È proprio vero che le ideologie sono finite? Dissolte insieme al muro di Berlino, vent´anni fa? In parte sì. Ma solo in parte. Perché resistono ancora. Anche se ridotte a parole e immagini, sedimentate nel senso comune. E interpretate dai leader politici. Personalizzate, come tutta la politica, in quest´epoca senza partiti – dove i partiti sono, comunque, entità flou.
In questo “paese personale”. È il tempo dell´anticomunismo senza il comunismo. In cui il “comunismo” ritorna come un mantra, nei discorsi del premier, dei suoi ministri, degli uomini del suo governo. Proprio – e tanto più – perché non c´è più. Ma serve. Come ha confessato Confalonieri a Sabelli Fioretti sulla Stampa: «È un ottimo argomento di vendita». Utile a catalogare gli Altri, quelli che stanno a centrosinistra. Ma anche al centro, perfino a destra. Comunque: a est del muro di Arcore che ha sostituito quello di Berlino. Dove si stende la terra del neo-comunismo. Costellata di riferimenti reali ad alto contenuto simbolico e di simboli ad alto contenuto realista. Recitati ad alta voce da testimonial e leader d´opinione. Gli ideologi del neo-anticomunismo (senza il comunismo). Che colgono fratture antiche e latenti e le proiettano nel presente. Con un linguaggio e argomenti popolari. Parole gridate, sempre più forte, secondo le regole della “politica pop”.
Pensiamo, in primo luogo e soprattutto, al ministro Brunetta. Onnipresente sui media. Sempre alla ricerca della provocazione. Buca lo schermo. Suscita, per questo, grande consenso, ma anche ostilità. Nel suo stesso governo. (Com´è avvenuto di recente con Tremonti). Il suo marchio è la missione contro l´inefficienza della pubblica amministrazione. Contro i “fannulloni” che vi si annidano. Nell´intento – meritevole – di premiare i meritevoli. Con l´esito – non involontario – di coniare un´etichetta onnicomprensiva e indelebile, per chiunque insegni oppure operi negli uffici pubblici. Condannato, ora e sempre, a una carriera da “fannullone”.
Altra figura importante – e popolare – è la ministra Gelmini. Si occupa della scuola e dell´università. Persegue, in modo determinato, l´obiettivo di ridurre gli sprechi e aumentarne l´efficienza. Anche la riforma dell´università, appena presentata, segue un disegno virtuoso. Introdurre criteri di qualità ed efficienza: nell´offerta formativa, nell´insegnamento, nel reclutamento, nell´organizzazione. Ma appare mossa da una preoccupazione dominante – anche legittima, per carità. Destrutturare il sistema di potere fondato sul ruolo dei professori ordinari. Disarmare i famigerati “baroni”. Senza chiarire cosa dovrà diventare, questa università. Scossa da un processo di riforma continua. Da oltre 10 anni. Con una sola costante: la riduzione continua di risorse destinate all´università e alla ricerca. Prevista, puntualmente, anche da questa finanziaria. Con il rischio che, insieme ai baroni, affondi anche l´università. La meno finanziata di tutti i paesi dell´Ocse.
La scuola, l´università, la burocrazia, insieme, definiscono il regno della sinistra. Che ancora oggi attinge i suoi consensi maggiori proprio in quest´area sociale. Nell´impiego pubblico, fra gli insegnanti e nelle professioni intellettuali. Gli intellettuali.
Invece, il neo-anticomunismo rappresenta il mondo di “quelli che lavorano sul serio”. Interpretato efficacemente dal ministro Sacconi. Spietato con gli ex-comunisti o presunti tali. Con la Cgil. Il sindacato comunista. (E chi lo è stato in passato è destinato a rimanerlo per sempre). Accusato di agire ispirato da pregiudizio politico più che dagli interessi dei lavoratori. I suoi iscritti operai, d´altra parte, resistono solo nelle grandi fabbriche. Quasi estinte. Oppure sono pensionati. Ex lavoratori che non lavorano più. Assistiti dallo Stato. Anche per questo votano prevalentemente a sinistra.
Contro la sinistra pubblica e intellettuale agisce la Lega popolana e plebea. Immersa nel territorio delle piccole imprese. Ma anche nelle campagne. Come rammenta Zaia. Ministro dell´Agricoltura. Un drago della comunicazione. Contadino fra i contadini, allevatore fra gli allevatori. Anche se non è mai stato né l´uno né l´altro.
È su questa linea di demarcazione che è stato costruito il muro del neo-anticomunismo senza il comunismo. Il nuovo muro. Da una parte, a ovest, il mondo dei lavori e dei lavoratori “che usano le mani”. Gli imprenditori e gli artigiani che producono, faticano. Fanno. Dall´altra parte, quelli che parlano, dicono, predicano. A spese dello Stato. Da un lato il privato e dall´altro il pubblico. Da un lato le cose concrete dall´altro quelle virtuali. Da un lato i “fannulloni” e dall´altro i “fantuttoni”, per citare Francesco Merlo. Quelli che fanno a quelli che dicono. I piccoli imprenditori e i lavoratori “veri” contro gli statali, i maestri, i professori, i baroni. Contro i giornalisti. Ma anche contro «attori e attrici, artisti e commedianti, registi e teatranti, cantanti e cantautori (…) Schiavi e proni. In attesa di una nuova rivoluzione». Come li ha apostrofati il ministro Bondi, in una lettera al Foglio, a commento della visita degli artisti al Quirinale. Bondi: fino a ieri persona mite e rispettosa. Si è adeguato al linguaggio e allo stile del tempo. All´ideologia che fa ritenere l´”industria culturale” quasi un ossimoro.
Berlusconi non si limita a ispirare questa rappresentazione del mondo. Ne scrive il copione, ne sceglie i personaggi. Delinea la scena con obiettivi simbolicamente reali e realmente simbolici. Offerti dall´emergenza presente. Luoghi come Napoli – da liberare dall´immondizia; l´Aquila – da ricostruire sulle macerie del terremoto. Oppure il ponte sullo Stretto. Più che un´infrastruttura: una sovrastruttura marxiana. Ideologia allo stato puro. Berlusconi è l´uomo-che-fa, alla guida del governo-italiano – che – ha-fatto-di-più-negli-ultimi-150-anni. Cioè: da quando esiste l´Italia unita. Un vitalismo che schiaccia l´opposizione. Rappresentata e guidata da funzionari, uomini di Stato. Politici di professione. Giornalisti. Artisti. E intellettuali. Quindi ex oppure neo-comunisti. L´opposizione. Dovrebbe certamente avvicinarsi di più al mondo dei lavori. E magari rifiutare, senza rassegnarsi, questa ideologia. Che considera la cultura inutile. E l´intellettuale una figura improduttiva. Più che una categoria: un insulto.
La Repubblica, 15 novembre 2009