Il popolo viola è già politica, ma i partiti evitino strumentalizzazioni…». Miguel Gotor, giovane storico all’Università di Torino, è convinto che in Italia si sia aperta una fase nuova ma non si fa illusioni: «Il tramonto di Berlusconi sarà lungo e velenoso ». Ritiene che l’«antiberlusconismo democratico» sia un fenomeno importante. «Dobbiamo sapere però che in Italia ci sono due minoranze mobilitate, berlusconiani e antiberlusconiani. Il resto è altrove».
Quindi lei è convinto che si stia chiudendo l’era Berlusconi?
«Credo sia in crisi la leadership di Berlusconi. Su questo aspetto ho tre certezze. La prima è che l’uscita di scena sarà lunga, difficile e velenosa. La seconda è che sarebbe un errore pensare di sconfiggere il premier attraverso la via giudiziaria o con una spallata. Se mi passa la metafora:come in un combattimento “Sumo” Berlusconi deve essere “schienato” per via elettorale. Cioè messo a terra, ma politicamente: il centrosinistra deve entrare nel suo blocco sociale ».
E la terza certezza?
«L’Italia sta vivendo una crisi di rappresentanza. Il nostro linguaggio pubblico gira attorno a due minoranze mobilitate. C’è poi una maggioranza di non mobilitati e insoddisfatti che aspetta una proposta politica che sia fuori dal ricatto su cui ha puntato Berlusconi: o stai con me o contro di me».
Non crede che se si fosse fatta una legge sul conflitto di interessi non staremmo in questa situazione?
«Guardi, io sono infastidito quanto lei da questo enorme conflitto di interessi. Però credo sia una semplificazione dire che una legge avrebbe risolto il fenomeno Berlusconi, ossia una questione politica e di consenso. Il problema sta alla radice: dentro la fine della prima repubblica c’erano i presupposti dell’arrivo del Cavaliere».
Però poi lui vince provocando rotture nel sistema…
«Sì, certo. Ma non dimentichiamo che il primo governo non aveva la maggioranza al Senato e durò solo sei mesi. Nel 1996 vinse Prodi e poi ci fu la responsabilità storica di Bertinotti che aprì la crisi…».
Insomma, lei non ritiene che si sia affermata una egemonia culturale berlusconiana?
«Sì, però in politica vincere o perdere conta molto. So bene che nei libri di storia questa sarà ricordata come l’età berlusconiana. Però non sottovalutiamo la dialettica o lo scontro che ci sono stati. Prodi e l’Ulivo non sono stati una meteora, in questi quindici anni c’è stata per la prima volta l’alternanza. Insomma non esiste un paese berlusconiano».
Eppure a guardarsi attorno non si direbbe: qualunquismo, assenza di regole…
«Guardi, l’egemonia di Berlusconi è stata anche frutto degli errori del centrosinistra. Non sipuò stare in un eremo con lo specchio che riflette indignazione e purezza e lasciare che il paese vada altrove. Dirò di più: se Berlusconi fosse un buon politico, con i mezzi economici che ha e con il suo impero mediatico, avrebbe un potere ancora più forte e il centrosinistra non sarebbe nelle condizioni di giocarsi la partita».
È d’accordo con chi dice che in Italia c’è un regime?
«No, perché le parole sono pietre. Vi è una situazione anomala che tende alla patologia: quando non ci sono contrappesi forti e manca il rispetto per l’equilibrio dei poteri si tende inevitabilmente a debordare. Però credo sia un errore evocare Mussolini e il fascismo. Mi colpisce quanto la politica in Italia abbia bisogno di continui riferimenti al passato e alle ideologie. Abbiamo sempre la testa rivolta all’indietro e poca capacità di costruire narrazioni del presente e del futuro ».
Che cosa vede nel futuro?
