L’on. Ghizzoni a nome del gruppo parlamentare del PD, ha presentato il 10 settembre scorso alla Camera una pregiudiziale di costituzionalità al DL 1.09.08, n. 137, sulle modifiche all’ordinamento scolastico. Oggi l’On. Ghizzoni ha illustrato alla Camera la questione pregiudiziale.
“”Signor Presidente, il decreto-legge n. 137, che prevede disposizioni urgenti in materia di istruzione e università, risulta in più parti non conforme ai requisiti di straordinaria necessità ed urgenza. Crediamo, infatti, che tanto la formulazione delle disposizioni quanto l’oggetto delle materie trattate non corrispondano ai criteri indicati dall’articolo 77 della Costituzione e, ancor più, al corrispondente articolo 15 della legge n. 400 del 1988, il quale prevede che gli atti assunti in forza del citato articolo della Costituzione debbano contenere nel preambolo l’indicazione delle circostanze straordinarie di necessità ed urgenza che ne giustificano l’adozione.
Ora, nel preambolo del decreto-legge in parola si asserisce una supposta urgenza senza, però, fornire circostanze oggettive a supporto di tale affermazione. Riteniamo, ad esempio, che già l’articolo 1 non corrisponde ai requisiti che ho richiamato. Signor Presidente, l’articolo 1 del decreto-legge prevede che nell’anno scolastico appena iniziato si dia corso ad una non meglio definita sperimentazione per l’acquisizione di conoscenze e competenze relative a cittadinanza e Costituzione. A differenza del corrispondente articolo, già incluso nel disegno di legge presentato dal Ministro Gelmini, sono sparite, ad esempio, le indicazioni del monte ore da dedicare alla nuova disciplina, la definizione dei contenuti in relazione anche alle discipline affini e la sua autonoma valutazione.
Quindi, nel trasferimento frettoloso dal disegno di legge al decreto-legge si sono persi per strada pezzi importanti della norma che qualificavano l’innovazione didattica formativa del nuovo insegnamento e, al contempo, non si è attribuita né potenziata la caratteristica d’urgenza della norma stessa.
L’analisi del Servizio studi della Camera, poi, rivela chiaramente come la previsione dell’articolo riguardi insegnamenti curricolari, vale a dire materie delegificate. Pertanto, il Ministero avrebbe dovuto intervenire con lo strumento del regolamento di delegificazione, ovvero del decreto ministeriale. Il Servizio studi sottolinea anche che la normativa vigente già prevede gli insegnamenti attinenti all’educazione e alla cittadinanza sia per il primo che per il secondo ciclo. Pertanto, i contenuti dell’articolo 1 nulla aggiungono a quanto già previsto dalla legislazione vigente.
Signor Presidente, tutto ciò dimostra sia l’infondatezza dell’urgenza di inserire tale norma del decreto-legge in parola, sia la smania di normare materie già delegificate. Tutto ciò alla faccia della tanto evocata semplificazione. Ma il Ministro Calderoli non trasecola davanti a tanta inutile sollecitudine normativa?
Entreremo nel merito del provvedimento durante la discussione in Aula, ma mi permetta una considerazione, rafforzata dai contributi emersi nel corso delle audizioni che si sono svolte ieri presso la VII Commissione. L’educazione ai valori della Costituzione e alla cittadinanza avviene più efficacemente per osmosi piuttosto che attraverso le tradizionali lezioni frontali. Si tratta di un dato di realtà suffragato anche dalla ricerca Eurydice sull’insegnamento della cittadinanza nei Paesi dell’Unione europea. In essi si afferma la necessità che l’intera vita scolastica diventi un’esperienza di partecipazione, di cittadinanza attiva e di legalità.
Per me è molto difficile, però, parlare in un’aula con questo rumore di sottofondo. Presidente, le chiederei di richiamare un po’ all’ordine i colleghi.
In questo modo potrebbe anche ascoltare il Ministro Gelmini…
Anche la valutazione del comportamento degli studenti prevista all’articolo 2, vale a dire la reintroduzione del voto in condotta che, se inferiore a 6, determina la bocciatura, non pare suffragata dai requisiti di straordinaria necessità ed urgenza, tanto più che affida ad un successivo decreto ministeriale i criteri per correlare la particolare oggettiva gravità del comportamento al voto insufficiente.
La motivazione che il Governo individua a supporto dell’articolo 2, infatti, risiede in un ipotetico vuoto normativo che non permetterebbe di adottare misure disciplinari nei confronti degli alunni responsabili di comportamenti scorretti o di gravi atti di indisciplina, come se attualmente le scuole e i docenti non possedessero già strumenti atti a sanzionare tali comportamenti. Ma così non è: sembra strano, ma evidentemente è sfuggito al Governo che è stata recentemente diramata, proprio dall’attuale Ministro, la circolare datata…
Signor Presidente, naturalmente mi farà recuperare il tempo perso per questa interruzione. Non ne ho dubbi.
Dicevo: come se attualmente le scuole e i docenti non possedessero già strumenti atti a sanzionare tali comportamenti. Ma così non è: sembra strano, ma evidentemente è sfuggito al Governo che è stata recentemente diramata, proprio dall’attuale Ministro, la circolare datata 1o agosto 2008 che, in attuazione del decreto-legge Fioroni sulle modifiche allo statuto degli studenti, individua le procedure per sanzionare comportamenti inammissibili anche sul piano dell’esito degli studi.
In altre parole, il consiglio di classe ha la possibilità di assumere l’esclusione dallo scrutinio finale e la non ammissione all’esame di Stato per gli studenti che si siano resi responsabili di atti gravi e di comportamenti lesivi dei principi di convivenza civile, del rispetto degli altri e per la comunità. Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad una materia già normata e, quindi, decade la caratteristica di urgenza richiesta dalla Carta costituzionale.
