ROMA – In Italia “solo l’8% della popolazione ha una competenza linguistica alta. Per il resto il livello di alfabetizzazione e comprensione di un testo è medio-basso”. Il pedagogista Benedetto Vertecchi non sembra sorpreso dalle difficoltà che i bambini della primaria riscontrano nella lettura e con i numeri.
«Il problema è sociale- spiega- non si possono dare tutte le colpe alla scuola. Siamo in un contesto in cui i conti a memoria si fanno sempre più raramente e dove la lettura e l’approccio con il testo scritto sono sempre meno diffusi. È normale che, poi, i bambini abbiano certi risultati nei test. Possono anche imparare a far di conto e a leggere, ma se poi a casa e fuori scuola si confrontano con una realtà in cui queste competenze scarseggiano o sono poco impiegate è difficile che riescano ad esercitarle e mantenerle».
Come se non bastasse c’è un pesante divario tra Nord e Sud.
«Sì, è un dato che si conferma. Ma se un tempo a determinare le differenze era soprattutto la condizione economica familiare, oggi conta molto il livello culturale dei genitori: se mamma e papà non sono diplomati o laureati il bambino fa più difficoltà a incrementare le proprie competenze. Comunque non è solo continuando a misurare le abilità che si cambiano le cose, servono interventi decisi. In paesi come la Finlandia o la Francia, ad esempio, le scuole sono aperte tutto il giorno. I ragazzi restano anche oltre l’orario di lezione per fare le loro attività in un ambiente creativo e culturalmente elevato. Da noi, però, questo modello è impensabile, siamo un’anomalia europea».
Dunque, siamo irrecuperabili?
«No, però bisognerebbe intervenire subito. Partendo, innanzitutto, da una politica culturale diversa. Nella nostra società la conoscenza sta subendo una stagione negativa sul piano dei valori: basta vedere come vengono scarsamente considerati gli insegnanti o come viene maltrattato l’uso dell’italiano. Conta poi anche l’investimento economico che si fa nella conoscenza. Il Trentino, ad esempio, viene considerato la Finlandia d’Italia, ma lì c’è l’autonomia e si investe di più sia per ciascuno studente che sui docenti».
Le classi valutate dall’Invalsi sono quelle pre riforma, senza maestro unico. Cosa succederà con questa nuova figura visto che già ora team composti da molti insegnanti non riescono a trasmettere bene le competenze di base?
«Il maestro unico è ottocentesco e anacronistico. Mi riesce difficile pensare che possa avere tutte le competenze necessarie per poter trasmettere i contenuti necessari ai suoi alunni».
Il Messaggero, 14 dicembre 2009