La crisi dispiegherà i suoi effetti più pesanti sull’occupazione nelle prossime settimane, serve perciò che il governo cambi registro. La Cgil torna in piazza e lo fa per dire no alle politiche del governo perchè, attacca il segretario generale, Guglielmo Epifani dal palco di Piazza del popolo, «la crisi non è passata per i lavoratori, per i lavoratori precari e per i pensionati». Per questi è in arrivo una «valanga».
Un discorso duro quello del segretario che ha lanciato ancora una volta l’allarme sul lavoro. E se la Cisl e la Uil volessero fare uno sciopero generale partendo dalle deludenti politiche del governo sul fisco, la Cgil «è pronta e in prima fila». In pizza, difronte ai circa 100mila che si sono raccolti partendo da Piazza della Repubblica, Epifani chiede ancora una volta all’esecutivo di vedere in faccia il «volto della crisi, anche se è meglio non vedere e credere alle favole». «Al Governo – incalza Epifani – chiediamo di cambiare registro e di affrontare finalmente i nodi della crisi». Perchè anche la Finanziaria è inadeguata: «Nella sostanza non c’è nulla. Non c’è nulla neppure nella parte fiscale e per gli ammortizzatori. Manca la promessa di stabilizzare i precari della ricerca. È un Governo che non è interessato al mondo del lavoro» sentenzia.
«La crisi non è passata per i lavoratori – dice Epifani – per i lavoratori precari e per i pensionati. Per loro arriverà la parte peggiore. Avevamo detto che sarebbe arrivata la valanga e la valanga è arrivata». Epifani ricorda come in un anno siano stati persi 570mila posti di lavoro di cui 300mila precari. «Oggi la valanga – sottolinea il segretario – è fatta di mobilità, di ristrutturazioni, di licenziamenti di precari che vanno a casa senza copertura e senza futuro». E a chi canta vittoria per la ripresa del Pil nel terzo trimestre Epifani ricorda che siamo ai livelli del primo trimestre del 2003 e che per riprenderci ci vorranno sei o sette anni. Per questo incalza la Cisl e la Uil, e chiede loro un giudizio sulle politiche fiscali del governo che non hanno tagliato le tasse per il mondo del lavoro ma hanno solo ridotto una parte dell’acconto Irpef, limitando l’intervento al popolo delle parrite Iva. «Mando a dire a Cisl e Uil che se si volesse fare lo sciopero generale sul fisco la Cgil ovviamente è pronta e è in prima fila», è stato l’invito di Epifani ai due sindacati con cui da tempo si è interrotta l’unità.
A Epifani risponde il numero uno della Cisl, Raffaele Bonanni: «I lavoratori non si fanno incantare dalle sirene di chi vuole trasformare il sindacato in una cinghia di trasmissione di alcuni movimenti politici. Non è inseguendo la demagogia o il populismo che si interpretano le istanze dei lavoratori», puntualizza. Diversi esponenti del Pd hanno partecipato alla manifestazione. Rosy Bindi a Milano per l’assemblea regionale dei democratici ha motivato con parole nette l’adesione alla protesta. «Il lavoro è un’emergenza nazionale e una questione centrale nella agenda del Pd. La crisi è ancora molto pesante – ha spiegato la Presidente del Pd – il governo non può continuare a minimizzare gli effetti drammatici, sociali e occupazionali che si scaricano su milioni di famiglie italiane». «Anzichè impegnarsi per varare leggi ad personam ingombrando il dibattito politico con con i problemi del presidente del Consiglio maggioranza e governo -aggiunge- si impegnino in modo serio e senza dividere il mondo sindacale, ad offrire risposte credibili ed efficaci per scongiurare il declino industriale e produttivo del paese e garantire futuro e sicurezza alle imprese e ai lavoratori».