È certo, comunque, che non sarà un cinque in condotta a combattere il bullismo e i comportamenti gravi. Ben più efficace della sola severità repressiva appaiono l’autorevolezza morale che tutta la comunità educante, anche in questo momento (mi permetto di aggiungere), dovrebbe esprimere e la costruzione di un patto di reciproca responsabilità tra docente e discente, ossia tra le diverse componenti della scuola (non esclusa la famiglia, che troppo spesso delega agli insegnanti e agli strumenti sanzionatori l’educazione e la formazione dei ragazzi). Di tutto questo, però, nel disegno di legge in esame non vi è traccia.
Infine, la previsione dell’articolo 4 reintroduce l’insegnante unico nella scuola primaria, con un tempo-scuola di sole ventiquattro ore, quindi sensibilmente ridotto rispetto a quello vigente. Tale norma, rispetto alla data di adozione, produrrà effetti molto differiti nel tempo, ossia solo a decorrere dal prossimo anno scolastico. Siamo quindi in palese contrasto con i più volte richiamati requisiti di straordinaria urgenza.
L’unica vera urgenza che sembra desumersi è rintracciabile nella necessità di tagliare risorse alla scuola – così come previsto dall’articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008 – e di conseguire quelle economie che, altrimenti, renderebbero priva di copertura la cosiddetta manovra estiva. Ritengo sia opportuno richiamare le dichiarazioni che il Ministro Gelmini ha rilasciato ai microfoni di Radio anch’io: «Non abbiamo assunto nessuna decisione di tornare al maestro unico. Le elementari sono un ciclo scolastico che funziona (lo dicono anche i dati OCSE-Pisa) e quindi mi auguro che non sarà necessario tornare al maestro unico».
Oggi comprendiamo quelle parole. Quell’augurio significava una sola cosa: la necessità di fare cassa e di risparmiare a discapito del futuro dei nostri alunni. La verità è che dietro alla proposta del maestro unico e delle ventiquattro ore di insegnamento settimanale non vi è alcun progetto didattico educativo e formativo. Lo ha ripetuto anche la stragrande maggioranza delle associazioni audite ieri in VII Commissione (Cultura), che, oltre a rappresentare la preoccupazione per una scuola primaria che si impoverirebbe, hanno altresì rappresentato argomentate critiche alla scelta di procedere con un disegno di legge di conversione di un decreto-legge.
Per l’ennesima volta dall’avvio di questa legislatura si esautorano le prerogative del Parlamento e si è deciso di assumere importanti provvedimenti che incideranno sulla missione educativa della scuola primaria in autoritaria solitudine, senza quindi mostrare lo scrupolo di aprire un confronto serio ed approfondito con coloro che nella scuola operano, studiano, lavorano e ricercano: nulla a che vedere con il lungo processo di elaborazione culturale didattico e pedagogico che portò all’approvazione della legge n. 148 del 1990, che sostituì il maestro unico con il cosiddetto modulo – ossia il team dei tre docenti su due classi -, estendendo il tempo-scuola, che si affiancò al tempo pieno.
Fu una scelta lungimirante. Lo attestano con chiarezza – lo ha detto anche il Ministro Gelmini – i dati OCSE. Le indagini Iea Pirls certificano, infatti, che le competenze degli alunni italiani di nove anni, in un’abilità culturale strategica, qual è la lettura, sono sensibilmente cresciute, grazie al modello didattico introdotto dalla legge n. 148 del 1990. Infatti, in termini di punteggio medio, l’Italia è passata da 529 punti, nel 1991, a 551, nel 2006. In dieci anni, i nostri alunni hanno ottenuto un progresso pari ad un anno scolastico. Credo, inoltre, che tutti debbano poi riflettere sul fatto che, tra la rilevazione del 2001 e quella del 2006, il migliore rendimento ha riguardato quasi tutte le regioni italiane, ma il progresso più evidente lo hanno ottenuto gli alunni delle regioni del sud e delle isole.
Ancora, la riforma del 1990 e l’introduzione dei moduli hanno contribuito tanto al successo scolastico quanto a contrastare la dispersione scolastica. Prendiamo il caso di Palermo. Nell’anno scolastico 1988-1989, il dato della dispersione scolastica era al 7,6 per cento nella scuola elementare, mentre già nell’anno scolastico 1991-1993, grazie all’introduzione dei moduli, il dato di dispersione si era abbassato al 4 per cento, ed oggi è allo 0,94 per cento. È stato un successo per tutto il Paese. Insomma, un ritorno al passato non è certo auspicabile per questo segmento dell’istruzione, in cui possiamo vantare standard di eccellenza.
Mi avvio alla conclusione. Non vorrei che l’unica urgenza fossero gli 8 miliardi di tagli, travestiti da un’incredibile operazione nostalgia del bel tempo andato: grembiulini, voti, la maestrina dalla penna rossa (Commenti dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).
Se così fosse, non dovremmo parlare di urgenza, ma di un colpo assestato alla qualità della scuola pubblica. Non credo che sia ciò di cui la scuola pubblica italiana ha bisogno (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).””
Al termine della discussione in cui sono intervenuti deputati di tutti gli schieramenti, la Camera ha così votato
Presenti 533
Votanti 507
Astenuti 26
Maggioranza 254
Hanno votato sì 220
Hanno votato no 287.
La Camera respinge la pregiudiziale del Gruppo del PD
Si può leggere il resoconto stenografico sul sito della Camera