Bisognerà vedere se la nuova moda durerà nel tempo, ma sta di fatto che oggi anche le belle (e ricche) signore del quadrilatero d´oro milanese trovano molto chic andare a fare gli acquisti da Zara o da H&M, dove qualsiasi cosa costa un decimo o un ventesimo che nelle boutique delle grandi griffe della moda e dello stile. Trovano chic, insomma, spendere meno e non buttare i soldi dalla finestra.
C´è chi vede questo come un segno dei costumi che sono cambiati (sotto l´urto della Grande Crisi) e c´è chi invece, più semplicemente, sostiene che la gente non crede ancora che la crisi sia finita, e quindi prende qualche precauzione. «In effetti – spiega un banchiere d´affari – è possibile che la ripresa sia partita, ma di sicuro c´è che i consumatori non ci credono e nemmeno le imprese. Non vedo in giro nessuno che fa investimenti o che festeggia il ritorno alla grande dei clienti. E´ come dopo un bombardamento: qualcuno esce di casa, ma timidamente e pronto a rientrare in cantina al primo rumore sospetto». Il clima che si respira, non in Italia soltanto, ma nel mondo, era bene illustrato in una vignetta di qualche giorno fa del Financial Times. Si vedeva un grosso aereo sulla pista già con il muso alzato per il decollo (“la ripresa”), ma con sulla coda una sorta di gigante (“i lavoratori senza lavoro”).
Insomma, forse è ora (finalmente) della ripresa (dopo oltre un anno di crisi), ma certo la ripresa parte zavorrata dai disoccupati. Da milioni di persone che hanno perso il posto di lavoro, che non hanno più una busta paga, e che quindi non hanno certo voglia di correre festanti al più vicino supermercato al sabato pomeriggio. E infatti, per rimanere in Italia, la Coldiretti sostiene che a Natale qui non si spenderà nemmeno un centesimo in più rispetto all´anno scorso.
D´altra parte, nei paesi moderni il 75-80 per cento del Pil (quel numerino che ci dice se l´economia è in espansione oppure no) è fatto di consumi. E, se questi non si muovono, tutto il resto non può che procedere con estrema lentezza.
Ma di questa disoccupazione, che è esplosa dentro la Grande Crisi, non sarà tanto facile liberarsi. Nel 2010, ad esempio, è vista un po´ in crescita (e non in diminuzione) ovunque. Se in Italia quest´anno chiuderemo con il 7,7 per cento di senza lavoro, l´anno prossimo si salirà all´8,6 per cento. Se dall´Italia si passa all´area euro nel suo insieme la storia non cambia molto. Contro il 9,5 per cento di disoccupazione del 2009, nel 2010 si andrà sopra il 10 per cento (e precisamente al 10,6 per cento, secondo le previsioni di Consensus). E anche in Germania (che è l´economia più forte dell´area euro) non ci sono segnali imminenti di discesa della disoccupazione. Anzi: dall´8,2 per cento di quest´anno si andrà al 9,5 nel 2010.
E, se si varca l´oceano, e si va in America, le cose si presentano sotto lo stesso segno: contro una disoccupazione mediamente del 9,3 per cento si passerà al 10 per cento (anzi, il 10 per cento è già stato superato in ottobre).
In sostanza, nel 2010 abbiamo le due aree più importanti del mondo (Europa e America) con una disoccupazione che va oltre il 10 per cento. Il che significa che il 10 per cento del potenziale produttivo di quelle due aree rimane di fatto fermo, inutilizzato. Magari con qualche operaio che pulisce i pavimenti. Ma senza produzione.
Senza creazione e circolazione di ricchezza.
E a questo si deve aggiungere l´effetto deprimente, sui consumi e sulle spese, di una massa così grande di gente che cerca una busta paga che trova, e che quindi deve vivere alle spalle di qualcuno o bruciando risparmi (se ne ha).
Ecco perché la ripresa, su entrambe le sponde dell´Atlantico, non potrà che procedere lentamente, passo dopo passo, e sempre un po´ timorosa.
La Repubblica, 15 novembre 2009