economia

“I conti della previdenza? Salvati dai precari”, di Enrico Marro

ROMA — I conti della previ­denza salvati dai precari. Dal bi­lancio preventivo 2010 del­­l’Inps, che il consiglio di indi­rizzo e vigilanza approverà og­gi, emerge che il fondo dei «pa­rasubordinati » (collaboratori, amministratori, associati in partecipazione, venditori a do­micilio, titolari di borsa di stu­dio) aumenterà ancora il pro­prio attivo, passando dagli 8 miliardi del 2009 agli 8,3 miliar­di previsti per l’anno prossimo mentre peggioreranno i conti di tutte le altre gestioni, princi­palmente a causa della crisi. L’attivo dei lavoratori dipen­denti si ridurrà da 8,1 a 5,8 mi­liardi (da 3,5 a 2,7 miliardi, al netto della gestione prestazio­ni temporanee: cassa integra­zione, disoccupazione, assegni familiari, maternità, malattia) mentre aumenterà il deficit per i lavoratori autonomi: da 4,9 a 5,2 miliardi quello del fondo dei coltivatori diretti, da 3,7 a 4,2 miliardi quello degli artigia­ni e da 373 milioni a 702 milio­ni quello dei commercianti. Completa il quadro il rosso del fondo clero, anche questo in peggioramento: da 111 a 116 milioni.

Alla fine il bilancio d’eserci­zio Inps 2010 si prevede che chiuda in attivo di 2,8 miliardi, con una diminuzione di 3 mi­liardi rispetto al 2009 e di quasi quattro rispetto al 2008. Ma il risultato ancora ampiamente positivo è appunto assicurato dai parasubordinati, che pure sono solo 1,6 milioni di lavora­tori su un totale di 18,7 milioni di iscritti all’Inps. Il fatto è che i collaboratori pagano ormai un’aliquota non trascurabile, pari al 25,72% (il 17% per quelli iscritti anche ad altri fondi Inps) che salirà al 26,72% dal 2010 e di un altro punto ancora dal 2011. E per il momento non riscuotono pensioni. La ge­stione parasubordinati fu infat­ti istituita nel 1995 dalla legge Dini e quindi, come si dice in gergo, non è ancora giunta a maturazione, non ha cioè gli anni di contribuzione sufficien­ti al pagamento della prestazio­ne.

Sono invece arrivate a matu­razione le gestioni di artigiani e commercianti, dove si paga­no più di 4 milioni di pensioni (a fronte di 4,4 milioni di iscrit­ti) e le aliquote contributive so­no del 20% spesso calcolate su un reddito minimo forfettario fissato in 14.240 euro (per i col­tivatori diretti il calcolo si fa in­vece sulle giornate di lavoro al valore di 47 euro ciascuna). No­nostante il livello dei contribu­ti pagati dai lavoratori autono­mi sia molto più basso di quel­lo a carico dei dipendenti (33%) le pensioni medie riscos­se non sono molto diverse: 11.116 euro l’importo annuo previsto per il 2010 per i dipen­denti, 10.230 euro per gli arti­giani, 9.295 per i commercian­ti, 8.076 per i coltivatori diretti. Anche nella gestione dei di­pendenti si trovano però fondi in forte deficit. Il più grave, quello dei dirigenti d’azienda (ex Inpdai), che chiuderà il 2010 in rosso di 3,6 miliardi. In disavanzo anche gli ex fondi speciali: elettrici (2 miliardi), trasporti (1,1 miliardi) e telefo­nici (961 milioni).

In un sistema a ripartizione come quello attuale, dove le pensioni vengono pagate con i contributi dei lavoratori attivi, le entrate dei parasubordinati sono quindi usate per pagare gli assegni alle categorie che non ce la farebbero con i soli versamenti dei loro iscritti: la­voratori autonomi, dirigenti d’azienda e iscritti agli ex fondi speciali, categorie, queste ulti­me, che godono di pensioni di tutto rispetto: 49 mila euro l’an­no i dirigenti d’azienda, 25 mi­la i telefonici, 24 mila gli elettri­ci e 20 mila gli ex lavoratori del fondo trasporti. Insomma una specie di solidarietà alla rove­scia tra i precari, molti dei qua­li rischiano di avere in futuro pensioni da fame, e circa 400 mila anziani benestanti (a tan­to arriva la somma dei pensio­nati dell’ex Inpdai e dei 3 fondi speciali).

Nella relazione del collegio sindacale che accompagna il preventivo 2010, a proposito delle gestioni dei lavoratori au­tonomi e degli ex fondi conflui­ti nel fondo lavoratori dipen­denti, si ricorda che la legge 88 del 1989 richiede che, in caso di squilibrio dei conti, vengano presi i necessari provvedimen­ti. O si aumentano i contributi, o si tagliano le prestazioni o si rivedono i requisiti d’età. Altri­menti non resta che la fiscalità generale, cioè più tasse per tut­ti. O, appunto, la solidarietà al­la rovescia.

Il Corriere della Sera, 24 novembre 2009