ROMA – Concorsi fatti con il contagocce. Violazioni continue da parte degli atenei delle nuove regole per selezionare i ricercatori volute dal ministro Gelmini. Decine di bandi a rischio annullamento perché in contrasto con la normativa. Fondi che vengono erogati dal ministero ma che, poi, non vengono spesi. Questa è la situazione alla vigilia della presentazione a Palazzo Chigi del “Programma 2009-2013” che stanzierà nuovi fondi per la ricerca avanzata, con una corsia privilegiata per gli Under 40. Domani il quadro cambierà, si spera, ma intanto a un anno dall’approvazione del decreto che doveva scrivere una nuova pagina per la selezione dei giovani studiosi nelle università lo scenario che emerge da una ricerca condotta dall’Apri, l’Associazione dei precari della ricerca italiani, è scoraggiante: per i meritevoli e i capaci la strada resta ancora tutta in salita.
Le università, infatti, hanno bandito pochissimi posti nel 2009: siamo ben lontani dai 4mila prospettati dal ministro Gelmini a gennaio, al momento dell’approvazione definitiva della legge che ha riscritto le regole dei concorsi. Ad oggi sono stati messi sul piatto 176 posti a tempo indeterminato pagati dagli atenei; 278, sempre in ruolo, cofinanziati dal ministero, contro i 1.050 previsti al momento dell’erogazione dei fondi ad hoc (stanziamento Mussi) per il 2008, che sono già arrivati nelle casse delle università e che, in molti casi, non vengono spesi (solo 26 atenei li hanno usati); 300 posti a termine, che sono in aumento rispetto al passato. «Per questi ultimi concorsi- ricorda l’Apri- le regole le scrivono le università. Gli atenei si giustificano dicendo che un posto a termine incide meno sui bilanci, ma un decreto di settembre ha aumentato gli stipendi dei ricercatori a tempo determinato. Viene da pensare che con questi bandi sia più facile piazzare un candidato da favorire: dal nostro monitoraggio risulta che, in media, si sono presentate 2,3 persone». Non va meglio con i posti a tempo indeterminato: i bandi sono pochi e le università più virtuose in base alle classifiche del Miur sono tra quelle che assumono di meno. Inoltre i concorsi spesso vengono indetti violando le nuove regole, cioè valutazione basata sui titoli senza prova orale né scritta: non solo ci sono atenei che fanno orali e scritti, ma alcune università hanno aggiunto la prova di lingua straniera. Poi c’è il limite alle pubblicazioni: in molti concorsi (31%) se ne può presentare un numero massimo (in media 8,4). La negazione del merito: i meno brillanti sono avvantaggiati. Le università usano come paravento una legge Berlinguer mai abrogata. Il ministro Gelmini ha bacchettato i rettori con una lettera in cui ha chiesto di rispettare la legge (1/09) sui concorsi. «Mi rammarico- ha scritto- di dover registrare difficoltà nell’applicazione delle nuove regole». L’invito è a rettificare i bandi, si minaccia l’annullamento di quelli non regolari. Secondo l’Apri ci potrebbero essere concorsi a rischio annullamento in 27 università. A Bergamo e a Parma ci sono bandi non conformi usciti dopo la lettera della Gelmini che fa anche riferimento ai limiti massimi di pubblicazioni: si chiede ai rettori di non inserirli. Infine, sui posti a tempo determinato la nota sollecita più trasparenza e tempistiche adeguate: in molti casi ci sono pochi giorni per iscriversi ai concorsi. Ma che risultati hanno prodotto le minacce del Miur? Pochi. Alla data del 9 novembre, solo 8 università hanno rettificato i bandi: il politecnico di Bari, ad esempio, ha eliminato tutti i limiti di pubblicazioni, quello di Milano, così come l’università del Sannio e di Sassari, hanno tolto prove scritte e orali. Non in tutti i casi, però, sono stati riaperti i termini. Poi c’è anche chi ha deciso di bandire nuovi posti introducendo per la prima volta limiti massimi alle pubblicazioni, nonostante le richieste esplicite del ministro. Alla Sapienza sono appena stati banditi 74 posti in diversi ambiti disciplinari: il numero di pubblicazioni da presentare va da un minimo di 4 ad un massimo di 12 (compresa la tesi di dottorato), tranne che per matematica dove c’è solo il numero massimo. E si parla anche di valutazione sulla base della “discussione” sostenuta da ciascun candidato. Una sorta di prova orale che non sarebbe prevista. È una giungla. Nessuno fa nulla e per i ricercatori è sempre più difficile trovare il modo per orientarsi. Peraltro mentre i concorsi per i posti a termine sono già stati fatti, per le altre prove ci vorrà tempo: a causa di notevoli ritardi del Miur solo a metà dicembre saranno pronti gli elenchi da cui sorteggiare i commissari per i concorsi della prima sessione del 2008. Per la seconda c’è da aspettare ancora. Già, ma con quali regole si faranno le altre prove? “E chi lo sa?- dice l’Apri- la legge Gelmini prevede che le nuove regole sono valide fino all’approvazione della riforma dell’università che è lontana e, comunque, ‘fino al 31 dicembre 2009’. Una scadenza prossima: serve una proroga o sarà il caos”. Intanto da un carteggio tra l’Apri e il rettore di Trento, l’università più virtuosa secondo la classifica della Gelmini, emerge un altro dato che lascia poche speranze ai giovani: il rettore spiega che il suo ateneo non utilizzerà i fondi del cofinanziamento ministeriale per assumere ricercatori a tempo indeterminato perché il fondo “corrisponde ad una cifra fissa”, spiega Davide Bassi, mentre i costi degli stipendi lievitano di anno in anno per gli scatti e la rivalutazione Istat. Insomma per le università i fondi dell’ex ministro Mussi non basta. Cosa ne sarà dei fondi? La destinazione, risponde Bassi all’Apri, “è ancora oggetto di discussione a livello nazionale”. La linea della Crui (Conferenza dei rettori), scrive, “è quella di usarli ad integrazione del Fondo di finanziamento ordinario”. Parte dei soldi per assumere giovani, insomma, potrebbe essere impiegata dagli atenei per coprire i tagli del governo che saranno solo in parte ripianati dalla Finanziaria. Un’altra mazzata al merito, frutto della combinazione tra decurtazioni e conti in rosso delle università. La valigia dei più brillanti è già fuori dall’uscio di casa.
Il Messaggero, 10 dicembre 2009