Si complica il cammino di riforma della scuola secondaria superiore che il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, intende a tutti i costi introdurre già a partire dal prossimo anno scolastico: alle opposizioni di sindacati e associazioni di categoria, al problema dei tempi di attuazione divenuti sempre più stretti (se il giudizio delle commissioni parlamentari non arriva potrebbe non bastare la proroga di un mese per le iscrizioni al primo anno già introdotta dal Miur), ora si aggiungono le forte perplessità espresse dal Consiglio di Stato
Le critiche dei giudici di Palazzo Spada, contenute nel documento n. 7149 del 9 dicembre scorso, reso pubblico nelle ultime ore, riguardano più punti della discussa riforma di licei, tecnici e professionali le cui basi poggiano nell’articolo 64, comma 4, del decreto legge n. 112/08: i punti poco chiari sarebbero così rilevanti da indurre il Consiglio di Stato a sospendere le valutazioni di rito e chiedere “che il Ministero dell’istruzione fornisca i chiarimenti richiesti” poiché “non è chiaro se il testo predisposto si mantenga nei limiti della delega”.
Il primo punto ritenuto dubbio dai giudici di secondo grado della giustizia amministrativa è di tipo normativo: la bozza di riforma prevede, infatti, che alcuni punti fondamentali (obiettivi specifici di apprendimento, articolazione delle cattedre e definizione degli indicatori per la valutazione) vengano introdotti attraverso un semplice decreto ministeriale.
Il Consiglio di Stato, invece, ritiene che occorra l’approvazione di una legge. Ma un provvedimento di questo tipo necessiterebbe tempi decisamente lunghi vanificando in partenza l’obiettivo del ministro di creare già da settembre delle prime classi sulla base dei nuovi programmi.
Un altro punto ritenuto “debole” è quello dei tetti a piani di studio che ogni singolo istituto dovrebbe scegliere da sé sulla base di esigenze specifiche territoriali: i cosiddetti “curricolo” imposti dal ministero dell’Istruzione – il 20% al primo biennio, il 30% nel secondo biennio e il 20% nel quinto anno – non sembrano bastare a palazzo Spada. Che facendo riferimento al regolamento sull’autonomia della scuola (il dpr n.275/99) fa intendere la necessità di lasciare più margini alle scuole.
I giudici del Consiglio di Stato hanno poi espresso un certo scetticismo sulle procedure che porteranno ai nuovi piani di studio e ai programmi ministeriali: ritengono che sarebbe il caso “che il Ministero dell’istruzione illustri la graduazione di tale passaggio, anche con riguardo alla tutela dell’affidamento degli studenti che, trovandosi nelle situazioni di transito, subiranno una modificazione dell’iter formativo prescelto”. I cambiamento, fanno intendere, andrebbe introdotto per vie decisamente più graduali.
Forti perplessità sono state infine esplicitate dal Consiglio di Stato anche sulla revisione degli organi collegiali, responsabili delle strategie principali di ogni singolo istituto superiore: i nuovi regolamenti ministeriali prevedono l’introduzione di dipartimenti, composti da docenti individuato dal collegio dei docenti,a soprattutto l’attuazione di un comitato scientifico formato da docenti e da esperti esterni.
Anche su questo fronte “sarebbe più coerente con l’obiettivo di realizzare l’autonomia – scrive il Consiglio di Stato -, lasciare alle istituzioni scolastiche la scelta in merito all’opportunità di istituire tali organi”.
AprileOnline, 14 dicembre 2009