Incrinati i rapporti con Ghedini. La regia passa ad Alfano. Anche dentro il Pdl, tra gli stessi berlusconiani doc (per non parlare dei finiani…), crescono i dubbi sulla costituzionalità del ddl sul processo breve, ma anche sulla capacità di Niccolò Ghedini di tirare fuori dalle secche giudiziarie il premier. Non è un caso, viene fatto osservare, che il bandolo della matassa sia passato dall’avvocato-deputato al ministro della Giustizia Angelino Alfano. Il quale adesso dovrà trovare il modo di neutralizzare il rischio che il provvedimento finisca sotto le forche caudine del Capo dello Stato e della Corte Costituzionale nel caso in cui qualcuno (i pm di Milano?) lo impugni. Il punto è sempre lo stesso: i tre articoli in questione reggono alla prova di costituzionalità se valgono solo per i processi di primo grado e per gli incensurati? Il Guardasigilli sta studiando una via d’uscita. Ma non si capisce a che titolo, visto che si tratta di un provvedimento di iniziativa parlamentare. Forse si cerca un’interlocuzione con il Quirinale?
Il Cavaliere sembra avere più di qualche dubbio sulle trovate tecniche di Ghedini. Quello che sembra avere incrinato i rapporti tra i due è un fatto accaduto in questi giorni. Ghedini, racconta un ministro di fede berlusconiana, ha «osato» rinfacciare al presidente del Consiglio di avere ceduto con Gianfranco Fini sulla prescrizione breve. E di essersi accontentato di un compromesso che risolve ben poco, sempre che venga approvato dal Parlamento. Neanche Berlusconi è contento del compromesso, ma quel «rimbrotto» di Ghedini sembra che lo abbia mandato fuori dai gangheri. Ghedini in disgrazia alla corte berlusconiana? E’ ancora presto per dirlo, ma il fatto che la palla sia passata ad Alfano è una traccia. E’ chiaro, comunque, che il premier ha i nervi a fior di pelle e vede nemici ovunque. E nella sua cerchia c’è chi considera il ddl una «trappola» destinata a finire contro il muro del Capo dello Stato e della Consulta. O addirittura a essere impallinata in Parlamento dal fuoco amico (leggi i finiani). Se poi Berlusconi dovesse forzare la mano alla sua maggioranza, mettendo la fiducia oppure facendo inserire modifiche non concordate con Fini, la deflagrazione è assicurata. Allora il tentativo di Alfano è di aggiustare la barca che fa acqua da tutte le parti. Ma c’è un «piano B».
Se non passa il ddl con le modifiche volute da Palazzo Chigi, il premier potrebbe impugnare l’arma delle elezioni anticipate, come gli consiglia Cossiga. Oppure tentare la strada dell’immunità di stampo europeo che in queste ore viene sempre più invocata dal Pdl. Gli esponenti del Popolo della libertà, sia finiani che berlusconiani, stanno rivolgendo all’opposizione, con insistenza, la richiesta di valutare questa ipotesi. Ma questa possibilità passa attraverso una nuova linea del Pd in materia di giustizia. E questo dipende da chi sarà il nuovo responsabile giustizia del Pd. Il braccio di ferro è in atto. D’Alema non vorrebbe in quel posto un altro magistrato poco propenso al dialogo, come Lanfranco Tenaglia che ha guidato il dipartimento giustizia prima con Veltroni e poi con Franceschini segretari.
Bersani non sembra tenero con Berlusconi. Anche perché, spiegano gli uomini della nuova segreteria Pd, in piena corsa per le regionali sarebbe un suicidio lasciarsi avviluppare in discussioni su ciambelle di salvataggio per il premier. Compresa la proposta di Casini sul Lodo Alfano per via costituzionale. Sicuramente il Pd non aderirà, come ha fatto Di Pietro, al «No-Berlusconi Day» del 5 dicembre lanciato dal cosiddetto «Popolo del Blog». Un appuntamento che radicalizza lo scontro e al quale verrà contrapposto nello stesso giorno il «Sì-Berlusconi Day» organizzato dal super-berlusconiano sito «il Predellino» di Giorgio Stracquadanio e dai Club della libertà di Mario Valducci. I due lanceranno anche un manifesto-appello di sostegno al premier.
La Stampa 15.11.09