«È difficile dirlo. Intravedo uno scontro non più tra centrosinistra e centrodestra ma tra populisti e riformisti. Potrebbe essere un’evoluzione interessante a patto che nessuno pretenda che l’altro sia diverso da ciò che è. Credo esista un minimo comun denominatore che può unire pezzi di centrosinistra, del centro e della destra per battere Berlusconi ».
Sta immaginando per caso un’alleanza con Fini?
«No, nel quadro attuale non arrivo a tanto anche se credo che il tentativo di Fini vada guardato con molta attenzione. Quel che voglio dire è che il centrosinistra non vince su una piattaforma berlusconismo-antiberlusconismo. Bisogna immaginare diverse configurazioni ».
Dove ha sbagliato il centrosinistra?
«Negli anni dell’ascesa di Berlusconi è mancato il realismo. Si è pensato che bastasse l’efficienza di alcuni bravi sindaci e cavalcare tangentopoli per cavarsela. Si è pensato che mentre il mondo comunista veniva preso a picconate si potesse andare avanti indisturbati. È stata una linea velleitaria».
E oggi?
«Oggi il centrosinistra deve sapere che non è vero che tutti i buoni sono dalla sua parte e tutti i cattivi con Berlusconi. Che non è vero che il qualunquismo è solo a destra. Che non è vero che la borghesia illuminata e socialmente virtuosa sta tutta con il centrosinistra. Insomma, non si è migliori per principio. Bisogna dimostrarlo ogni volta».
E questo che cosa comporta?
«Si deve capire che la crisi del sistema democratico non si risolve con le manifestazioni e basta».
Però servono: il “popolo viola”, nato spontaneamente sul web, ha portato in piazza tanta gente. Quale segnale manda alla politica?
«Il popolo viola è già politica. L’anno scorso il Pd ha riempito il Circo Massimo. Il punto è non contrapporre le due piazze, anche perché la loro somma non credo sia un’addizione: i partecipanti sono più o meno gli stessi, elettori delusi o motivati del centrosinistra, iscritti ai partiti, esponenti della società civile ».
Proprio perché in piazza c’erano tanti suoi elettori non pensa che il Pd abbia sbagliato a essere un po’ tiepido con quella manifestazione?
«Non credo. L’antiberlusconismo democratico è un fenomeno importante, parte costitutiva, ovviamente, di un’alternativa all’attuale maggioranza, necessario ma non sufficiente per battere Berlusconi. Bisogna però evitare la strumentalizzazione dei partiti, lasciar vivere questo movimento, giungere a una sintesi che sia anche una proposta di governo nuova. Il Pd in tal senso ha un ruolo fondamentale».
E allora che cosa si deve fare per riuscire a battere Berlusconi?
«I problemi del centrosinistra sono legati a due questioni: unità e leadership. Ha vinto con Prodi perché era unito e aveva una leadership. Bisogna ricreare quelle condizioni. E poi c’è il grande tema delle alleanze. Veltroni ha commesso un errore: ha giocato la partita al momento sbagliato e nelle condizioni peggiori. Se si fosse candidato nel 2006 oppure nel 2013…».
Quella sconfitta del 2008 ha pesato molto…
«Ecco, oggi il centrosinistra deve liberarsi dalla sindrome del “perdismo”. Ogni volta che si perde sembra una catastrofe. L’altra sindrome da evitare è il “consumo di eventi ».
Cioè?
«Il centrosinistra non riesce mai a costruire dalle imprese importanti. Guardi le primarie del Pd: un segretario legittimato come Bersani è una novità forte, è il segno della vitalità di un partito. Eppure sono già cominciati i distinguo».
Chi sarà il prossimo leader di governo del centrosinistra?
«Bella domanda. Immagino che non verrà dagli attuali gruppi dirigenti. Il centrosinistra deve individuare qualcuno che sia in grado di entrare nel blocco sociale di Berlusconi. E poi credo che il futuro leader debba essere qualcuno che non abbia la testa rivolta all’indietro e non sia permeato dalle divisioni che hanno segnato la storia degli ultimi venti anni».
L’Unità 09.12.09