Bersani: è come affidare la Difesa a chi ha eluso la naja. Ma Mariastella non teme critiche e redarguisce la polizia.
«La Gelmini può fare tutto quel che vuole, ma non il ministro dell’Istruzione»: erano giorni che il ministro ombra all’Economia, Pierluigi Bersani, ci rimuginava su. Che Mariastella Gelmini avesse traslocato da Brescia a Reggio Calabria per “garantirsi” l’esame di abilitazione all’esercizio della professione forense, ai suoi occhi era già uno scandalo. Ma leggere poi sul Riformista che il ministro rivendica pure questa scelta («Dovevo fare l’avvocato, la mia famiglia spingeva perché lavorassi presto. A differenza di Veltroni, ne avevo bisogno. Che senso aveva perdere anni in concorsi dove passavano solo i figli di avvocati? Veltroni difende per caso gli ordini professionali? Pensa che sia lì che si valuta il merito delle persone?»), lo ha fatto davvero imbestialire. E, senza fronzoli, spiega il perché.Dunque, secondo lei, il ministro Gelmini dovrebbe dimettersi?«A me basta che si scambi il posto con Matteoli: lei va alle infrastrutture e Matteoli alla scuola. Ma non può certo parlare di merito, lei che ha cercato l’esame facile. Qui non siamo di fronte a un fatto personale, ma a una questione politica di primo rilievo. Penso che una persona che ragiona così non ha i titoli per rivolgersi ai giovani dalla poltrona di ministro dell’Istruzione. Si sta perdendo il senso della coerenza tra le parole e i fatti».
Lei che si occupa di economia, perché se la prende tanto per la scuola?«Questo paese, in termini economici e dunque sociali, si può salvare solamente se si recupera il concetto di spirito civico. Oramai i sistemi non accettano più di essere regolati formalmente. Vincono invece le regolazioni implicite: dunque lealtà fiscale, buone pratiche, meriti premiati».E la Gelmini che cosa c’entra?«Trovo inaccettabile che, nel silenzio generale, il ministro dell’Istruzione da un lato ci parli di grembiulini, condotta e merito, e dall’altro dica che ha cercato una scorciatoia, una semplificazione sul suo percorso professionale. Giustificando pure questa scelta. Avrei preferito si scusasse, dicesse di aver fatto una sciocchezza. Qui non si tratta di Gelmini o di Bersani, qui è in ballo il messaggio che mandiamo all’opinione pubblica».Il ministro però punta il dito contro gli ordini professionali. Sembra quasi che il Pd li difenda…«Scherza? Io ho seguito da vicino la questione degli ordini, ho proposto una riforma che giace in parlamento e che è stata ostacolata in ogni modo dal centrodestra, tetragono difensore degli ordini. La Gelmini li cerchi in casa sua i fiancheggiatori degli albi professionali. Personalmente, trovo scandaloso che i giovani restino anni negli studi professionali a fare qualsiasi cosa, senza beccare un soldo. Cose che mio padre, che faceva l’artigiano, non avrebbe mai permesso».Che mestiere faceva suo padre?«Mio padre faceva il meccanico benzinaio. E se penso che ora il ministro ne fa una questione di figli di papà…».Torniamo agli ordini professionali…«Ci sono troppi giovani che aspettano invano la promozione all’abilitazione, rimanendo in un limbo. Credo che la chiave risolutiva sia collegare l’università all’accesso alle professioni, utilizzando gli stage invece che il praticantato selvaggio».Ha ragione la Gelmini, allora.«Chiariamoci. È come se il ministro della Difesa facesse l’elogio della naja avendola evitata. Per me la naja era inutile, come i praticantati, ma non ho mai pensato di starmene a casa e lasciare al resto del mondo il servizio militare. Io ho fatto il soldato semplice e posso occuparmi di difesa. Al pari, lei non può occuparsi di istruzione».Non sarà un po’ rigido?«Lo dica alle decine di migliaia di giovani che hanno atteso cinque, sei anni per superare l’esame di abilitazione, a Brescia, Milano, Firenze, sudando sette camicie e contando sul proprio merito. Secondo il ministro, sarebbero tutti figli di papà e reggicoda degli ordini. Oppure deficienti. Se la Gelmini vuole fare la rivoluzione, cominci col proporre la riforma degli ordini».Lei però sostiene che il problema travalica i confini di viale Trastevere.«Certo. Ripeto, è una questione politica. Dobbiamo mandare un messaggio che ravvivi lo spirito civico. Gli ostacoli vanno rimossi non aggirati. E sono sicuro che, nel senso comune della gente, non ha ancora attecchito il principio secondo cui la furbizia è sempre vincente. Il paese è molto più reattivo di quel che pensiamo. Le famiglie di tutti quei ragazzi in attesa, sono scandalizzate, ma non hanno voce. Ma per caso è solamente un problema di Bersani questo? Dove sono gli opinionisti? Pensano che la Gelmini sia nel giusto? Anche voi, perché non le avete chiesto se non si sentiva in contraddizione tra il dire e il fare?».Ma lei, tutto questo, l’ha detto al ministro?«Voglio proporle una discussione pubblica. Voglio confrontarmi con lei, capire come può sostenere le sue tesi, casomai svolgendo utilmente qualche considerazione sul valore della coerenza personale nell’esercizio delle funzioni pubbliche».Se vuole, invitiamo entrambi al Riformista.«Io ci sto. Non so il ministro».Il ministro è dunque ufficialmente invitato al confronto. I tempi sono duri per lei, che ieri ha incassato anche le sin troppo caustiche critiche del leader della Cgil, Guglielmo Epifani: «Alcune frasi della Gelmini sono da mettersi le mani nei capelli. Come quando pensava che qualche insegnante di storia o geografia potesse fare la guida turistica». Ma lei non sembra temere le contestazioni. Anzi. Ieri ha chiesto alla polizia di non procedere a controlli e identificazioni «se qualche facinoroso alza la voce, anche perché ho sufficienti argomentazioni per rispondere». E annuncia un tour nelle scuole Italiane «per confrontarmi con i ragazzi, raccogliere proposte e chiedere loro se la scuola così com’è li soddisfi o se sia necessario mettere mano a una riforma complessiva del nostro sistema d’istruzione».
Il Riformista