Critica invece la posizione del governo. Per Sacconi l’opposizione di Epifani «è a prescindere». «Mi pare – rincara il ministro del lavoro – che in generale per Epifani si possa dire che le nostre proposte non le ha lette». «Anzichè organizzare manifestazioni di scarsa o nulla utilità per i cittadini, la Cgil, il Pd e l’Idv farebbero bene a scusarsi con gli italiani per la loro negatività, il pessimismo e il catastrofismo che hanno manifestato nell’ultimo anno e mezzo», dichiara il portavoce del Pdl, Daniele Capezzone. «Come attestano Istat e Ocse, invece, l’Italia sta marciando verso la ripresa -aggiunge Capezzone- e il governo Berlusconi sta lavorando bene per agganciarla e consolidarla. A ben vedere, si è confermata una salda alleanza tra governo da una parte e famiglie e imprese dall’altra, mentre le opposizioni politiche e sindacali si sono caratterizzate solo per un massimalismo senza proposte». Pronta la replica di Epifani: «Non ce l’abbiamo con il Governo ma con quello che il governo non fa».
La Stampa, 15 novembre 2009
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“Le voci di chi lotta. «Carte truccate per metterci fuori»”, di Felicia Masocco
L’Italia della crisi in sette storie, le raccontano i protagonisti dal palco di piazza del Popolo. Sono storie spesso complicate, in cui l’elemento speculativo prevale sulla produzione, dove «non ci sono più imprenditori ma tagliatori di teste ». Oppure sono storie di multinazionali in ottima salute che, come spiega Alessandro Grossi della Nestlè di Parma «per far piacere agli azionisti» aggiustano i conti presentandone uno salato all’Inps cui chiedono cassa integrazione a gogò. Sono la storia di Agile-Eutelia, di Salfin-Comdata, di Answer-Omega, dell’Alcoa corporation, del call center P2P, della Nestlé, appunto. Poi ce n’è una diversa, se non altro perché racconta di uno sfruttamento ancora primitivo. È la storia di Alim Abdel Alim, ha31anni, è laureato in legge ed è marocchino. Fa il bracciante: «Per anni ho lavorato per 10 ore al giorno per 25 euro, di cui cinque andavano al caporale», dice. È uno di quelli che l’11 novembre sono stati sgomberati senza convenevoli dal ghetto di San Nicola Varco, nella Piana del Sele. «Non c’era nulla lì, né acqua né elettricità. Una fontanella era tutto quello che avevamo avuto dal comune di Eboli. Però la sera stavamo insieme, avevamo gli amici, ci consolavamo a vicenda. Io stavo con un altro fratello in 12 metri quadrati». «Dopo 15 anni di lavoro pensavamo di esserci riscattati ». «Eppure ci hanno chiamato loro per questo lavoro». C’è un’emergenza umanitaria a San Nicola, sabato a Salerno ci sarà una manifestazione. Il resto è vergogna. Diversamente moderna la storia di Alessandra Carnicella. «Ci sono 13mila chilometri di fibra ottica in ballo, fanno gola a molti», dice. Parla di Agile-Eutelia, Alessandra ripercorre le storia del gruppo fino ai recenti 1192 licenziamenti su 1800 lavoratori. Sono in presidio permanente, qualche giorno fa hanno subito l’irruzione dell’ex amministratore delegato. Racconta dell’assenza del Comune di Roma e del silenzio del governo a cui chiede un «intervento decisivo». «Un tavolo a palazzo Chigi, questa vicenda – afferma – riguarda 11mila persone». Infine quel tarlo sulla fibra ottica suggerito dal «prolungato silenzio dell’esecutivo»: «Non vorremmo – conclude – l’azienda- governo Mediaset, ostacoli per propri interessi il nostro futuro». Alberto Pili indossa il casco, lavora all’Alcoa, azienda che produce alluminio primario. «Nel Sulcis ci sono 35mila disoccupati su 130mila abitanti», esordisce. «Tre nostri colleghi sono in cima a un serbatoio a60 metri di altezza. Abbiamo bloccato il porto e l’aeroporto. Abbiamo battuto i nostri caschi sulle vetrate della Regione». La chiusura dell’azienda è stata sposta al 30 novembre. Pili si appella alla piazza: «Abbiamo bisogno del vostro aiuto, martedì e mercoledì saremo a protestare davanti a palazzo Chigi». Prende la parola Stefania Capuano, della Selfin (ex Ibm) di Caserta: «Il nostro dramma è iniziato cinque anni fa. Ibm, con l’avallo del ministro Scajola e nonostante i finanziamenti, ha venduto Selfin a Comdata, che ha portato l’azienda alla bancarotta». L’azienda è in liquidazione nel disinteresse più totale, «e a pagare siamo solo noi». Pagano i giovani lavoratori di P2p, call center siciliano rappresentati da Domenico Rizzo, e stanno pagando i lavoratori del call center Answer (gruppo Omega) di Pistoia. «Abbiamo molte mensilità arretrate – dice Irene Marobos-. Pistoia era una provincia ricca, ora molti lavoratori si rivolgono alla Caritas per avere un supporto alimentare ».
