’applicazione (Kyoto II) dal 2013 al 2020.
Il quarto punto, infine, riguarda la mancanza nella bozza di accordo la percentuale complessiva di riduzione delle emissioni globali al 2020 da parte dei paesi più avanzati, anche perché il testo non contiene ancora tutti i piani di tagli dei gas serra, che gli Stati membri dovrebbero adottare entro gennaio.
In attesa dell’appuntamento di Bonn e degli impegni dei singoli stati che dovranno essere dichiarati entro il primo messe del nuovo anno, non rimane che l’auspicio di Ban Ki-moon fatto al termine del suo intervento. “Lavoreremo da subito – ha assicurato il segretario generale dell’Onu – per rendere vincolante entro il 2010 l’accordo raggiunto a Copenaghen”. Una promessa importante: la sfida più ambiziosa da vincere nell’immediato futuro.
Giacomo Rossi
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