Ma guardi, io a questa storia del voto anticipato non ci credo e comunque è Napolitano che decide se si va alle elezioni, mica qualcun altro». Pierluigi Bersani ha appena salutato il suo vice Enrico Letta di fronte all’ingresso della barberia di Montecitorio e calca il corridoio verso l’uscita posteriore della Camera dopo un’altra giornata di passione. Malgrado tutto quello che è successo alla Camera, con le bordate di Cicchitto in aula e il j’accuse di Fini al governo, malgrado il clima non si sia affatto svelenito come chiesto dal Capo dello Stato, la soluzione delle urne non sembra a Bersani la più probabile, anzi.
Qualche ora prima dal suo scranno in aula il leader del Pd prova a dare il suo contributo per rasserenare gli animi dicendo che «i discorsi sul famoso clima nell’immediatezza di questi fatti sono scivolosi» con il rischio che «qualcuno si vesta da pompiere per fare l’incendiario, e che cominci un gioco di criminalizzazione tra noi, che va oltre il segno». Insomma fa di tutto per tenere la barra dritta perché «ognuno in democrazia ha il suo compito: l’opposizione che deve costruire la fiducia in una alternativa positiva senza mai scommettere su scorciatoie nel processo democratico e il governo che deve governare e non attaccare l’opposizione».
Ma per tutto il giorno le voci che si sono rincorse in un Parlamento di nuovo scosso dalle polemiche riportano in auge la tesi di uno show down incombente. Dopo l’uscita di Fini, un parlamentare di lungo corso come Castagnetti, interpreta così il «frontale» del presidente della Camera: «Attenzione a sminuirne la portata, derubricandolo solo a un intervento di censura sulla fiducia alla finanziaria. Questo è un presidente che sconfessa il suo governo e la sua maggioranza. E’ come se avesse voluto dire “espelletemi pure dal mio incarico perchè io così non ci sto”, come se desse per scontata una volontà di andare subito al voto da parte di Berlusconi».
E dunque passeggiando in cortile con Letta, Bersani si mostra pure pronto a schierare le sue truppe di fronte ai boatos di un’accelerazione indotta dal nuovo scontro nella maggioranza e dalla rendita di immagine di cui ormai il Cavaliere può beneficiare. «Magari si andasse a votare», esclama Enrico Letta. «Certo che noi saremmo pronti, le elezioni anticipate certificherebbero il fallimento del centrodestra», taglia corto il segretario.
Ma poco dopo prima di imboccare l’uscita, il leader del Pd si ferma a ragionarci su un attimo, mentre solca la “corea”, il corridoio dietro l’aula parallelo al Transatlantico, giusto il tempo per rimarcare che lui all’ipotesi di uno strappo di Berlusconi per andare a contarsi nelle urne non ci crede, perchè l’azzardo sarebbe troppo alto. «Ma come farebbe il premier a giustificare una cosa del genere? Come farebbe a dire “ci sono state le elezioni un anno e mezzo fa, abbiamo cento voti di maggioranza in Parlamento, ma andiamo a votare lo stesso”? Sarebbe difficile da spiegare alla gente e noi d’altronde ce la giocheremmo proprio in questo modo. C’è la crisi economica e sociale, un paese che ha bisogno di misure per fronteggiarla e si va a votare per problemi interni alla maggioranza?».
Secondo lei Berlusconi non ci sta di nuovo pensando, magari per capitalizzare al massimo quello che è successo? «Non credo. Comunque sia, anche se il Cavaliere e la Lega, cosa tutta da vedere, decidessero di imboccare questa strada, c’è sempre il presidente della Repubblica: le elezioni le decide lui, non altri e non penso che Napolitano abbia alcuna intenzione in tal senso».
La Stampa, 16 dicembre 2009