L’Unità, 15 novembre 2009
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“Un milione e mezzo di disoccupati. Boom della Cassa Integrazione”, di Roberto Mania
ROMA – Un milione e mezzo di nuovi disoccupati. Tanti sono coloro che nei primi nove mesi di quest’anno hanno chiesto all’Inps l’indennità di disoccupazione, quella ordinaria o con i requisiti ridotti. A loro vanno aggiunti gli oltre 60 mila che, sempre da gennaio a settembre, sono entrati nelle liste di mobilità e quindi sono a un passo dal licenziamento. Nel limbo restano i cassintegrati in attesa che i mercati mondiali riprendano sperando che le proprie aziende non debbano ricorrere a cure drastiche di ristrutturazioni, con tagli alle produzioni e al personale. Ma intanto le ore di cassa integrazione marciano spedite verso il record: a ottobre hanno superato quota 716 milioni contro gli 800 milioni toccati nell’annus horribilis che fu il 1984.
È l’Italia che perde il lavoro, che ha già ridotto il suo tasso di occupazione (dal 59,2 per cento al 57,9 per cento), e che ha aumentato il tasso di disoccupazione dal 6,8 per cento del 2008 al 7,4 per cento. È l’Italia che in un anno ha perso oltre 200 mila lavoratori con contratto a tempo determinato, e circa 210 mila di lavoratori autonomi, tra finte “partite Iva” e collaboratori. E poi tanti altri precari che però non rientrano nelle statistiche ufficiali.
Questa è la faccia sociale della crisi. Che passa dai grandi gruppi multinazionali, alle piccole imprese; dai mega call center agli impianti siderurgici; dalle aziende della sanità privata agli artigiani dei distretti. Che va dal nord a sud senza soluzione di continuità. “I dati – sostiene Fulvio Fammoni, segretario confederale della Cgil – smentiscono la tesi di chi dice che la crisi è finita. La verità è che il 2010 sarà un anno drammatico per l’occupazione. E gli ultimi 3,5 miliardi per finanziare il rinvio dell’acconto Irpef sono buttati per la propaganda: non serviranno a nulla. Mentre basterebbe la metà per sostenere il reddito dei co. co. pro che perdono il lavoro e per allungare la durata della cassa integrazione”.
La crisi vive anche di drammatici paradossi. Come quello della grande Nestlé, multinazionale dell’industria alimentare, produzione notoriamente anticicliche. Dal palco di Piazza del Popolo è stato ieri il delegato Cgil dello stabilimento di Parma, Alessandro Grossi a raccontare che dal ’96 a oggi la Nestlé ha diminuito gli impianti da 19 a 5, depauperato il territorio industriale, con un ricorso spropositato agli ammortizzatori sociali per far quadrare i bilanci e “soddisfare gli azionisti”. Poca industria, dunque, e molta ricerca del profitto. Nello stabilimento parmense 44 persone sono in cassa integrazione straordinaria, 30 in mobilità e 90 in cig ordinaria.
Così pezzi di industria rischiano di scomparire, come l’Alcoa (alluminio) con duemila dipendenti in Italia e l’annuncio che il 30 novembre chiuderà lo stabilimento sardo di Portovesme. Licenzia l’Eutelia (1.200 persone su un totale di circa 2.000), azienda dell’information technology, in una vicenda dai contorni poco chiari. Non ricevono lo stipendio da otto mesi i 1.600 dipendenti di Villa Pini d’Abruzzo di quel Vincenzo Angelini coinvolto nello scandalo della sanità abruzzese. Non pagano da tre mesi nemmeno all’Omega (call center) di Pistoia. Qui i lavoratori sono ricorsi alla “cassa di resistenza”. Vecchi strumenti per la crisi più lunga del dopoguerra.
La Repubblica, 15 novembre 2009