Andare o non andare alla manifestazione «No Berlusconi day» del 5 dicembre, nata sulla rete e subito “acchiappata” da Tonino Di Pietro? L’enigma ha aleggiato ieri nella prima direzione Pd dell’era Bersani. Nessuna divisione manichea tra sponsor della piazza e allergici al dipietrismo, anzi. Alla fine tutti hanno concordato con Bersani che ha chiesto di evitare di infilarsi in «conte» e «tormentoni» di qui al 5 dicembre. Il Pd preferisce le manifestazioni auto-promosse, non va «a traino» di quelle degli altri, ha spiegato il segretario. E in questi casi vale una «regola generale», se le parole d’ordine non sono «incompatibili» nessun problema se militanti o dirigenti vanno in piazza. Già, ma nel caso del «No Berlusconi day»? Bersani non ha specificato, Barbara Pollastrini ha detto che quella piazza «non ha ancora un profilo definito», Marini ha aggiunto che andare sarebbe «un errore», che Di Pietro è «aggressivo», Fioroni ha spiegato «che non è il mio principale problema interrogarmi sulle manifestazioni degli altri». La stessa Rosy Bindi, che all’epoca dei girotondi era in prima linea, ha chiarito che «ci stiamo orientando a non partecipare, ma siamo radicalmente antiberlusconiani e lo dimostriamo ogni giorno». Pure Debora Serracchiani ha messo le mani avanti: «Se è sulla giustizia vado, se è solo antiberlusconismo di piazza non mi interessa».
Tutti a casa, dunque? Non proprio. Perché dal fronte Marino-Franceschini è arrivato un forte pressing perché il Pd faccia comunque «qualcosa», e subito. Pippo Civati ha rotto la diga, e ha pure lanciato unatrentina di presidi per la legalità da oggi a sabato, si parte questo pomeriggio al palazzo di Giustizia di Milano, una cinquantina i circoli Pd coinvolti. «Dobbiamo buttarci, mostrare che ci siamo, che non siamo appartati», ha in direzione. «È chiaro che l’unica mobilitazione sarà quella del 5 la nostra gente andrà lì, e anch’io alla fine potrei pensarci… ». «Prendiamo subito un’iniziativa con le altre opposizioni per dare voce all’indignazione», ha esortato Marina Sereni. E Paolo Gentiloni: «Giusto non accodarsi agli altri, ma qui c’è un’emergenza democratica sulla giustizia e sulla Costituzione, non possiamo cavarcela dicendo che le priorità degli italiani sono altre e fare solo gli spettatori». Ignazio Marino è sintetico: «Utile andare in quella piazza contro un governo ripiegato sulle esigenze del premier e lontano dai problemi veri dei cittadini, e poi Di Pietro è un alleato». Walter Verini, veltroniano doc: «Nè ostili nè subalterni alla piazza, ma il Pd non può ignorare dei movimenti reali». Realacci fa una proposta: «Invitiamo gli elettori delle primarie a firmare l’appello di Saviano». La Melandri sintetizza così: «L’importante è che il Pd si mobiliti contro le schifezze sulla giustizia, che non vuol dire impedire a qualcuno di andare anche il 5 dicembre». Un pressing che ha un certo effetto sulle conclusioni di Bersani, che alla fine rincuora i “movimentisti”: «La settimana prossima valuteremo in base alle parole d’ordine di quella manifestazione. Non ci manca la voglia di lottare». Poi va nel concreto: a dicembre il Pd si mobiliterà, «centinaia di circoli, piazze e gazebo» per dire basta. Questo lo slogan: «Sempre sui problemi del capo del governo mai sui nostri». «La gente è stufa di veder spuntare riforme solo quando servonoai problemi di uno solo», ha chiosato Bersani, ribadendo la sua ricetta: «Tenere unite la questione democratica e quella sociale».
L’Unità, 17 novembre 2009