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“Mentre l’Italia taglia all’estero investono”, di Anna Maria Sersale

ROMA – La ricerca? E’ al capolinea e l’Italia non ha più tempo da perdere. Siamo scesi al di sotto dell’1% del Pil. «I finanziamenti sono talmente modesti e la situazione di tale gravità che se non ci sarà una reale inversione di tendenza rischiamo di uscire dalla lista dei Paesi sviluppati», Franco Cuccurullo, presidente del Civr, il Comitato nazionale di valutazione della ricerca, non usa mezzi termini. «Il confronto con l’estero fa impallidire – sottolinea Cuccurullo – Nelle università ci prepariamo a un taglio nel triennio di 1 miliardo e 400 milioni di euro. Però mentre i nostri investimenti scendono – l’Italia riserva alla ricerca solo 15 miliardi e 500 milioni – gli altri Paesi moltiplicano le risorse: Gran Bretagna, Francia e Germania investono più del doppio rispetto all’Italia. Questo fa rabbia anche perché i nostri ricercatori sono bravi. Nonostante i fondi miseri nelle diverse aree scientifiche ci classifichiamo tra il sesto e il settimo posto. Ma per quanto ancora?». Poi Cuccurullo conclude: «D’accordo il merito, d’accordo la valutazione dei risultati, mandiamo pure a casa chi non produce perché spreca risorse, però non possiamo continuare a farci male, a penalizzare la ricerca».
In Italia parliamo tanto di innovazione, ma l’Ocse ci dà la maglia nera: per spese pro capite in ricerca e sviluppo ci collochiamo all’ultimo posto fra i membri del G8. Siamo indietro. Con numeri costantemente in discesa: i finanziamenti destinati alla ricerca di base nel 2001 erano 125.967 milioni di euro nel 2008, dopo le cure dimagranti di svariate Finanziarie, siamo passati a soli 96 milioni di euro. «Mentre gli altri investono nello sviluppo, noi dobbiamo solo sperare che la prossima Finanziaria riduca i tagli programmati e ci faccia recuperare qualche soldo!», il grido di dolore è di Enrico Decleva, presidente della Crui, la Conferenza dei rettori. Poi Decleva aggiunge: «Di questo passo finiremo fuori mercato, in fondo alle classifiche internazionali. Un fatto, questo, che preoccupa e genera amarezza».
Finanziamenti esigui, laboratori inadeguati, precarietà e stipendi troppo bassi. Tutti mali difficilmente curabili con iniziative parziali. «Intanto, i nostri giovani guardano alla Cina, una delle nuove frontiere della ricerca», osservano Cuccurullo e Decleva. Significa che alle mete storiche dell’emigrazione scientifica, Gran Bretagna e Stati Uniti, si aggiungono quelle delle economie emergenti, compreso India e Corea. Perdiamo i talenti migliori, senza riuscire a rimpiazzarli con quelli provenienti da altri Paesi. Una fuga, quella dei giovani ricercatori, che ci costa 8 miliardi di euro l’anno, con perdite incalcolabili in termini di mancati brevetti. «Stiamo aspettando gli 80 milioni di euro che sembravano spariti con gli emendamenti alla Finanziaria in Senato – sostiene Rino Falcone, presidente dell’Osservatorio sulla ricerca – ma non basteranno davvero a risolvere la situazione a dir poco drammatica».
A disegnare il quadro ci pensano le cifre diffuse da Eurostat. Nell’ultimo rilevamento, riferito al 2007, siamo stati collocati tra i «Paesi meno virtuosi». Nella formazione a ”27” dell’Ue, la Germania, con 62 miliardi, investe il 2,54% del Pil, la Francia con 39 miliardi il 2,08% e la Gran Bretagna con 37 l’1,79%. Tre Paesi che da soli rappresentano il 60% della spesa complessiva in ricerca, ai quali comunque l’Europa chiede di accelerare per raggiungere il 3% del Pil come stabilito dagli «obiettivi di Lisbona», obiettivi per ora superati solo dalla Svezia (3,6%) e dalla Finlandia (3,47%). Noi, al di sotto dell’1%, siamo condannati a essere la Cenerentola d’Europa

Il Messaggero, 24 novembre 2009

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